Nel 1907, lo stesso anno in cui Picasso dipingeva Les demoiselles d’Avignon, moriva a trentun anni Paula Modersohn Becker. La pittrice tedesca lasciava una produzione assai vasta di opere estremamente innovative; nel suo percorso aveva esplorato le fonti più varie: dalla scultura gotica a quella di Rodin; dal Rinascimento italiano al barocco fiammingo e spagnolo; dalla pittura giapponese agli impressionisti ai postimpressionisti, concentrandosi particolarmente intorno all’arte primitiva. Paula Becker era nata nel 1876 a Dresda da famiglia benestante, aperta agli artisti e ai letterati. Il primo incoraggiamento le venne da una zia, che la invitò a studiare a Londra presso una scuola d‘arte.
Tra il 1896 e il 1898 Paula frequentò la scuola per donne artiste a Berlino, poi entrò in contatto con la colonia di artisti di Worpswede, che rifiutava il retroterra accademico e la vita nella città industriale, sostenendo la necessità del ritorno alla natura. Presso di loro Paula si legò d’amicizia con la scultrice Clara Westhoff e apprese alcune tecniche grafiche, praticando la pittura all‘aperto; qui conobbe anche Otto Modersohn, che sposò un anno dopo aver lasciato Worpswede, quando lui era rimasto vedovo con una figlia.
Ma la vita matrimoniale non riusciva a conciliarsi con la libertà artistica di Paula, che interruppe la convivenza e si stabilì a Parigi, per seguire lezioni di anatomia e visitare gallerie e musei; intraprese contatti con alcuni movimenti d‘arte moderna e iniziò a firmarsi con il proprio nome da nubile; con gesto audace per quei tempi, chiese di poter frequentare lo studio di alcuni artisti tra i più innovativi.
Nel frattempo il marito insisteva per una riconciliazione; la pittrice si incontrò con lui a più riprese, accettando infine il rientro in famiglia e avviando una gravidanza, da sempre fortemente desiderata. L’attesa però ebbe un decorso difficile, che quasi non permise a Paula di dipingere. Subito dopo la nascita della figlia, nel 1907, l’artista morì per complicazioni cardiopolmonari. Nel corso di questo breve tempo aveva prodotto circa millequattrocento lavori, tra disegni e opere concluse; uno solo trovò acquirente mentre lei era in vita.
A Worpswede, prima di sposarsi, Paula aveva raggiunto particolare maestria nella descrizione oggettiva della realtà; in seguito l’artista percorse una ricerca di temi ed espressione diversa, una sorta di espressionismo mitologico: dal momento della partenza da Worpswede il colore di Paula divenne sempre meno descrittivo, acquistando intensità simbolica e corposità; anche il modellato si ispirò all’arte primitiva, attraverso figure di particolare potenza espressiva.
Nelle lettere del periodo parigino la pittrice esprimeva un particolare stato di esaltazione creativa, dicendo di sentirsi vicina a essere finalmente qualche cosa. Proponendosi di creare la grandezza attraverso la semplicità, Paula traeva i suoi soggetti dal mondo contadino, scegliendo in massima parte donne.
Anche il naturalismo romantico aveva guardato con interesse all’ambiente contadino; alcuni artisti se ne erano fatti partecipi in modo tormentato; altri ne avevano offerto una visione nostalgica e avvolta di fascino esotico. Spesso lo sguardo che l’arte dell’Ottocento aveva rivolto al mondo contadino ne aveva sottolineato il carattere passivo e dolente, rassegnato, presentendo in un certo senso il grande cambiamento in senso industriale che l’Europa andava percorrendo.
Le figure di Paula risentono relativamente di questa iconografia, probabilmente perché i protagonisti dei suoi quadri non costituivano semplicemente l’oggetto di interesse, ma anzi erano l’altro polo di una relazione fatta di continua reciprocità. La Vecchia dell’ospizio restò per molti anni la sua modella preferita e un’amica sollecita, che si prese cura della sua difficile gravidanza.
Il modo con cui l’artista vedeva i suoi soggetti aveva poco a che vedere con la compassione: le donne, i bambini dell’ospizio e i contadini per lei non erano dei diseredati, ma i custodi di un’esperienza materiale connessa direttamente con la sfera del sacro. L’arte di Paula racconta il rispetto con cui queste donne lavoravano il pane e la terra, la cura religiosa con cui praticavano formule e rituali curativi, la consapevolezza con cui accompagnavano il passaggio tra vita e morte. I corpi sono rappresentati in modo quasi ieratico, contenuti da contorni semplificati e densi, sostanziati da tinte robuste ma capaci di trascolorare, fino ad aprirsi all’effetto ultranaturale di certi sfondi.
Maria Zambrano, a proposito di Francisco Zurbaran, dice “Quando l’arte percepisce l’essenza di una cosa reale, questa cosa dipinta diviene icona, forma sacra che custodisce un segreto”: esattamente questa funzione evocano i ritratti di Paula, carichi di senso religioso; allo stesso modo la sua interpretazione degli oggetti assume il valore di un “gesto sacerdotale”, perché persino le nature morte e gli angoli di giardino assumono la solennità di offerte votive e allestimenti d’altare.