Fu una delle più celebri pittrici del suo tempo, insignita della Legion d’onore, autrice di memorabili ritratti di cavalli e bestie feroci. Ma doveva supplicare la polizia perché le concedesse l’autorizzazione di indossare i pantaloni.
Marie Rosalie Bonheur, era nata il 16 maggio 1822 a Saint-Seurin, Bordeaux. Era la figlia maggiore del pittore Raymond Bonheur e di Sophie Marquis. Raymond fu il suo unico maestro, poiché all’epoca le Scuole di Belle arti francesi erano chiuse alle donne. Il pittore era anche un uomo di idee illuminate che, quasi involontariamente, passò alla figlia: “Non ho pazienza con le donne che chiedono il permesso di pensare”, sosteneva lei. In realtà, però, il padre era molto irritato dai suoi comportamenti trasgressivi. Né avrebbe voluto che facesse la pittrice. Poi cedette e la mandò al Louvre a copiare gli antichi maestri. Lei preferiva fiere, stalle e fattorie: adorava gli animali. Ciò non le impediva di andare a caccia: una foto la ritrae con Buffalo Bill, suo amico.
Rosa amava le donne. Conobbe Nathalie Micas a quattordici anni, nel 1837: l’amica ne aveva dodici. Non si sarebbero mai più separate e presto avrebbero inaugurato un regime matrimoniale quasi tradizionale. Tutto ruotava intorno al lavoro della pittrice che, ancora adolescente, già esponeva ai Salons. A diciannove anni era a quello di Parigi. Tema fisso: gli animali. Ammiratissimi dal pubblico.
A ventisei anni Rosa vinse la sua prima Medaglia d’oro: tra gli altri vincitori dello stesso Salone, Corot, Ingres e Delacroix. Per trovare l’ispirazione girava per i mercati di cavalli a Parigi vestita da uomo. “Che noia essere limitati nei gesti quando si è donna!”, esclamava. In Francia, però, portare i pantaloni, era, per una donna, reato dal 17 novembre 1800: lo è stato (perché la legge era stata dimenticata) fino al 2011. Rosa aveva dovuto così chiedere un permesso di sei mesi alla polizia e sollecitare più volte il rinnovo. Motivi di salute, recitava l’autorizzazione, che non si estendeva agli spettacoli, ai balli e agli altri luoghi di riunione aperti al pubblico.
Nel 1865 Bonheur divenne la prima donna insignita della Grande croce della Lègion d’Honneur: l’imperatrice Eugénie, moglie di Napoleone III, ci aveva messo dodici anni per vincere le resistenze e fargliela avere. E questo a riprova che, pur trovandola scandalosa, moltissimi ne riconoscevano il talento.
Nel 1860 aveva acquistato il castello di By, a Thomery, vicino Fontainebleau: ci andò a vivere con Nathalie. Vi allevava animali esotici, orsi e leoni compresi, e vi coltivava le sue passioni: musica, letture, teatro, ma anche sigari, caccia, cavalli. A Rosa interessava anche sezionare i cadaveri degli animali per studiarli meglio.
Parlava spesso di sé al maschile nelle sue numerose lettere a familiari e amici, e nulla di delicato traspariva nel suo aspetto, così massiccio e accompagnato da uno sguardo che alternava spavalderia e ironia. Eppure non era una donna dai tratti rudi: era capace di slanci romantici e sentimentali.
Dopo la morte di Nathalie, nel 1889, Rosa rimase sola per nove anni. Nel 1898 cedette alla richiesta di Anna Elizabeth Klumpke, una quarantenne e già affermata pittrice di San Francisco, di farsi fare un ritratto. Abbastanza a sorpresa, tra la settantaseienne Bonheur e la quarantatreenne Klumpke scattò la scintilla. “Siete abbastanza decisa per impegnarvi a non lasciarmi mai?”, le chiese l’anziana pittrice. “Sì, certamente e potete essere sicura che rispetterò religiosamente la mia parola”, rispose l’altra. Lo sappiamo da una biografia di Bonheur che Klumpke pubblicò nel 1908, anche per difendersi dalle accuse della famiglia di essersi appropriata dell’eredità. Rosa morì solo nove mesi dopo il loro incontro. Ma nel frattempo era davvero riuscita a “sistemare” la donna amata.
La madre di Anna aveva espresso sensate perplessità sull’unione: “non sei fatta per fare la dama di compagnia, vivere in campagna e alla sua ombra danneggerà la tua carriera, hai bisogno di lavorare in una grande città”, scrisse alla figlia. Anna le aveva risposto: “Se mi accorgerò di aver sbagliato, tornerò a Boston. Con l’esperienza acquisita insieme con un’artista che è così famosa negli Stati Uniti, troverò di sicuro dei ritratti da fare. Potrò anche aprire un corso per ragazze”.
La famiglia di Bonheur vedeva invece svanire una consistente eredità. Nel testamento, firmato l’8 novembre 1898, Rosa nominava Anna, “compagna e collega pittrice e mia amica”, erede universale. Per la famiglia una nota: “Dichiaro a chi mi ha giudicato molto ricca, che non avendo abbastanza beni da distribuire alla mia famiglia, per la quale ho fatto del mio meglio prima e dopo la morte di mio padre, ho stimato di avere il diritto, non dovendo nulla a nessuno, di proporre a Mademoiselle Anna-Elisabeth Klumpke, che svolge la mia stessa professione, che ha già da sé una posizione molto onorevole… di dividere la mia vita e di restare con me, ricompensandola e garantendola, poiché, per vivere con me lei ha sacrificato la sua posizione personale che già si era assicurata”.
Rosa, che sarebbe morta il 25 maggio 1899, decise poi di aggiungere al testamento una lettera. La scrisse il 28 novembre 1898: “Penso di avere adesso il diritto di vivere per me stessa e di disporre a mio piacimento dei miei beni, non avendo figli, né provando tenerezza per il sesso forte, a parte una franca e buona amicizia per coloro che ho stimato”. Odiava gonne e vezzi da damine, ma aveva detto: “la mia natura brusca e perfino un po’ selvaggia non ha mai impedito al mio cuore di restare sempre perfettamente femminile”. E ribadendo, a proposito delle donne che ne avrebbe sostenuto “l’indipendenza fino al mio ultimo giorno”, aggiungeva: “Del resto sono convinta che a noi appartenga l’avvenire”.