Simonetta Matone

Roma 1953 - vivente
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Sguardo attento e occhi scuri che sembrano voler penetrare dappertutto, voce ferma e senza alcuna paura di dire ciò che pensa: Simonetta Matone ha lottato per tanti ragazzini e tanti ne ha salvati dall’abuso, dallo sfruttamento, dalla violenza non vista, non ascoltata, quella che si perpetra nelle famiglie di una società che nasconde invece di denunciare. Quelli che ancora ricorda sono i ragazzi per cui non ha potuto far nulla, i nomi continua ad averli ben stampati dentro la mente. Simonetta Matone è nata a Roma il 16 giugno 1953, è sposata ed ha tre figli. Laureata in giurisprudenza alla Sapienza di Roma nel 1976, dal 1979 al 1980 è vicedirettore del carcere presso Le Murate a Firenze. Dal 1981 al 1982 è giudice presso il Tribunale di Lecco e dal 1983 al 1986 è magistrato di sorveglianza a Roma.
Fin dall’inizio della sua attività lavorativa, per lei la parola “giustizia lenta” non esiste: troppe persone aspettano, troppe cause, fascicoli che non possono rimanere chiusi in armadi per anni. Ha 26 anni è scrupolosa e scioglie nell’ambito civile centinaia di riserve ereditate dai suoi predecessori. Tutti ricordano il suo lavoro svolto con attenzione, porta in Camera di Consiglio numerosi processi civili pendenti da anni ricevendo l’encomio dal Consiglio dell’ordine. Dal 1983 è magistrato di sorveglianza presso la Corte di Appello di Roma fino al 1986. Organizza il primo convegno nazionale sulla detenzione in Italia e in quell’occasione i detenuti mettono in scena Antigone di Sofocle. Lavora in carcere e concede ben novecento permessi con un record assoluto di rientri: mancheranno solo 9 alla sua fiducia. I detenuti della Casa Circondariale di Rebibbia (Roma), le regalano una targa: «a Simonetta, che a molti spezzò la chiave dell’attesa». Crea, in favore della popolazione carceraria del Lazio, una fitta rete di rapporti con le amministrazioni locali per incoraggiare ogni utile intervento di risocializzazione e di sostegno.
Nel 1987 è nominata capo della Segreteria del ministro della Giustizia Giuliano Vassalli.
È delegata a mantenere i rapporti con le Direzioni generali ed in particolare con gli uffici giudiziari, diventando il tramite tra i capi degli uffici ed il ministro per la soluzione dei problemi legati alla organizzazione degli stessi ed alla cronica mancanza di personale. Messa a disposizione dal ministro Martelli, chiede di essere trasferita alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Roma: diventa sostituto procuratore e dal 1991 al 2008 la sua stanza, come dirà in un’intervista, si trasforma nella sua “cognizione del dolore”. Arrivano fascicoli che parlano di abusi su bambini, di violenze, di famiglie ammalate; leggi in ritardo, silenzi, collusioni. «La storia più terribile? Quella di una madre che sorteggiava i numeri della tombola per stabilire quante frustate, quante bruciature, quante scottature nell’acqua bollente fosse giusto infliggere ai suoi figli». Nel 1992 fonda, con altre colleghe, l’ADMI – Associazione Donne Magistrato Italiane. Ha istruito delicatissimi procedimenti quali il primo processo di riduzione in schiavitù nel 1992, il cui principale imputato, all’epoca dei fatti minorenne, aveva costituito una imponente struttura criminale votata allo sfruttamento di 27 minori rom.
Ha istruito il primo processo nel Lazio a carico di un gruppo di naziskin, che si erano resi responsabili di una feroce aggressione a danno di un gruppo di inermi extracomunitari.
Ha posto fine con l’arresto e la condanna ad una infinita serie di rapine compiute a danno di minorenni da parte di due minori figli di un boss della banda della Magliana.
Ha istruito il procedimento per le terribili violenze sessuali di cui sono rimaste vittime tre bambine ad opera di un gruppo di 23 minorenni. «Non si può tollerare che i bambini, ripeto i bambini, vengano indotti alla criminalità, siano sfruttati, lesi nei loro diritti umani all’infanzia e allo studio».
Nel 2008 diventa capo gabinetto del Ministro per le Pari Opportunità. Si tiene lontana da polemiche e lavora per la tutela delle donne, dei bambini, si espone e non si risparmia.
«Togliamoci dalla testa il cliché della pecora nera: non ho mai trovato nella mia professione un ragazzo autore di un reato, specie se grave, che non avesse alle spalle le ragioni che dessero l’esatta spiegazione per quanto aveva fatto. Per carità, non sto giustificando. Ma dietro ogni grosso crimine c’è sempre un qualcosa che non funziona a livello familiare».
Nel 2000 ha vinto il Premio Donna, nel 2002 il Premio Minerva per la Giustizia e il premio Donna, nel 2004 il premio Il Collegio e nel 2005 il premio Donna dell’anno 2005 della Regione Lazio.
Ha rappresentato l’Italia presso il Consiglio d’Europa presso il CDCJ, per il Reclamo Collettivo, presso il Comitato Permanente della Convenzione Europea sull’esercizio dei diritti del minore. È stata nominata nel 2009 Focal Point italiano presso il Consiglio d’Europa per i minori.

Fonti, risorse bibliografiche, siti

Simonetta Matone, Cristina Miliacca, Marina Romano, Il tribunale non risolve, Edizione Magi, 2006

Simonetta Matone, Prefazione a Antonella Colonna Vilasi, Io figlio parricida, Iris4 Edizioni 2009

Intervista

Referenze iconografiche: Simonetta_Matone. Fonte:  dati.camera.it. Creative Commons Attribution 4.0 International license.

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Maria Procino

Laureata in Lettere a Napoli ed in Archivistica a Roma è impegnata in progetti di recupero, riordino e valorizzazione di archivi di donne e di personalità della nostra cultura. Ha curato nel 1996 la mostra Eduardo a Milano, realizzata insieme a Isabella Q. De Filippo e Paola Ermenegildo, con la collaborazione del Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa. Ha partecipato alla cura di varie mostre su artisti italiani come Enrico Maria Salerno e Francesco Rosi. Fa parte dell’ANAI Associazione Archivistica Italiana. Ha pubblicato Eduardo dietro le quinte. Un impresario capocomico attraverso cinquant’anni di leggi, sovvenzioni e censura. 1920-1970, Roma, Bulzoni 2003 e, insieme a Margherita Martelli, Enrico Cuccia in AOI (1936-1937). Carteggio tra Enrico Cuccia e Alberto D’Agostino, 2007.

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