Voi per cui scrissi, o belle giovani donne!
Voi che, sole, ho amato
(Vous pour qui j’écrivis, À l’Heure des Mains Jointes, 1906)Come dimenticare la pesante piega
delle tue belle anche serene
l’avorio della tua carne ove corre
il fremito azzurro delle vene? (Chanson, Ètudes et Préludes)
Renée Vivien (Pauline Mary Tarn, 1877-1909), nata a Londra da padre scozzese e madre americana, fu una colta e raffinata poeta che ebbe Parigi come città d’elezione e il francese come lingua letteraria. In fuga da una madre ostile, la ribelle Pauline, timida e appassionata, anticonvenzionale, coltissima e determinata nella sua vocazione poetica, ebbe fin da giovanissima amicizie ardenti, ma l’incontro che segnò un punto di svolta della sua vita fu quello con un’altra famosa espatriata, Natalie Clifford-Barney, avvenuto nel 1899. Barney, ereditiera americana già nota per le sue “scandalose” avventure con donne, era destinata a diventare centro di aggregazione di una vivace comunità intellettuale e artistica femminile nella Parigi d’inizio Novecento. L’amore per Natalie ispirò a Pauline-Renée molte poesie e lo scritto in prosa Une femme m’apparut (Donna m’apparve, 1904), in cui già si delinea la sua visione che oggi definiremmo femminista radicale del rapporto tra i sessi: “(Gli uomini) non li amo né li detesto. … Rimprovero loro di aver fatto molto male alle donne. Sono avversari politici…”
Vivien da un lato sceglie per sé l’ambiguità, l’ambivalenza, l’androginia (l’androgino compare spesso nei suoi scritti, e le sue prime poesie, Ètudes et Préludes, 1901, firmate “R. Vivien” fanno pensare ai commentatori che si tratti di un giovane poeta che canta i fascini della sua amante), ma allo stesso tempo rivendica l’appartenenza al suo sesso e celebra “la vita armoniosa, ardente e sincera di Saffo” (impara il greco per poter tradurre la poeta di Lesbo). Decostruisce e reinterpreta l’immaginario poetico decadente e i suoi accessori: pallide donne chimera, metamorfosate in animali, che si chinano sulle loro giovani prede, infliggendo loro voluttà tormentose, gigli che languiscono e un vero e proprio culto della morte. Ma se lo stile è ottocentesco, nuovi sono i contenuti: l’amore per le donne, il rifiuto dell’eterosessualità e la creazione di un universo poetico interamente femminile. Vivien scrive anche in prosa, ed è soprattutto nei racconti che dà voce a una sensibilità del tutto moderna, a un femminismo tormentato e violento che si trama di accenti satirici e surreali e parla in un linguaggio crudo intriso di humor grottesco. È insomma una scrittrice complessa, che non è mai stata dimenticata del tutto e che in anni recenti è tornata a essere oggetto di riscoperta e di studi che ne mettono in luce la multiforme ricchezza.
La storia tra Natalie e Renée dura poco, ma il loro legame continua: Renée fugge, Natalie – che è tutto fuorché monogama, ma ha il culto dell’amicizia e riconosce le doti e i talenti di Renée – la insegue (biglietti, fiori, serenate sotto la sua finestra, con la nota cantatrice Emma Calvé), un viaggio in Grecia per rifondare i fasti di Saffo, finché un giorno di novembre del 1909 Natalie, che bussa alla porta di Renée con in mano un mazzo di violette, si sente rispondere dal maggiordomo che le apre: “Mademoiselle vient de mourir” (La signorina è morta or ora).
La breve vita di Renée, durata appena trentadue anni, è variegata e piena di chiaroscuri: vi compaiono una liaison con una ricchissima baronessa della casata dei Rothschild e una con la moglie di un diplomatico turco, che Renée visita quando passa da Istanbul; importanti amicizie maschili, soprattutto quella con il suo mentore, il poeta Jean Charles-Brun; numerosi viaggi in terre lontane, una casa trasformata in tempio di arte orientale, eccessi di alcol e forse anche di sesso, frequentazioni di prostitute, anoressia, depressione, tentativi di suicidio; una ricca produzione scritta che comprende una ventina di raccolte di poesie, diversi libri in prosa, migliaia di lettere edite e inedite. Non solo poeta, ma intellettuale, studiosa e donna profondamente ribelle, Renée in vita non si sentì riconosciuta, bensì condannata dai contemporanei, “inchiodata alla gogna” e frustata dai loro insulti; e coltivò, con la sua sensibilità esasperata, un senso di fallimento e autodistruttività che certamente contribuì alla sua fine prematura. Dirà più tardi Natalie: “la sua vita è stata un lungo suicidio, da cui ho cercato invano di salvarla, ma non era forse predestinata, visto che tutto, nelle sue mani, diventava Cenere e Polvere?” (Cendres et Poussières, 1902, è il titolo di una raccolta di versi di Renée.)
Renée Vivien, trasformatasi negli anni in un vero e proprio mito, ha ispirato e ispira curiosità e appassionato interesse; sulla sua tomba al cimitero di Passy vengono ancora oggi deposti i suoi fiori preferiti, le violette. Si dice che a lei risalga la scelta del viola come colore simbolo dell’omosessualità femminile. Di lei hanno parlato, tra gli altri, Colette (Il puro e l’impuro), Natalie Clifford-Barney (Souvenirs Indiscrets), e la poeta catalana Maria Mercé Marçal nel suo romanzo La passione secondo Renée Vivien.