«1967: era l’estate in cui morì Coltrane. L’estate di Crystal Ship. I figli dei fiori levavano le braccia vuote e la Cina esplodeva l’atomica. Jimi Hendrix dava fuoco alla sua chitarra a Monterey. La radio AM suonava Ode to Billie Joe. Ci furono rivolte a Newark, Milwaukee e Detroit. Era l’estate di Elvira Madigan, l’estate dell’amore. E in quell’atmosfera mutevole, per nulla accogliente, un incontro casuale cambiò il corso della mia vita. Fu l’estate in cui incontrai Robert Mapperthorpe»
(Patti Smith, Just Kids)
«Jesus died for somebody’s sins/ but not mine»
(Patti Smith, Horses)
Ricordo il grande concerto rock di Patti Smith del 1979 a Firenze. Lo stadio assediato da migliaia di giovani affamati di emozioni. Avvisaglie di punk. Si chiudeva un’epoca. Il rock ‘n’ roll si stava evolvendo in altro stile, altro suono, la new wave degli anni Ottanta. Patti Smith rappresentava la parabola del cambiamento. Aveva 33 anni ed era una rockstar, tardiva negli esordi, ma longeva. Quello spettacolo mi regalò l’emozione più grande della mia adolescenza. Esile e puntuta, indossava una maglietta a righe arancio e nero, pantalone nero, calzini e ballerine con passante; i capelli scompigliati neri corvini, viso allungato, mani affusolate protese verso il suo pubblico, come lo saranno sempre in tutte le sue performance. Molto vicina ai suoi successori punk nell’aspetto e nell’approccio; mai preoccupata delle buone maniere, né di esibire una “bella” voce, piuttosto arrabbiata o dolente, ma sempre “religiosamente” esposta sul palco, con un margine di dedizione e rischio che forse è all’origine dell’esser divenuta una sacerdotessa del rock, o del punk, maudit e santa.
Patricia Lee Smith ci tiene a sottolineare di essere nata un lunedì durante una bufera di neve nel North Side di Chicago. Prima di 4 figli: la sua famiglia è povera e religiosa e costretta a spostarsi per necessità di lavoro. Patti cresce a Pitman (New Jersey). Il padre la considera troppo poco attraente per maritarsi e la indirizza così agli studi per diventare insegnante, una rispettabile e sicura professione per una donna. La madre le insegna le preghiere e le fa leggere i Cantici dell’Innocenza di William Blake. A sedici anni le dona La favolosa storia di Diego Rivera. Quella storia da ragazzina le fa sognare una vita alla Diego e Frida, mentre lavora in fabbrica, anche se «Il desiderio di unirsi alla fratellanza degli artisti era grande».[1]
A 19 anni, da una relazione con un ragazzo ancora più giovane di lei, Patti affronta una gravidanza e decide di dare in adozione “la bambina che non conoscerà mai”, promettendo a se stessa che quella rinuncia segnerà l’impegno a fare della sua vita qualcosa di importante:
«Nella primavera del 1967 tirai le somme della mia vita. Avevo messo al mondo una bimba in salute e l’avevo affidata alla protezione di una famiglia amorevole e e istruita. Avevo abbandonato il college magistrale poiché non possedevo la disciplina, l’interesse e neppure i soldi per proseguire. Avevo un lavoro temporaneo a salario minimo in uno stabilimento di libri di testo a Philadelphia»[2]. E all’indomani della promessa, ancora ventenne, sale su un autobus diretto a New York perché vuole diventare un’artista.
New York è in quegli anni il centro della rivoluzione culturale che in un decennio cambia il modo di fare musica, la letteratura, i costumi e il comportamento sessuale. Patti vi arriva senza denaro, senza un alloggio, senza un lavoro:«(NY) con me è sempre stata amichevole. Ho dormito nei parchi, nelle strade, e nessuno mi ha mai fatto del male. Vivere lì è come stare in una grande comunità» [3]. E lì incontra un uomo, allora giovanissimo, il quale non sa che diventerà uno dei più grandi fotografi americani del Novecento, Robert Mapplethorpe; con lui stringe un legame per la vita, umano e artistico. Patti e Robert vivono da bohemien disegnando e cambiando continuamente amicizie e abitazione, crescendo insieme nella vita e nell’arte al Chelsea Hotel, storica residenza newyorchese di scrittori musicisti attori e artisti. Robert «mi chiedeva spesso di cantargli qualcosa per farlo addormentare e io gli cantavo qualcosa della Piaf e qualche ballata tradizionale». «Voglio essere una poetessa, non una cantante» dice Patti a Robert e lui «Puoi essere tutte e due le cose»[4].«Non ho mai sognato di suonare in un gruppo rock, questa idea proprio non c’era nel mio mondo. Ma il mondo, come ha detto qualcuno, stava cambiando rapidamente»[5]. E in quel mondo diventa una rockstar, la sua forma di arte: «La mia missione è comunicare, risvegliare la gente, darle la mia energia e ricevere la sua. Ci siamo dentro tutti, e io reagisco emotivamente come lavoratrice, come madre, come artista, come essere umano dotato di voce. Tutti noi abbiamo una voce. Abbiamo la responsabilità di allenarla e di usarla»[6]. Diventa rockstar sapendo fronteggiare la sua generazione, tenendo a bada quei richiami autodistruttivi che uccidono molti suoi compagni di viaggio. Proprio lì, al Chelsea Hotel, ha conosciuto Janis Joplin e Jimi Hendrix, senza percepire completamente quello che stava succedendo intorno a lei.
Per campare fa la commessa in un negozio di libri, la critica per una rivista musicale, la drammaturga e compone le musiche per le sue recitazioni libere, reading di poesie, accompagnata dal suo fedele chitarrista Lanny Kaye, secondo una tradizione tutta newyorkese. Accolta ben presto favorevolmente dall’intellighenzia della city, da Andy Warhol a Sam Shepard, da Lou Reed a Bob Dylan, dai poeti Allen Ginsberg, Gregory Corso e William Burroughs, Patti trova il clima ideale per intraprendere la sua carriera artistica. Nel 1970 si esibisce negli storici locali CBGB e Other End, entrando a pieno titolo nelle scene musicali underground. Il suo primo singolo, Hey Joe/Pisss Factory (1974), convince Lou Reed a introdurla all’Arista, l’etichetta discografica che nel 1975 pubblica il suo primo album, Horses, prodotto da John Cale. In esso, parole dell’artista, ci sono «la gratitudine che dovevo al rock’n’roll per avermi fatto superare un’adolescenza difficoltosa, la gioia che provavo nel ballare; la forza morale che scoprivo nell’assumermi le responsabilità delle mie azioni»[7]. La promessa di fare arte di Patti Smith.
Horses mescola recitazione free form e musica, dal testo parte tutto. Le strutture reiterate e ripetitive delle tonalità rock sono essenziali a restituire come in un mantra il testo, e tale ripetizione, anche di moduli musicali, diventa in Patti una cifra poetica. Album intenso, liriche struggenti, cantici e ballate, ma allo stesso tempo l’anima ruvida, il sentore punk, nel timbro vocale roco e nell’interpretazione aggressiva, e la new wave, nel suono. Horses segna il cambiamento, un nuovo linguaggio musicale, che consacra la Smith alla popolarità e alla formazione artistica di una nuova generazione. Il tutto offerto da performance generose. Non si risparmia sul palco, spendendosi con passione e anche con dolore. Qualcuno ha paragonato i suoi concerti alle doglie e al parto. Durante un live in Florida cade addirittura dal palco procurandosi diverse fratture e suture. Nei nove concerti successivi all’incidente si esibisce sulla sedia a rotelle, senza cancellare le date.
A Horses seguono gli altri tre importantissimi LP della sua discografia: Radhio Ethiopia (1976). Easter (1978), che le porta il successo commerciale per la hit Because the Night, scritta con Bruce Springsteen e salita al numero 13 della Top 40 nel 1978. E infine Wave (1979). In pochi anni la musicista americana sale all’olimpo del rock e nel bel mezzo di questa ascesa, nella primavera del ’79, lascia New York per Detroit, per seguire il suo compagno musicista Fred Sonic Smith e crescere i due figli, Jackson e Jesse Smith.
Nel 1988, dopo dieci anni di silenzio discografico e di assenza dal palco, conferma il successo di pubblico con People Have The Power, la hit contenuta nell’album Dream of Life. Poi, altri otto anni di silenzio. Segnata da una serie di lutti ravvicinati, apparentemente insopportabili, il suo compagno di gioventù Robert Mapperthorpe, il pianista Richard Sohl, il fratello Todd, il marito, e padre dei suoi figli, si rialza, riprende la sua vita artistica. Nel 1996, completa l’album che con il marito Fred progettava di fare, Gone Again. Bob Dylan la incoraggia a tornare a esibirsi per il suo pubblico, dopo sedici lunghi anni di assenza dal palco, coinvolgendola in un suo tour. Il Patti Smith Group si riunisce di nuovo dicendo “ciao” alla strada e “addio” all’amico Benjamin Smoke, anche lui prematuramente scomparso. Riprende regolarmente l’attività e nel 1997 pubblica Peace of Noice in cui canta le follie del mondo, dell’invasione cinese del Tibet, mentre nel 2000, con l’augurio di un secolo migliore, al mito di Ho Chi Minh dedica Gung Ho.
Seguono Trampin del 2004 e Twelve del 2007. Quest’ultimo ripropone 12 cover americane scelte e reinterpretate con stile personalissimo dall’artista, tra cui spicca la splendida rilettura di Smell Like a Teen Spirit dei Nirvana.
Nel 2008, con la lettura di un requiem da lei scritto e dedicato a Robert Mapplethorpe, The Coral Sea, nella tradizione della poesia della Beat Generation, alla Queen Elisabeth Hall di Londra, Patti riceve cinque prestigiose stelle dal critico «The Guardian». Nello stesso anno, con l’omonimo titolo del suo album, Dream of Life, esce un bellissimo documentario diretto da Steven Sebring, un ritratto dell’artista realizzato nell’arco di un decennio.
Nel 2010 viene finalmente pubblicato Just Kids, un libro autobiografico, la promessa fatta da Patti Smith all’amico Robert Mapplerthorpe di scrivere un giorno la loro storia. È un viaggio nella rivoluzione culturale americana tra gli anni Sessanta e Settanta, attraverso la storia vera, anche se ben romanzata, di due ragazzini cresciuti insieme nella vita e nell’arte, arrivati al successo quasi senza accorgersene. Just Kids è un affresco disincantato, mistico e spirituale di un’epoca e dei suoi personaggi, intimo, crudo, a tratti straziante, a tratti lirico. Un altro segno messo a punto dalla poetessa e rockstar Patti Smith con il quale si è guadagnata il prestigioso Winner of 2010 National Book Award.
NOTE1. Patti Smith, Just Kids, Feltrinelli 2010.
2. Patti Smith, op.cit.
3. Steven Sebring, Patti Smith: Dream of Life, Rizzoli, 2008
4. Patti Smith, op.cit.
5. Steven Sebring, op.cit.
6. Steven Sebring, op.cit.
7. Patti Smith, op.cit.
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