Qualcuno dice che adesso ringiovanisco. Forse è così. Forse, non essendo più legata a precise responsabilità che mi condizionano, mi sento più libera. Ma se è vero che ringiovanisco, chissà che tra dieci anni non chieda ancora una volta la tessera d’iscrizione alla Gioventù Comunista!” (Rivoluzionaria professionale, p. 422)
Nacque in una famiglia di modestissime condizioni economiche e venne allevata insieme con il fratello, di qualche anno più grande, dalla madre, dopo che il padre li aveva abbandonati. Teresa mostrò da subito intelligenza, caparbietà e desiderio di riscatto. Costretta dalle circostanze a lasciare molto presto la scuola e a rinunciare al sogno di fare la maestra, proseguì la sua istruzione da autodidatta, leggendo sempre, anche mentre svolgeva vari mestieri, tra cui quello di sartina – a undici anni la troviamo al suo primo sciopero, per ottenere miglioramenti salariali e di orario -, di operaia in un biscottificio e, durante la Grande guerra, di tornitrice alla Fiat Brevetti.
Dopo la morte della madre per malattia e quella del fratello in guerra, si ritrovò sola e fece dell’impegno politico la sua ragione di vita. Si impegnò nel Partito socialista italiano, dando vita nel 1919 con altri compagni al circolo giovanile socialista torinese, ma aderì sin dalla sua fondazione, nel 1921, al Partito comunista d’Italia (PCd’I). Fu lì che conobbe Luigi Longo, studente di ingegneria, destinato a diventare un dirigente politico di primo piano. Inizierà poco dopo la loro storia d’amore. Quando si accorse di essere incinta però, Teresa dovette fare i conti con la famiglia di lui, visto che all’epoca per sposarsi prima dei venticinque ani era necessario il consenso dei genitori; quelli di Longo non erano affatto intenzionati a permettere al proprio figlio di sposare una donna “brutta, povera e comunista”. Teresa e Luigi attesero così due anni, mentre nel frattempo erano nati due bambini: Luigi Libero, che nacque nel 1923, mentre il padre era imprigionato a San Vittore, dove peraltro egli stesso aveva rischiato di nascere, perché lì era stata rinchiusa Teresa Noce, arrestata per la prima volta, e poi rilasciata per insufficienza di prove, proprio pochi giorni prima del parto; e Pier Giuseppe che morirà di meningite poco dopo la nascita.
Nel 1926, costretti all’illegalità dall’avanzata del fascismo, Teresa Noce e Luigi Longo presero la via dell’esilio. Furono prima in Unione Sovietica, poi a Parigi e successivamente in Svizzera. Da qui Teresa – che nel frattempo aveva avuto il terzo figlio, Giuseppe detto Putisc – compì, con il nome di Estella, numerosi viaggi clandestini in Italia per svolgervi propaganda e attività antifascista. Restava il problema del bambino.
[Putisc] non aveva ancora sette anni. L’essere tornato a vivere con noi l’aveva maturato. Sapeva che io lavoravo al giornale, e che suo padre si trovava in Spagna, dove c’era la guerra, ma altre cose non le capiva. Per esempio, non capiva perché papà che era comunista e perciò contro la guerra, faceva la guerra in Spagna. Tentai di spiegarglielo, dicendogli nello stesso tempo che anch’io sarei dovuta andare a lavorare in Spagna. Non era facile e la stessa domanda che si poneva Putisc se l’erano posta molti lavoratori italiani, francesi, e di altri paesi.
Tuttavia fui convincente perché alla fine Putisc concluse: “Va bene. Parti pure per la Spagna. Io mi cercherò un’altra mamma”. Sapeva quanto me che qualcuno avrebbe dovuto prendersi cura di lui e, mentre io mi guardavo attorno per cercare a chi affidarlo, lui aveva già trovato. Mi annunciò tranquillamente che la sua nuova mamma sarebbe stata la compagna Olga Donini e il suo nuovo fratello, Pirka, il figlioletto dei Donini che aveva giusto la sua età. I nuovi genitori erano d’accordo: Pirka sentiva proprio il bisogno di un compagno e Putisc avrebbe completato la famiglia. Organizzammo il trasferimento del bambino presso i Donini e io potei partire per la Spagna con relativa tranquillità. (Rivoluzionaria professionale, pp. 187-188)
Nel 1936 insieme con il marito furono in Spagna tra i volontari accorsi in difesa della Repubblica dopo lo scoppio della guerra civile: lì Teresa curò la redazione del giornale degli italiani combattenti nelle Brigate internazionali, «Il volontario della libertà». A guerra terminata, tornata a Parigi, attese con una certa ansia il rientro del marito, temendo il peggio. In realtà Luigi Longo tornerà sano e salvo: il ritardo era solo dovuto a una breve vacanza che si era concesso con la sua segretaria spagnola.
Nel 1943 Teresa venne arrestata in Francia e internata nel campo di Rieucros; venne liberata per intervento delle autorità sovietiche e autorizzata a ritornare a Mosca, dove vivevano i figli, ma l’invasione tedesca dell’Unione Sovietica, nel giugno 1941 impedì questo ricongiungimento. Rimase quindi in Francia, a Marsiglia, dove prese a lavorare per il Partito comunista francese e partecipò alla Resistenza nel gruppo dei Francs-tireurs-et-partisans. Nuovamente arrestata nel 1943, dopo alcuni mesi di carcerazione, fu deportata in Germania, prima nel campo di concentramento di Ravensbruck, poi a Holleischen in Cecoslovacchia, dove fu destinata al lavoro forzato in una fabbrica di munizioni fino alla liberazione del campo da parte dell’esercito sovietico.
Dopo la fine di questa lunga pagina di guerra e resistenza, tornata in Italia nel 1945, si ributta a capofitto nell’attività politica: è nominata alla Consulta e nel 1946 è la prima degli eletti alla Costituente della sua circoscrizione e una delle più votate del Pci a livello nazionale e farà parte – per la sua indiscussa preparazione – della commissione dei 75, incaricata di stendere il testo della carta costituzionale. Eletta in Parlamento, vi rimase per due legislature, durante le quali presentò, nel 1948 la proposta di legge per la “Tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri” – che prevedeva i permessi di lavoro retribuiti a partire dall’accertamento della gestazione in atto, il divieto di licenziamento delle donne incinte e dei lavori usuranti, e che costituì la base della legislazione sul lavoro femminile fino alle leggi degli anni Settanta sulla parità tra donne e uomini – e nel 1950, insieme con Maria Federici, la legge che prevedeva eguale salario per eguale lavoro per donne e uomini.
Intanto, a cavallo tra il 1948 e il 1949, stanca delle avventure amorose del marito – che già quando lei era stata rinchiusa nei lager tedeschi, aveva iniziato a convivere more uxorio con un’altra loro antica compagna di battaglie, Caterina Picolato, e che aveva poi iniziato un’altra relazione con l’ex partigiana Bruna Conti, da cui avrà anche un figlio – lasciò la casa romana e si trasferì a Milano, dove poteva occuparsi più da vicino della Fiot (Federazione italiana operai tessili) di cui era segretaria, chiedendo la separazione consensuale, anche per evitare pettegolezzi deleteri per il partito. Ma nel 1953 scoprì, da un trafiletto comparso sul “Corriere della Sera” che “Luigi Longo e Teresa Noce avevano ottenuto a San Marino l’annullamento del loro matrimonio”. Il divorzio allora in Italia non era possibile; per questo chi poteva permetterselo chiedeva l’annullamento del matrimonio, se religioso, presso la Sacra Rota, oppure all’estero e poi lo faceva trascrivere in Italia; ma ovviamente tutto questo contrastava con i principi del partito, contrario a questi annullamenti borghesi e truffaldini e che raccomandava a tutti i suoi iscritti comportamenti ispirati al massimo di severità e rigore. E quindi, ingenuamente, Teresa Noce pensò che suo marito, per di più vicesegretario del partito, non avrebbe certo potuto fare una cosa del genere, oltretutto senza nemmeno parlarne con lei e inviò al giornale – dopo aver chiesto inutilmente che fosse il Partito a farlo – una smentita; salvo poi scoprire che era tutto vero e che addirittura il marito aveva falsificato la sua firma.
E inizia proprio da lì, tristemente, la sua parabola discendente: il Pci non aveva gradito che avesse reso pubblica, con la sua smentita, una vicenda privata; i compagni con cui aveva condiviso anni di lotte avallavano il comportamento di Longo e fu lei, alla fine, ad essere messa sotto accusa e ad essere espulsa dal comitato centrale, trauma che definì “grave e doloroso più del carcere, più della deportazione”.
Non venne più ricandidata e qualche anno dopo abbandonò anche l’incarico alla Fiot, allontanandosi gradualmente dalla vita pubblica. Nel 1974 pubblicò, presso la casa editrice La Pietra, la sua autobiografia, Rivoluzionaria professionale – che fu poi ripubblicata nel 1977 da Bompiani – dove racconta, insieme alla sua storia personale, la vicenda del partito comunista italiano dalla sua fondazione. Morì a Bologna, all’età di 79 anni, il 22 gennaio 1980.