Sally Gabori è il nome europeizzato di una artista di origini aborigene considerata una delle più grandi australiane dell’ultimo ventennio.
Come d’uso presso il gruppo dei Kaiadilt a cui Sally apparteneva, il nome originario riportava il paese di nascita (Mirdidingki nell’isola di Bentinck, Queensland) e l’animale totemico (il delfino, chiamato Juwarnda dagli Aborigeni). I Kaiadilt furono una delle ultime tribù costiere a entrare in contatto con i colonizzatori; questo popolo viveva essenzialmente di raccolta e pesca, attività che impegnava anche Sally nella cura delle dighe di pietre utilizzate come trappole; Sally era inoltre una capace artigiana e trasportava il frutto della raccolta con borse intrecciate di fibre vegetali e con recipienti ricavati dai rami più grossi, impiegati anche per cullare i bambini.
I suoi undici figli nacquero in parte a Mirdidingki e in parte nell’isola di Mornington: qui la comunità kaiadilt – già dimezzata durante l’invasione europea – fu trasferita nel 1948 a seguito di diversi disastri naturali che avevano inquinato le falde acquifere dell’isola d’origine. Questo spostamento fu presentato come temporaneo ma si protrasse fino al 1986, assumendo le caratteristiche di un vero confino: sia i dominatori che gli altri popoli nativi di Mornington mal gradivano i Kaiadilt, che furono costretti ad adottare nomi e stili di vita occidentali e ad alloggiare sulla costa, separati dai più piccoli; questi rimasero affidati alla custodia dei missionari presbiteriani, i quali vietavano l’uso della lingua madre come prevedeva la politica governativa della cosiddetta “assimilazione”; il tradizionale sistema di parentela fu sconvolto, i sistemi aborigeni di legge e autorità furono scoraggiati e molti giovani, da pescatori quali erano, furono mandati a lavorare nell’entroterra.
Nonostante l’esodo i Kaiadilt mantennero un forte legame fra loro. La figura di Sally, che coltivava nel canto e nel lavoro gli usi e le credenze del passato, divenne centrale per l’intero gruppo, che manifestava profonda nostalgia per i propri luoghi e non si rassegnava all’esilio. Quando, dopo quasi quarant’anni di lotte, il Senato australiano riconobbe i diritti territoriali degli Aborigeni, anche la tribù kaiadilt ottenne di rientrare e abitare in un insediamento provvisorio. Ma poiché il marito di Sally era troppo anziano e malato, la pittrice riuscì a recarsi nella sua isola solo in saltuariamente. Tuttora i Kaiadilt non hanno modo di stabilirvisi definitivamente perché queste zone, lungamente abbandonate, sono ormai impraticabili durante la stagione delle piogge e non rispondono ai bisogni di una vera comunità, essendo prive di acqua potabile, scuole e assistenza sanitaria.
Nel 2005, quando Sally aveva già un’ottantina d’anni, la sua famiglia viveva a Mornington, dove esisteva da circa due decenni un centro Arts and Crafts; questa istituzione si occupava di produrre e commercializzare l’artigianato tradizionale, contando di aumentare le opportunità per la popolazione locale e attirare il turismo. Sally, già apprezzata come tessitrice, partecipò ad alcuni workshop che le permisero un primo approccio con tele e colori prodotti industrialmente. Il nuovo mezzo espressivo la entusiasmò al punto da indurla a dipingere in modo instancabile per gli otto anni successivi.
Altri gruppi aborigeni praticavano la pittura, ma i Kaiadilt non avevano tradizioni in merito e Sally poté esprimersi con una libertà inaudita, senza alcun condizionamento culturale. Dopo aver iniziato con i piccoli formati, l’artista si dedicò a tele monumentali e le ricoprì di strati spessi di colore vivido, alternato spesso a bianchi abbacinanti, procedendo a volte per vaste campiture, a volte per macchie più piccole e mosse.
In apparenza i suoi quadri non mostrano affinità con la pittura aborigena tradizionale e sembrano espressioni di arte astratta, ma in realtà essi hanno riferimenti molto concreti e figurativi. Tanto è vero che gli altri nativi si commuovevano alle prime mostre di Sally, riconoscendo nei quadri delle precise topografie: il mare, il fiume, le alghe, le saline, le zone di pesca, lande sabbiose, vegetazione, impronte di animali sul terreno. Una dimensione, quella topografica legata alla conoscenza della terra e dei percorsi, profondamente radicata nella cultura aborigena. Sebbene certe cromie assai accese possano sembrare irreali, esse riportano i colori di ciottoli e arbusti che emergono dalla sabbia o dal sale o dai neri e rossi della terra, disegnando i percorsi e le trasformazioni operate da generazioni di indigeni.
Queste riproduzioni trasmettono comunque anche le emozioni di Sally, che prima di dipingere rievocava sempre la sua terra con un canto, a volte malinconico ma spesso anche gioioso.
Attraverso la pittura Sally teneva viva la memoria dell’isola, contrastando efficacemente il tentativo di cancellazione programmato da uno Stato estraneo e ostile. Dato l’esproprio dell’idioma nativo e dovendo trovare un altro sistema per comunicare le sue storie, era naturale per lei fare ricorso alla pittura, facendo diventare questo linguaggio un vero strumento di resistenza.
Forte di tanta intensità, la sua opera ha raccolto entusiastici consensi sul mercato internazionale, dove i primi esemplari iniziarono a circolare a sua insaputa: infatti un amministratore del Centro, condannato dopo il 2020 per appropriazione indebita, li aveva messi in commercio incamerandone i proventi. Nel frattempo i quadri di Sally hanno acquisito grande valore, consentendole di raggiungere l’unico fine che le interessava: mantenere la famiglia e garantire ai suoi discendenti frequenti spostamenti verso l’isola materna.
Negli ultimi anni di attività la pittrice ha coinvolto anche le donne del parentado e altre artiste vissute sull’isola prima della migrazione del 1948. Insieme alle figlie Amanda ed Elsie ha dipinto tele di oltre sei metri e ha spinto anche Dorothy ed Helena – altre due figlie – a frequentare il Centro per l’Artigianato dell’isola di Mornington. La scelta di collaborare soprattutto con il ramo femminile della famiglia mostra che Sally, nella sua ricerca di un equilibrio fra passato e innovazione, riconosce il ruolo essenziale del materno nella trasmissione del sapere comunitario.
Dopo la sua morte avvenuta nel 2015, la Queensland Art Gallery | Gallery of Modern Art di Brisbane e in seguito la National Gallery of Victoria a Melbourne hanno presentato una grande retrospettiva del suo lavoro, rispettivamente nel 2016 e nel 2017. I dipinti di Sally Gabori sono ora presenti in molte delle più importanti collezioni pubbliche australiane e in diverse raccolte europee. La prima mostra italiana si è tenuta alla Triennale di Milano nel 2023.