Pia Tassinari (nome di battesimo Domenica) nasce a Modigliana il 15 settembre 1903 in una famiglia di modeste condizioni. Il padre lavora in un mulino, la madre, casalinga, si prende cura dei sei figli. Pochi anni dopo la famiglia si trasferisce a Faenza e la piccola Pia frequenta l’Istituto Righi, un collegio religioso che aiuta giovani bisognose.
Qui l’insegnante Ines Berardi Trerè scopre il talento musicale della bambina e comincia a impartirle lezioni di canto. Poi, rendendosi conto delle potenzialità dell’allieva, consiglia di farle frequentare il Conservatorio a Bologna e poiché la famiglia non dispone di mezzi sufficienti, sollecita la generosità di alcuni sostenitori faentini per rendere possibile l’iscrizione.
Pia viene convocata per un’audizione dopo la quale gli esaminatori la dichiarano “ammessa”. Essendo all’epoca pressoché analfabeta, Pia capisce “va a messa, va là”, parole che nel gergo familiare significano “non sai far niente”. Sarà la Berardi a chiarirle l’equivoco e a rasserenarla.
A Bologna viene seguita dal maestro Alessandro Vezzani fino al conseguimento del diploma. Tuttavia, dopo averlo ottenuto, si rende conto di non disporre ancora di una preparazione adeguata per realizzare il suo sogno di diventare cantante lirica. Decide quindi di trasferirsi a Milano sapendo che è l’unica piazza dove potrà affinare le sue doti canore, acquisire una reale esperienza del teatro lirico e soprattutto trovare i contatti giusti. Negli anni della formazione milanese segue le lezioni del maestro Manlio Marcantoni, che le insegna gratuitamente, convinto del talento dell’allieva, con l’accordo che il debito sarà onorato con i primi proventi della carriera, come poi effettivamente avverrà. Tuttavia, non disponendo ancora di sufficienti mezzi di sostentamento, nel 1924 Pia accetta di incidere su disco brani “leggeri” e poiché considera il cantare “canzonette” una sorta di tradimento nei confronti dei sostenitori che le hanno pagato gli studi per diventare soprano, assume lo pseudonimo di Pia Rossi. Manterrà poi il nome Pia come nome d’arte.
Il sospirato debutto avviene a Casale Monferrato il 13 dicembre 1927 nel ruolo di Mimì nella Bohème, e resterà per sempre indelebile nella memoria della cantante. Appena entrato in scena il tenore stramazza a terra ubriaco. Lo spettacolo viene portato a termine grazie a un sostituto trovato in fretta e furia che però durante l’esecuzione ammicca sfacciatamente ad alcune ammiratrici presenti tra il pubblico. Nonostante il tragicomico esordio, la sua carriera comincia a decollare e si aprono per lei teatri sempre più importanti.
Viene scritturata in rapida successione dal Carlo Felice di Genova, poi dalla Fenice di Venezia, poi Parma, Modena, Padova, Palermo e, finalmente, la consacrazione alla Scala, nel marzo 1932, dove interpreta in prima assoluta Il Favorito del Re di A. Veretti. Dal 1933 avvierà una proficua collaborazione col Teatro dell’Opera di Roma, che durerà fino al 1944 e, dopo la guerra, anche se non continuativamente, per tutti gli anni Cinquanta.
Notevole anche il suo impegno per diffondere la lirica attraverso l’emittente di stato EIAR/RAI con cui collabora dal 1931 al 1959 cantando ben ventidue titoli, oltre a partecipare per nove volte ai famosi concerti Martini e Rossi. Contemporaneamente ha inizio anche la sua carriera internazionale che la porta all’Opéra di Parigi, al Sao Carlos di Lisbona, al Metropolitan di New York e in numerosi altri importanti teatri in Russia, Nord e Sud America, Giappone e Australia.
“Dotata di una voce non molto estesa, ma di impasto dolce, suadente e straordinariamente omogeneo” (F. Battaglia) la Tassinari eccelle, nella prima fase della carriera, nei ruoli di soprano lirico puro dell’operistica postverdiana (Mefistofele, Bohème, L’Amico Fritz, Manon, Manon Lescaut, Adriana Lecouvreur, Tosca) con rare incursioni in territorio wagneriano (Lohengrin) e verdiano (Otello e Falstaff). A partire dal 1940 comincia a interpretare Carlotta del Werther, un ruolo che comporta una vocalità tra soprano e mezzosoprano, trovandosi completamente a proprio agio con Ferruccio Tagliavini, divenuto suo marito nel 1941, col quale porta sulle scene l’opera di Massenet innumerevoli volte in Italia e all’estero.
“Nel dopoguerra passa gradualmente al repertorio di mezzosoprano, riuscendo a conservare i notevolissimi traguardi interpretativi raggiunti per merito della sua eccezionale musicalità e dell’ottimo livello tecnico” (F. Battaglia). Come mezzosoprano, anche grazie ai consigli e al sostegno del marito, le si aprono nuove opportunità interpretative (Boris Godunov, Cavalleria Rusticana, Aida, Sansone e Dalila, L’arlesiana, Un ballo in maschera) e, soprattutto, Carmen, opera cantata con maggior frequenza negli ultimi anni di carriera, che si conclude proprio con il capolavoro di Bizet a Filadelfia nel 1962.
Al culmine del successo e della fama non c’è più nulla nella Tassinari che ricordi la ragazzina semianalfabeta che non aveva capito di essere stata “ammessa” al Conservatorio. Certamente non ha dimenticato le sue origini, tant’è vero che talvolta le piace definirsi scherzosamente una rumagnulàza, una “romagnolaccia”, ma ora è una donna colta, che parla un perfetto italiano, dai modi eleganti e signorili, senza affettazione, semplice e schietta nel rapporto con gli addetti ai lavori e i numerosi ammiratori.
Nel mondo della lirica, contrassegnato fisiologicamente da rivalità e maldicenze, non si odono da lei parole men che rispettose nei confronti di colleghe e colleghi. “Antidiva per eccellenza” (P. Malpezzi) anche quando è già un’affermata prima donna le cronache mondane non riferiscono mai suoi atteggiamenti stravaganti, altezzosi o capricciosi.
È richiesta dai più rinomati direttori d’orchestra come Mascagni, Cilea, Serafin, De Sabata, Marinuzzi, Molinari Pradelli, Guarnieri, Savini e altri. La cerca anche Toscanini, ma per impegni già presi non può assecondare la sua chiamata e lei non ama presentarsi impreparata. Toscanini apprezzerà molto la sua risposta e le manderà una foto con dedica che conserverà gelosamente. Suoi partner sulla scena sono Gigli, Schipa, Lauri Volpi, Pertile, Del Monaco, Corelli e soprattutto il marito “Ferro” Tagliavini, col quale si esibisce in memorabili duetti, come il “Duetto delle ciliegie” da L’amico Fritz, “Lontano lontano” dal Mefistofele e “Parigi, o cara” da La Traviata.
La Tassinari è sempre molto scrupolosa nello studio preparatorio dei ruoli che deve interpretare: è una lettrice attenta e competente dello spartito, approfondisce la psicologia del personaggio per farlo risaltare anche con un adeguato portamento scenico, in cui è maestra, e annota minuziosamente tutte le osservazioni musicali e interpretative che la possano guidare verso una performance ottimale. Questa sua meticolosità è ben nota nell’ambiente e non a caso sarà invitata a interpretare quattro opere prime (di Sòdero, Veretti, Pick Mangiagalli, Mulè) e anche altre opere di autori contemporanei (Wolf-Ferrari, Zandonai, Marinuzzi, Rossellini, Catozzo e Rieti) per le quali, non esistendo una consolidata tradizione interpretativa, è appunto richiesto un più accurato lavoro preparatorio.
Il critico G. Gualerzi scrive: “Pia Tassinari l’ho sempre giudicata una delle più intelligenti cantanti dell’ultimo mezzo secolo”. Sulla base delle accurate ricerche di F. Briccoli risulta che al termine di una più che trentennale carriera la Tassinari può vantare un repertorio di cinquanta opere portate con successo in tutto il mondo, applaudite dal pubblico, apprezzate dalla critica, senza mai subire l’umiliazione di un “fiasco”. A ricordo della sua voce resta una serie notevole di incisioni su disco.
Una pagina particolarmente dolorosa della sua vita è il divorzio dal marito, che aveva sposato pur avendo lei 10 anni di più. Pia e “Ferro”, la coppia cosi brillante e affiatata sul palcoscenico, non lo è altrettanto nella vita privata a causa dei ripetuti tradimenti di lui, pazientemente sopportati fino ai primi anni Settanta, quando Tagliavini andrà a convivere con il soprano Isabella Stramaglia, da cui avrà una figlia, e il divorzio sarà inevitabile. Nonostante tutto i rapporti tra loro rimarranno improntati alla massima reciproca stima e da buoni amici continueranno a tenersi in contatto ancora per molti anni.
Dopo il ritiro dalle scene la Tassinari lascia gli ambienti mondani che peraltro, data la sua naturale riservatezza, non ha mai molto frequentato, e si circonda dell’affetto delle persone care e degli amici. Non abbandona comunque la musica che continua ad essere la sua unica vera grande passione, ora principalmente rivolta all’insegnamento. Tra i suoi allievi i gemelli Barbacini, affermatisi, Paolo come tenore e Maurizio come direttore d’orchestra. Oltre che per la grande competenza musicale la ricordano con commozione come “maestra d’arte e di vita”.
Nel 1992 Chiara Farolfi, una giovane modiglianese neodiplomata al Conservatorio, fa visita all’illustre concittadina. La Tassinari la riceve cordialmente, la ascolta, è prodiga di insegnamenti “non solo di carattere musicale”, le regala perfino due flauti di legno provenienti dalla Cina. Ma ciò che colpisce indelebilmente Chiara è che nel ricordare il passato la cantante non si sofferma sui trionfi, gli applausi, gli elogi della critica, ma ripete spesso: ”…con l’esecuzione di quell’opera ho imparato a…” a conferma di una vita d’artista che non si è mai adagiata sugli allori e ha vissuto la sua carriera come una continua ricerca della perfezione.
Pia Tassinari muore a Faenza il 15 maggio 1995, pochi mesi dopo l’amato Ferruccio. Nel Museo Civico di Modigliana le è stata dedicata una sala contenente, tra gli altri cimeli, costumi di scena e una notevole raccolta di fotografie e documenti, lascito del musicologo Filippo Briccoli suo confidente e biografo.