Una bambina di appena dieci anni, dalla pelle e dai capelli chiari, strappata selvaggiamente, insieme al suo fratellino, dalla casa paterna da un re, il quale la porta in ostaggio nella sua reggia, attratto dalla sua bellezza: è una storia brutale e non rara ai tempi nei quali visse Radegonda. Il padre della bambina è il sovrano della Turingia, sconfitto in una delle continue guerre che dilaniavano le tribù germaniche. Il re che la cattura è Clotario, uno dei figli ed eredi di re Clodoveo, fondatore della dinastia franca dei merovingi destinata a regnare per tre secoli.
Accadeva millecinquecento anni fa: i luoghi sono quelli in cui era vissuta cent’anni prima Genevieve di Parigi: quell’Europa spezzata nell’agonia dell’Impero romano, straziata dalle guerre e dalla povertà. I Germani erano subentrati ai Galli e la dinastia franca, discendente da Clodoveo, si divideva il potere sulle terre di quel paese che cominciava a essere noto con il nome di Francia.
Le vicende e il personaggio di Radegonda, pur appartenendo a un’epoca lontanissima, dicono qualcosa di molto interessante anche per noi.
Clotario ammirando la bellezza della ragazza decide di sposarla e la manda a studiare per qualche anno in monastero perché vuole che Radegonda abbia una istruzione degna di una regina. È questo un primo fatto su cui riflettere: Clotario è un re barbaro e violento, ma pensa che una regina, per il prestigio di chi detiene il potere, debba distinguersi per la sua educazione, non solo per la sua bellezza. Due biografie ci tramandano la storia di Radegonda regina. La prima di Venanzio Fortunato e l’altra di Baudonivia, nata negli ultimi decenni del secolo VI, morta a Poitiers nel primo decennio del VII secolo: in entrambe si percepisce la estraneità morale e culturale della donna nei confronti del marito violento, il quale arriva persino a uccidere, per gelosia forse, il fratello di Radegonda, l’unico vero affetto rimastole nella reggia del nemico. Radegonda è cristiana e la motivazione della sua fede è profonda e diversa da quella di Clotario, anche lui cristiano, ma per ragioni e opportunità politiche.
La donna vuole vivere la vita religiosa in modo completo e fugge inorridita dalla dimora del re dove regna la violenza e dove il marito la vuole riportare a forza. Si narra che Radegonda, fuggendo attraverso i campi per salvarsi dai soldati del re che la inseguono, si nasconda fra le spighe di un campo di avena appena seminata che miracolosamente e improvvisamente cresce per proteggerla: come nella storia di Geneviève ritorna la presenza dominante della natura, della verde campagna che copriva allora le pianure d’Europa circondando le poche e isolate città.
La donna si rivolge al vescovo di Noyon perché riconosca ufficialmente la sua scelta religiosa: il vescovo esita, non vuole spiacere al re potente e vendicativo. Radegonda entra allora nella cattedrale, getta a terra il manto regale, chiama a gran voce il prelato e davanti a lui si riveste con il nuovo abito monacale. A Poitiers, città dei Franchi fondata dai Romani e un tempo appartenente ai Galli, fonda un monastero dove vivrà fino alla morte.
Vent’anni dopo, Venanzio Fortunato, letterato latino già illustre, nato a Valdobbiadene, si ferma al monastero della regina durante il suo pellegrinaggio iniziato dalla valle del Piave e concluso a Tours, sulla tomba di san Martino al quale attribuiva il miracolo della guarigione da una grave malattia. Al monastero il giovane Fortunato rimane affascinato da Radegonda che «in lui ritrova l’affetto insieme casto e pieno che l’aveva legata al fratello perduto» (C. Leonardi). Fra Radegonda, Fortunato e Agnese, la badessa del monastero, nasce in quegli anni uno scambio di lettere e poesie che raccontano i comuni interessi spirituali, ma anche l’attenzione condivisa per alcuni temi politici e culturali del regno, testimoniando l’intensa amicizia e il reciproco profondo affetto che li lega. Qualcuno li mette in guardia sulle voci malevole che corrono a proposito del loro scambio epistolare così ricco affettivamente. Di tutto il carteggio sopravvivono molte lettere di Fortunato e solo due lettere di Radegonda.
Dopo la morte di lei, Fortunato scrive una biografia dove rappresenta l’amica come una “nuova Marta”, esempio dell’unione fra contemplatio e actio. L’aspetto attivo della vita religiosa era il carattere più saliente del nuovo mondo monastico germanico, una trasformazione dovuta alla recente conversione dei popoli, alla cultura dell’etnos e alla necessità di essere presente nella folla dei poveri da soccorrere nelle guerre e le carestie. Tutto ciò doveva essere compiuto oltre e insieme alla preghiera e alla meditazione: Radegonda era stata esule e prigioniera di guerra prima di essere regina e conosceva molto bene la tragedia dei vinti. «Le sembrava che tutto quello che non donava ai poveri andasse perduto», scrive il biografo. Dopo la morte di Fortunato una donna, la monaca Baudonivia, continuerà la sua opera e scriverà su richiesta delle consorelle una nuova biografia. È una delle prime donne che scrivono in quei secoli duri e precari, si sente “piccola fra le piccolissime” e afferma di aver accettato l’impegno soltanto per aggiungere ciò che Fortunato aveva dovuto tralasciare. Il suo latino è rozzo e più povero di quello del letterato italiano, ma l’immagine che dà di Radegonda è più interessante e complessa di quella lasciata da Fortunato. Si ferma a osservare i pensieri e i dubbi della regina che ha abbandonato le «dolcezze della vita di corte per non allontanarsi da Cristo», e forse un poco rimpiange le possibilità di azione che la sua alta posizione sociale le offriva. Il mondo fuori dal chiostro infatti occupa ancora i pensieri di Radegonda che – scrive Baudonivia – «è preoccupata per la pace e la salvezza della patria». È una delle prime volte che il termine “patria” sta a significare per un cristiano non la vita ultraterrena, ma la terra dove si vive. Scrive Baudonivia: «Preoccupata per la pace e la salvezza della patria ogni volta che i re scendevano in guerra Radegonda pregava per la vita di tutti e ci insegnava a pregare per loro… Quando i conflitti scoppiavano si metteva a scrivere all’uno e all’altro re invitandoli a deporre le armi e conservare il bene della pace».
La patria – è evidente in molti passi della biografia di Baudonivia – è per Radegonda la Francia minacciata all’interno dalle contese dei re. Nelle due biografie di Radegonda ritornano più volte i nomi di Gregorio il grande, vescovo di Tours e di san Martino che avevano insegnato ai Franchi la nuova fede: «è anche su questo asse Tours – Poitiers che si crea intorno a questi nomi una consapevolezza nuova. È straordinario che la voce di una monaca, incerta nel suo latino, sappia manifestare una coscienza spirituale e politica così significativa.» (C. Leonardi).
Secondo la testimonianza dei due biografi Radegonda aveva operato miracoli in favore della sua gente per una convivenza più sicura e pacifica: al pari di Geneviève, di Martino e Gregorio di Tours, la monaca regina è una santa “civile”, attiva nel mondo, un esempio per il nuovo popolo cristiano diviso allora in gruppi etnicamente diversi e spesso fra loro ostili.
Nell’immagine: Miniatura dal manoscritto sulla vita di santa Radegonda (Poitou, XI secolo, Bibliothèque municipale de Poitiers). La parte superiore narra la vita materiale della santa, la parte inferiore la vita spirituale.