Raffaella Spera è nata a Potenza il 27 novembre 1931 e si è spenta a Roma il 5 gennaio 2017, poeta, scrittrice, editrice, promotrice culturale. Dopo essersi laureata in Storia e Filosofia a Napoli, ha scelto di viaggiare, recandosi prima in Medio Oriente e poi in Africa, dove per vari anni ha insegnato Lettere nelle scuole italiane all’estero, si è poi stabilita definitivamente a Roma. Della sua attività a Roma, va ricordata la co-direzione della galleria Artanciel in via Margutta e della casa editrice Rossi&Spera. Con Mario Lunetta e Dario Puccini ha curato una collana di poesia italiana per la casa editrice Carte Segrete e per molti anni cicli di incontri fra letterati e pittori. Ha collaborato con la RAI-TV, scrivendo testi radiofonici, e con numerose riviste. Nel 1996 Raffaella Spera ha donato alla Biblioteca di “Isabella Morra”, istituita da Ester Scardaccione, allora presidente della CRPO della Basilicata, alcune sue opere.
Nel cercare notizie su Raffaella Spera mi sono imbattuta nell’inserzione “Cercasi A.A.A. Raffaella Spera” sul blog di una giovane lettrice-scrittrice e ho trovata esatta questa esigenza di ricerca, in effetti, in ogni riferimento alla poeta lucana emerge questo bisogno di sapere di più, di contestualizzarne la particolare cifra poetica e di leggere di più della sua produzione. Un desiderio che mi ha accompagnato nel lontano 1994, quando cercai di mettermi in contatto con lei, ma non la trovai disponibile a farsi intervistare e a darmi un contributo diretto della sua vita e poesia, motivo per cui dovetti limitarmi a commentare i suoi versi in una mia ricognizione della poesia delle donne lucane. E oggi, ne sappiamo di più? In occasione della notizia della sua scomparsa la sua figura è riemersa dalla memoria dei suoi concittadini di Potenza: chi ne ha parlato come della ragazza più bella di Potenza, chi ne ha lodato l’impegno di sperimentazione poetica e i profondi interessi nel capo della pittura e della scrittura, ma sempre con lo sguardo rivolto ad un passato lontano e in qualche modo frammentario. E’ come se ad un certo punto la sua figura si inabissasse per riemergere a tratti, lasciando intatto il desiderio di ricoprirne la poesia, proprio come annota Natalia Castaldi nel suo blog.
Nella prefazione a Segni minimi, Nuove Edizioni, Vallecchi 1975, Elio Pecora affermava: “È partita Raffaella Spera per città dell’Africa e dell’Asia. È lontana, in un tempo diverso… Dentro i mattini roventi e improvvisi dell’Arabia, davanti alle montagne viola di Nayria, non odorava il basilico lucano, non cantavano le cicale, eppure le tornavano laggiù, lassù, ricordi antichi e dolorosi, sussulti adolescenti, e il presente spariva in quel passato di dense solitudini e ancora tendeva l’orecchio ai passi notturni delle sue attese infantili”.
Il mondo del Sud appare effettivamente legato alla sua esperienza di adolescente in fuga e, quindi, ad un ricordo dall’effetto mitizzante, che si traduce stilisticamente in intonazioni scotellariane, mediate attraverso il comune ma personalissimo bisogno di sconfinare dal luogo d’origine che è alla radice della scalmana di Uno si distrae al bivio (R. Scotellaro, Uno si distrae al bivio , Basilicata Editrice, 1974 con Prefazione di Carlo Levi). Di questa scalmana ci parla Spera nella lirica Nostalgia (in Segni minimi)
Nostalgia
Sul balcone di casa mia
una volta fioriva l’oleandro
tra cespi di basilico
e la testarda saggezza di mio padre.
Mentre l’unghia scalfiva un fiore
un odore inquieto e selvatico
mi preparava alla fuga.
Uscii dall’infanzia
con una ardente frenesia di vivere.
Ora che sono lontana
e la mia voce chiama
senza risposta
vicoli grigi e viola
tornano affollati di spettri
muti e consumati.
Ora sì
il passato mi appartiene
e mi pare un inganno.
Ma già nella raccolta Differenziato del 1977, si fa strada l’aggressione contro l’elegiaco e il nostalgico in nome di una visione drammatica del presente che non consente ricuciture e compensazioni, né tanto meno, indulgenze, come in La poesia del Sud (in Differenziato)
La poesia del Sud
è un parco da smantellare
Ad ogni angolo un’aggressione
perfino l’occhio del tacchino è cattivo
Quattro scalini per trovare un parroco
(parroco di città
sia ben chiaro)
ex voti da subappaltare
il tabernacolo traballante retto dai peccati
(tutti rimessi
sia ben chiaro)
La processione del Santo esige lo scettro
e procura distanze e mediazioni
A commento di questi versi e di altri di Spera, ai quali ben si attaglia la definizione di sperimentali, efficaci le parole di R. M. Fusco: E saremmo nello sperimentale puro, nel gioco verbale fine a se stesso, se non fosse per quei lacerti di vita, di cronaca che malgrado tutto permangono, scorie, scarti preziosi per la decifrazione dell’insieme. Questi lacerti di vita che affiorano dai residui di viaggi andini o arabi conservano precari ma significativi legami tematico-linguistici con il passato biografico-poetico lucano, quando Spera si interroga in Il doppio misto:
[…] c’era da chiedersi
dove andare
come
andare
o verso l’inesplorato (passato deformato)
o verso Gerico (pochi metri quadrati)
tra gruppi di uva dolcissima […]
In questi versi non è possibile non rintracciare legami con il rilievo biografico della già citata lirica Nostalgia.
A legare i testi di Spera è la prevalenza di segnali olfattivi e visivi disseminati a ricomporre, nonostante la dispersione dell’io ai confini dell’annullamento, una geografia esistenziale, resistente ad ogni sfida, fatta di un oggi, in rapporto di odio/amore con la memoria dello ieri, e di un qui, in rapporto di odio/amore con la terra d’origine (o forse con il proprio ventre fertile di madre) per ricomporre la linea: balcone di casa-fossato-muro – Arequipa-Viracocha-Gerico – ventre disboscato, e conquistarsi una nuova pace, ottenuta per disincanto e sprovincializzazione, come documenta la raccolta L’acquario. (Forlì 1984). Ettore Catalano vi rileva un processo di smarrimento disidentificante che sembra approdare a una conquistata dimensione di liquidità materiale. A livello esistenziale ciò corrisponde al raggiungimento del porto cercato e quindi a uno sguardo, sul mondo personale e storico, più pacato, possibile ora perché libero dai lacciuoli del passato verso i quali ha tenuto un atteggiamento sempre antagonistico, riemergendone senza brucianti contraddizioni come pista sulla valle e muschio staccato dal volto (in Intanto), anche se non senza un’amarezza di fondo, tipica di chi esce dalla scommessa della vita e della storia con qualche saggezza, peraltro di arcaica matrice, personalmente scontata.
Oltre a Segni minimi, Nuove Edizioni Vallecchi 1975, con prefazione di Elio Pecra, Differenziato, Edizioni Lacaita, Manduria 1977, con prefazione di Mario Lunetta, finalista al Premio Comino e al Premio Viareggio 1978, Il doppio misto, Edizione Nuove Scritture, Milano 1983, con prefazione di Cesare Milanese, finalista al Premio Comino, L’acquario, Edizione Quaderni di Nuovo Ruolo, prefazione di Mario Lunetta e postfazione di Stefano Lanuzza, Forlì 1984, di cui ho citato alcuni testi, Raffaella Spera ha pubblicato Zentrum, Edizioni Carte Segrete 1979, con incisioni all’acquaforte di Titina Maselli, selezionato al Premio Viareggio, Free lance, Edizioni Carte Segrete 1986, con disegni di Giacomo Porzano, Il vantaggio del tratto, con prefazione di Francesco Muzzioli, Edizioni Carte Segrete 1982, il romanzo Deserti, Manni Editore nel 2008, con prefazione di Mario Lunetta, La vita che rimane, Casarsa editore 2014, con prefazione di Mario lunetta e disegni di Michele Spera, XXX. Poesia agli infrarossi, Casarsa editore 2016, con prefazione di Mario lunetta e disegni di Michele Spera, Emigranti di poppa, emigranti di prua (con Michele Spera), con un saggio di Domenico De Masi (Gangemi Editore, 2016).