Era bella, grande, maestosa. Occhi azzurri e quelle fossette nelle guance che assicuravano cordialità. Soprattutto, aveva una voce d’angelo. Anzi “la” voce d’angelo, come la definì Arturo Toscanini, qualifica che le rimase per antonomasia.
Renata Tebaldi era nata a Pesaro l’1 febbraio 1922. Papà marchigiano, mamma emiliana. I due si separarono e Renata, afflitta nei suoi primi anni da una paralisi infantile di cui accusò sempre leggeri postumi nel camminare, diventò grande a Langhirano, terra parmigiana che trasuda opera lirica. Di lì le rimasero l’accento e l’allegria, mentre la caparbietà era piuttosto retaggio paterno.
La bambina, rimasta figlia unica e cresciuta nell’ambiente famigliare materno – pochi soldi ma molto affetto – dimostrò subito attitudini musicali. In famiglia decisero di “farle studiare pianoforte”. La maestra stava a Parma, città da raggiungere alzandosi alle cinque del mattino e sobbarcandosi due ore di treno dopo un sostanzioso percorso a piedi. “Non essendo portata agli svaghi della mia età, mi pareva del tutto naturale scegliere l’unica cosa che mi interessasse – dirà poi Renata – e una volta scelta ritenevo di fare semplicemente il mio dovere, quindi non soffrivo per gli sforzi cui mi sottoponevo”. Sarà questa la caratteristica di tutta la vita della cantante. Uno smisurato senso del dovere.
Aveva diciassette anni quando la sua insegnante di pianoforte, sentendola cantare, giudicò opportuno farle passare un’audizione in Conservatorio a Parma dove, con un anno di anticipo sull’età prescritta, fu ammessa al corso del mitico maestro Ettore Campogalliani, tra i più grandi conoscitori di voci del suo tempo. A decidere definitivamente della carriera di Renata Tebaldi, fu poi il celebre soprano Carmen Melis, per caso incontrata a Pesaro in una pasticceria. Ascoltata la giovanissima allieva, la Melis si offrì di darle lezioni gratuitamente per tutto il tempo della sua permanenza nelle Marche e la voce della ragazza, lavorata a dovere dalla grande esperta, si rivelò infine in tutta la sua bellezza.
Il debutto avvenne in piena guerra a Rovigo, cittadina raggiunta con mezzi di fortuna, dopo che il treno aveva dovuto fermarsi per i continui attacchi aerei. L’opera era Mefistofele di Boito, la parte quella di Elena, la data il 23 maggio 1944, giorno che giocherà un ruolo decisivo nella vita di Renata Tebaldi.
Le tappe della cantante, una delle più acclamate al mondo, sono note, a cominciare dalla storica audizione con Toscanini che, preparando il suo ritorno alla Scala dopo gli anni di “esilio” americano, stava cercando voci nuove per il concerto di inaugurazione e per la prossima stagione lirica. Nonostante la grandissima emozione per l’incontro con il Maestro, la timida Renata si presentò con un pezzo di grande difficoltà – La mamma morta – da Andrea Chénier di Giordano. Cantò e aspettò in silenzio. Poi Toscanini pronunciò l’oramai celebre “Brava! Brava!”
Nel salotto del soprano oramai celebre, sul pianoforte a coda ha sempre troneggiato, in cornice d’argento, la fotografia del Maestro con la dedica “A Renata Tebaldi, coi più fervidi auguri di una luminosa carriera. Ricordo di Arturo Toscanini” (non risulta che il leggendario direttore d’orchestra abbia scritto altre dediche come questa).
La strada era segnata. Renata Tebaldi fu scelta per cantare nel concerto di inaugurazione della Scala ricostruita dopo la distruzione bellica: 11 maggio 1946. Le fu affidata la preghiera del Mosè di Rossini e la parte solista del Te Deum di Verdi. Qui lei si trovava al centro del coro e Toscanini, non individuandola bene, pronunciò la frase che avrebbe marcato con caratteri di fuoco tutta la vita della cantante “Mettetemi in alto la ragazza. Voglio che questa voce d’angelo scenda davvero dal cielo”. E voce d‘angelo fu.
Considerata una delle, o forse “la” più bella voce lirica del dopoguerra, ampia e calda, poco portata alla coloratura e non di ampissima estensione ma di timbro sopraffino, grande musicalità e scuola irreprensibile. Il suo repertorio, senza essere sterminato, toccò anche Rossini (Assedio di Corinto, Guglielmo Tell) e Wagner (Lohengrin, I Maestri Cantori, Tannhauser) sempre cantato in italiano. Per non intaccare la bellezza proverbiale della sua voce, evitò il francese per non assumere intonazioni nasali, il tedesco per non prendere suoni gutturali. Eccelse nei ruoli lirici della fine del XIX secolo, sia di Verdi, Boito, Catalani sia della Giovane Scuola: Puccini, Giordano.
Dopo il travolgente debutto con Toscanini, Renata Tebaldi giudicò opportuno consolidare il suo repertorio cantando molto anche in provincia e con tournées all’estero, ma La Scala l’aveva già considerata la sua regina.
Poi successe qualcosa: l’arrivo di una cantante greca con voce stratosferica, non perfetta ma di enorme magia, repertorio sconfinato che andava dalla Norma alla Sonnambula, dal Tannhauser alla Traviata, dalla Gioconda alla Medea: Maria Callas. Sposata all’industriale veronese Giambattista Meneghini, aveva occhi (sia pur miopi, o forse proprio per quello) da maga e un gioco scenico irresistibile. Alla Scala, sostenuta dal sovrintendente Ghiringhelli e divenuta beniamina della haute milanese, Callas stava monopolizzando il campo. Tebaldi, voce angelica, saggezza nostrana, tutta casa/teatro/chiesa, mamma e governante al seguito, non era portata ai duelli. Con intelligenza lungimirante accettò l’invito del Metropolitan di New York e in un batter d’occhi ne divenne l’incontrastata dominatrice. Tra le due primedonne ci furono sulla stampa alcuni battibecchi. In uno Maria Callas tacciava Renata Tebaldi di “mancanza di spina dorsale” per non aver accettato il confronto aperto con lei. Al ché Tebaldi replicò “Sarà, ma io ho una cosa che non ha lei: il cuore”. E fu guerra, forse, montata da media e fans, più virtuale che non reale. Ma rivalità certamente sì, benché tra le due artiste, lontane come l’aria e il fuoco, non potevano esserci paragoni.
Tra i personaggi che meglio identificano Renata Tebaldi è Desdemona (Otello di Verdi), con cui debuttò in America nel 1955 accanto a del Monaco, uno dei più osannati Otello di tutti tempi. Eppure i giornali scrissero “In questo caso l’opera dovrebbe intitolarsi Desdemona”. Lui non ne fu particolarmente lusingato, ma con Renata costituì una delle coppie della lirica più affiatate, senza mai uno screzio. Al Met Tebaldi regnò indisturbata per quasi vent’anni e quando vi tornò nel 1995, dopo vent’anni di assenza, per presentare la sua biografia, il sindaco Giuliani le organizzò una settimana di festeggiamenti, coronata da un “Tebaldi’s day”. Le persone che sfilarono al Lincoln Center per incontrarla e farsi firmare il libro furono stimate intorno alle cinque mila, lei strinse le mani degli ammiratori per otto ore.
Quale il versante sentimentale della vita di simile diva? Un disastro, come capita a molte grandi donne di successo. Lasciato senza rimpianti a vent’anni il fidanzato parmigiano che le aveva chiesto di rinunciare alla carriera, ebbe un’infelice relazione con Arturo Basile, relazione che troncò lei, con molto soffrire, “perché non ho mai permesso a niente e nessuno di distruggere il mio equilibrio etico”.
Un giorno chiuse anche con il canto, quietamente, senza drammi, con l’ultimo grande concerto alla Scala: il 23 maggio 1976, esattamente trentadue anni dopo il giorno del suo debutto. Coincidenza studiata? No, pura coincidenza. Concesse sette bis. Chiuse la serata con “Non ti scordar di me”. Il pubblico in piedi strepitava, cantava, piangeva.
Gli ultimi anni della sua vita passata da un trionfo all’altro, nei grandi teatri di tutto il mondo, Renata Tebaldi li trascorse tra Milano e San Marino, contornata da molti amici e fans adoranti, in compagnia del barboncino New e fedelmente accudita dalla mitica Tina Viganò. Morì il 19 dicembre 2004, a ottantadue anni. Riposa nel piccolo cimitero di Langhirano, nella cappella che lei aveva fatto costruire per la sua mamma. Sulla sua tomba ci sono sempre fiori freschi.