Ulrike Meinhof

Oldemburg 1934 - Stoccarda 1976
Download PDF

Ulrike Meinhof nasce a Oldemburg, nell’allora Repubblica Federale Tedesca, il 7 ottobre 1934. Il padre Werner, storico dell’arte, due anni dopo la sua nascita viene nominato direttore dello Stadtmuseum di Jena, dove la famiglia si trasferisce. Nel 1940 muore. La madre, http://www.enciclopediadelledonne.it/wp-admin/edit.php?post_type=biografiaIngeborg Guthardt, per provvedere ai bisogni familiari riprende gli studi e nel 1946 comincia a insegnare a Oldenburg. Qui Ulrike viene iscritta ad una scuola professionale gestita da suore cattoliche. Ulrike è una studentessa attiva, partecipe, curiosa, riflessiva.
Nel 1949 muore anche la madre, e, con la sorella, Ulrike continua a vivere insieme alla dottoressa Renate Riemeck, che già da tempo viveva con loro, e che diviene loro tutrice. Nel 1950-51 frequenta una scuola steineriana. Nel 1952 Renate diventa docente di Pedagogia a Weilburb, nel cui ginnasio si iscrive Ulrike con l’intenzione di diventare insegnante. Suona il violino nell’orchestra scolastica, e fonda, insieme ad un compagno, il giornale della scuola.
Entrambi i genitori di Ulrike erano stati simpatizzanti del nazionalsocialismo, mentre il nonno materno, Johannes, preside di scuola, aveva militato in un gruppo berlinese clandestino antiregime. Durante gli anni del liceo Renate veste abiti maschili, fuma il sigaro, propugna la necessità della formazione intellettuale e dell’impegno sociale per tutte le ragazze; dagli anni Sessanta milita nella sinistra della SDP, e dal 1955 convive con la sua compagna, Holde Bischoff. Quando però Ulrike si innamora di un ragazzo e di un’amica, fidanzandosi col primo e avviando con la seconda una relazione, Renate le impone di rompere con entrambi.
Conseguita la maturità e ottenuta la borsa di studi, Ulrike si trasferisce a Malburg, si iscrive all’università, dove studia psicologia, pedagogia e storia dell’arte. Sposa Klaus Rohl, da cui ha due gemelle, una delle quali – Bettina – racconterà la storia della madre molti anni dopo la sua morte. Rohl è il fondatore della rivista «Konkret», di cui Ulrike diventa collaboratrice nel 1959. Il giornale si fa portavoce della sinistra non dogmatica, degli oppositori al riarmo nucleare, di illuministi e radicali.
In anticipo sui movimenti antiautoritari, Ulrike comincia ad occuparsi dei gruppi marginali, del disagio sociale. Nel 1967 i coniugi Rohl, che col successo di «Konkret» si sono arricchiti, acquistano una magnifica villa con parco a Blankenese, uno dei quartieri più esclusivi di Amburgo. L’idillio familiare si spezza nella stessa serata di ottobre in cui la villa viene inaugurata con una festa sfarzosa: Klaus balla per tutta la sera con una donna, anche lei sposata, con la quale alla fine si dilegua, e che diventerà la sua nuova compagna. Qualche mese dopo, iniziate le pratiche legali per la separazione, Ulrike ottiene l’affidamento delle figlie e si trasferisce a Berlino.
In aprile si compie la rottura anche con «Konkret». Ulrike , columnist e redattore capo della rivista invia un articolo di critica e rinuncia al ruolo autoritario e alla soggettività del giornalista in favore della comunicazione politica diretta. Klaus blocca la pubblicazione dell’articolo e Ulrike si dimette: è il 26 aprile 1968, ed è guerra aperta. La Meinhof attacca il giornale e l’ex marito, denunciando come l’editore si sottometta alle leggi del mercato. Organizza una spedizione nella sede della rivista con l’obiettivo di espropriarne il “noto socialista da salotto Klaus Rohl”; l’ex marito, informato, sceglie di evacuare la redazione. Al suo arrivo, il gruppo trova la polizia e alcuni volantini: “Konkret entra in clandestinità”. Il gruppo capeggiato da Ulrike marcia sulla villa di Blankenese, dove tutto finisce in pezzi.
Tornata a Berlino – privilegiata enclave della RFT in territorio socialista dove tutto è permesso – Ulrike sperimenta per breve tempo la convivenza in una comune. Se ne va. Anche le figlie sono trascurate. Divisa tra il ruolo di madre e un coinvolgimento personale nella lotta armata, Ulrike sceglierà il secondo, rinunciando per sempre alle figlie.
Nel 1969 Ulrike viene contattata dal regista e sceneggiatore Dieter Waldmann per un film televisivo sugli istituti educativi assistenziali. Soggetto del film, Bambule, sono le ragazze di Eichenhof, un istituto di Berlino scelto perché non apertamente repressivo, al fine di non scioccare il pubblico con immagini forti e concentrare l’attenzione sulle ragazze. L’esperienza risulta deludente per Ulrike. Decide di dedicarsi definitivamente al lavoro politico. Il 14 maggio 1970 Ulrike partecipa alla liberazione di Andreas Baader e si dà alla clandestinità; contro di lei viene emesso un mandato di cattura per tentato omicidio.
Il 2 giugno 1967 segna l’inizio della guerra senza quartiere che i governi della RFT dispiegheranno negli anni futuri contro ogni genere di opposizione, anche pacifica. Con l’assassinio del pacifista Benno Ohnesorg, comincia una lunga serie di bugie, omissioni, complotti, violenze e morti oscure, che segneranno, qualche anno più tardi, anche la vicenda di Ulrike e dei suoi compagni. La nuova generazione tedesca si scontra con quella dei padri, che ha avuto responsabilità dirette col nazismo e che pare utilizzarne ancora i metodi.
Si può dire che qui inizi la storia della RAF. Nella notte tra il 2 e il 3 aprile 1968 Andreas Baader e Gudrun Ensslin fanno scoppiare delle bombe in due grandi magazzini di Francoforte, vengono arrestati il giorno seguente. L’11 aprile un attentato a Rudi Dutschke lo riduce in fin di vita. Si organizza una manifestazione spontanea, cui partecipa anche Ulrike, che dalle pagine di «Konkret» commenta: “I confini tra protesta verbale e resistenza fisica sono stati superati per la prima volta in massa. Ma non sono stati superati i rapporti di potere”. Il 14 maggio 1970 Baader, unico ancora in carcere, viene liberato durante un’uscita, sotto scorta, nella biblioteca dell’università da Irene Goergens, da Ulrike e una terza persona a tutt’oggi ignota. E’ la prima azione ufficiale della neonata Rote Armee Fraktion. Il 19 maggio Meinhof organizza un attentato contro l’editore Springer, nemico della sinistra e responsabile della criminalizzazione di Dutschke: trentotto lavoratori feriti – il che provoca il dissenso di Baader. «Der Spiegel» del 15 giugno riferisce la posizione di Ulrike sull’uso della violenza contro le forze dell’ordine: “La polizia, in quanto rappresentante del sistema, va combattuta senza riserve, scrupoli, dubbi”.
La RAF diventa il nemico numero uno, e il ministro degli Interni istituisce un organismo nazionale per la lotta al terrorismo. L’11 maggio 1972 un attentato al quartier generale del V Corpo d’armata americana provoca un morto e tredici feriti. Il 12 maggio alcune bombe, piazzate in sedi della polizia in tre diverse città, provocano 17 feriti e ingenti danni materiali. Il 24 maggio due autobombe esplodono nel quartier generale USA di Heidelberg: tre morti e cinque feriti tra i militari.
“Nelle ultime settimane l’aviazione americana ha scaricato più bombe sul Vietnam di quante abbiano colpito Giappone e Germania durante la Seconda guerra mondiale. Si tratta di genocidio, sarebbe la soluzione finale, è Auschwitz … le dimostrazioni e le parole non servono a nulla contro i crimini dell’imperialismo”, rivendica la RAF. Il primo giugno vengono arrestati Baader, Ian-Carl Raspe e Holger Meins che, portato in un commissariato, subisce un pestaggio. Una settimana dopo tocca a Ensslin, il 15 giugno a Meinhof. In tutto ventinove arrestati, due uccisi (in scontri a fuoco con la polizia), otto latitanti. Il nucleo storico della RAF è decimato.
Le condizioni carcerarie cui sono sottoposti i membri della RAF hanno i caratteri della tortura: isolamento sonoro e sociale totale, muri e mobili bianchi e luce al neon accesa giorno e notte, controlli ogni 15 minuti e sospensione di una serie di diritti costituzionali “a causa della pericolosità dei soggetti”. Nell’aprile 1973 nascono in tutta la RFT i Comitati contro la tortura dei prigionieri politici; si mobilitano intellettuali quali Heinrich Boll e J.P. Sartre. Quando, nel 1976, Baader, Ensslin e Raspe si appelleranno alla Commissione europea dei diritti umani, la sentenza, che arriverà dopo la loro morte, sarà negativa. Al processo il giudice, informato del fatto che Ulrike era stata operata per un tumore benigno al cervello nel 1962, dispone delle analisi, al fine di appurare se nel 1972 fosse in grado di intendere e volere, per poter formulare l’ipotesi che i membri della RAF siano dei pazzi.
Per il processo, che si aprirà il 21 maggio 1975, si costruisce a Stammhein, quartiere a nord di Stoccarda, un bunker di cemento armato; imponenti le misure di sicurezza. Il 13 settembre 1974 i membri della RAF, per voce di Ulrike, annunciano l’inizio del terzo sciopero della fame collettivo (che durerà fino al 15 febbraio 1975) con l’obiettivo di migliorare le condizioni di detenzione e ottenere lo status di prigionieri politici. Ensslin dichiara:”La lotta continua. Se anche ci hanno tolto la pistola di mano, abbiamo ancora il nostro corpo”.
La mattina del 9 maggio 1976 una guardia trova Ulrike impiccata ad una finestra della sua cella. Tesi: suicidio. Ma i dubbi restano molti. Alla ripresa del processo, i suoi compagni dichiarano: ”Noi crediamo che Ulrike Meinhof sia stata giustiziata”. La mattina dell’8 ottobre 1977 Baader, Ensslin e Raspe sono rinvenuti morti nelle loro celle in circostanze altrettanto misteriose. Anche in questo caso si parla di suicidio. A tutt’oggi su queste morti non si è fatta luce.

Fonti, risorse bibliografiche, siti

Agnese Grieco, Anatomia di una rivolta.  Andreas Baader, Ulrike Meinhof, Gudrun Ensslin. Un racconto a più voci Il Saggiatore, 2010

lois Prinz, Disoccupate le strade dai sogni. La vita di Ulrike Meinhof, Marotta, 2007

Shane O'Sullivan, Children of the Revolution,  2010 (documentario sulla vita di Ulrike raccontata e vista da una delle figlie, Bettina Rohl

Referenze iconografiche: Ulrike Meinhof nel 1964. Immagine privata fornita dalla figlia di  Ulrike Meinhof, Bettina Röhl. Immagine in pubblico dominio.

 

[social_share]

Sandra D'Alessandro

Nata a Pesaro, sono milanese di adozione. Laureata in Filosofia, insegno e collaboro occasionalmente con case editrici e riviste culturali. Non avendo avuto figli, ho potuto dedicarmi a un sacco di cose belle e interessanti: musica (suono il piano e ho cantato in diverse corali), letteratura (di ogni luogo e tempo), lingua russa (ho tradotto dei racconti inediti di V. Garshin, grande scrittore russo della seconda metà dell'Ottocento, sconosciuto ai più), Tai Chi Chuan, attività politica, sindacale e volontariato.
Il sogno di tutta la mia vita: che nessuno debba soffrire fame e sete, e che i bambini e le donne di tutto il mondo abbiano stessi diritti e opportunità.

Leggi tutte le voci scritte da Sandra D'Alessandro