Nettie Maria Stevens

Cavendish, Vermont 1861 - Baltimora, Maryland 1912
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La differenza tra donne e uomini inizia dall’ereditare due grandi cromosomi X o un X e un piccolo Y. Le maiuscole e le dimensioni variano, in certe specie succede il contrario. Nei draghi di Komodo, per esempio, le femmine hanno un cromosoma W e uno Z e i maschi due W. Comunque è una differenza biologica decisiva e l’ha scoperta Nettie Stevens nel tenebrione mugnaio, un coleottero che stava studiando al Bryn Mawr College.

Da ragazza Nettie non voleva fare ricerca. Era nata nel 1861 in una famiglia modesta di Cavendish, una cittadina nello stato del Vermont, era rimasta orfana di madre a due anni, si era diplomata con onore e per quindici anni aveva fatto l’insegnante, la curatrice di una biblioteca e aiutato la matrigna a governare la casa paterna.
A 35 anni, cambiò vita. Attraversò gli Stati Uniti e si iscrisse all’università Stanford, in California. Non ha dato spiegazioni sulla sua scelta, ma è probabile che in biblioteca si fosse informata sul posto migliore per proseguire gli studi. I giornali parlavano spesso di Stanford: i professori erano giovani, forse un po’ troppo e alcune studentesse – che scandalo – indossavano i pantaloni quando andavano a fare osservazioni sul campo o a pescare campioni, per il laboratorio di zoologia marina, nell’insenatura di Pacific Cove.

Il senatore Leland Stanford e la moglie, che avevano fondato l’ateneo e ne pagavano le spese, volevano che le ragazze si sentissero a loro agio. Quando Nettie si era iscritta, era il 1896, nelle università americane c’era in media il 4% di donne, a Stanford oltre il 25%. Si trovò così bene che invitò la sorella e il padre a trasferirsi in una fattoria a pochi chilometri dall’università.

Un anno dopo il loro arrivo però, riattraversò gli Stati Uniti: aveva vinto una borsa di dottorato a Bryn Mawr, vicino a Philadelphia, un college solo per studentesse dov’erano spesso invitati a insegnare famosi professori europei. A loro volta, invitavano le giovani più brillanti e per un anno Nettie si familiarizzò con nuove tecniche per studiare le cellule all’università di Wurzburg, in Germania, e per due anni alla Stazione zoologica Anton Dohrn di Napoli. Oggi la Stazione è un po’ fanée, ma a quei tempi attirava ricercatori da tutto il mondo: c’era perfino un bancone del laboratorio e un tavolo della mensa riservati alle “American Women”.

Nettie Stevens ritornò a Bryn Mawr come ricercatrice, stipendiata anche se precaria, proprio mentre venivano riscoperti i lavori di Mendel sui caratteri ereditari nei piselli. Però sapere che da piselli lisci incrociati con quelli grinzosi discendono piselli grinzosi dai quali discende un terzo di piselli lisci non aiutava a capire perché, dalla fusione di un ovulo e di uno spermatozoo nasceva un tenebrione o una tenebriona. Restava un mistero perché con i microscopi ottici di allora era molto più facile vedere cosa c’era in uno spermatozoo, dalla membrana traslucida, che in un ovulo, avvolto in una membrana di grasso che non lascia passare la luce. Eppure nel 1905 “N. M. Stevens” informò la comunità scientifica, con un articolo corredato da disegni nitidi ed eleganti, che negli ovuli della tenebriona non c’era alcun cromosoma Y.

I biologi erano scettici, anche se la scoperta venne confermata dal prof. Edmund Beecher Wilson di Bryn Mawr, che aveva un’ottima reputazione. Miss Stevens e il prof. Wilson si conoscevano e si rispettavano sicuramente. Non è detto che provassero sentimenti più affettuosi, della vita amorosa di Miss Stevens non resta neppure un pettegolezzo nelle lettere a casa e nelle autobiografie delle sue studentesse.

Il suo critico più accanito era Thomas Hunt Morgan, che era stato il suo professore a Bryn Mawr, bravissimo sia nella ricerca che nel farsi pubblicità. Di una dinastia di finanzieri e di generali che avevano fatto la storia degli Stati Uniti (un suo parente aveva scritto l’inno nazionale), era arrogante e testardo. Due anni prima della scoperta aveva scritto alla fondazione del miliardario Carnegie la lettera di raccomandazione molto lusinghiera con la quale Nettie aveva ottenuto un finanziamento. Che cosa gli era preso?

Come Nettie e la maggior parte dei biologi dell’epoca, voleva capire come da un uovo fecondato si sviluppa un intero organismo, perché gli insetti passano dallo stadio di larva a quello di pupa prima di avere una forma adulta, come mai certi animali rigenerano i propri organi, perché nascono maschi o femmine e in certi casi un po’ di un sesso e un po’ dell’altro.
Si ponevano entrambi le stesse domande, insomma, ma Morgan non riusciva a credere che fosse possibile attribuire un carattere ereditario a un cromosoma, figuriamoci il sesso che implica differenze in un sacco di caratteri. E qualunque fosse il meccanismo di trasmissione, non l’avrebbe certo capito quella zitella…

A sua difesa, va detto che né lui né altri sapevano che i cromosomi erano fatti di geni, e i geni di Dna: ci sarebbero voluti decenni per dipanare l’esatto meccanismo di trasmissione. D’altro canto, all’epoca Morgan era convinto che Charles Darwin avesse sbagliato tutto, che la selezione naturale non portava a nuove specie, ma che queste erano create “artificialmente” quando le condizioni ambientali provocavano delle mutazioni. Se l’habitat si trasformava in un lago, per esempio, una specie con le dita ai piedi si sarebbe estinta lasciando il posto a una alla quale erano cresciuti piedi palmati.

Lo scetticismo dei colleghi fece venire a Nettie un’idea che pareva insensata e che avrebbe generato un’altra differenza decisiva per la genetica e l’embriologia: studiare il moscerino della frutta, Drosophila melanogaster, che in greco significa “amante della rugiada dalla pancia nera”. Il maschio è grande come questa virgola, quattro volte meno minuscola la femmina, vivono al massimo tre settimane, giusto il tempo di riprodursi in abbondanza come sa chi fa la raccolta differenziata dell’umido. A temperatura ambiente con poche bucce di frutta se ne allevano migliaia che escono a sciami appena si solleva il coperchio della pattumiera.

La drosofila è tuttora l’animale più studiato in genetica e in neuroscienze, il più generoso di conoscenze fondamentali sui nostri geni, sul nostro cervello e su certi aspetti del nostro comportamento, per esempio come prendiamo decisioni – anche importanti come da quale maschio lasciarci corteggiare – in base alle percezioni, non sempre perfette, dei nostri sensi.

Nel 1910, Thomas Hunt Morgan continuava a sostenere in pubblico che Miss Stevens aveva le traveggole e che i disegni che accompagnavano i suoi articoli erano frutto di un’immaginazione troppo fervida. Lui sì che era un esperto di moscerini, se le femmine avessero avuto due cromosomi X e talvolta quattro come sosteneva quella, se ne sarebbe accorto da un pezzo.

Mentiva sapendo di mentire. Nel 1908 era diventato professore all’università Columbia di New York, dove aveva allestito una “stanza delle mosche”, con boccali di vetro allineati sugli scaffali ognuno dei quali era un allevamento. Insieme ai suoi collaboratori, lo suddivideva in due boccali, bistrattava la metà in tutti modi, con veleni, luci abbaglianti, fumi, radiazioni, nella speranza che nascessero moscerini difformi e lasciava indisturbata l’altra metà. Poi incrociava moscerini sani e difformi per vedere se la discendenza rispettava effettivamente le leggi di Mendel sui piselli. All’inizio del 1910 era nati mutanti con gli occhi bianchi invece di rossi (bruno rossiccio in realtà), e quando si accoppiavano con femmine non mutate, la prima generazione aveva gli occhi rossi.
Ma se una femmina di quella generazione si accoppiava con un maschio mutante, nascevano moscerini con gli occhi bianchi. Al contrario, i nati da una femmina mutante con gli occhi bianchi e da un maschio sano, avevano gli occhi rossi.
C’era poco da tergiversare: la mutazione era trasmessa dai maschi, quindi era associata al cromosoma Y che era associato al sesso maschile. E così avrebbe scritto Morgan sulla rivista Science nel 1911, senza riconoscere che Miss Stevens ci era già arrivata.

Era una rivincita. Bryn Mawr creò per lei una cattedra e un fondo speciale perché potesse continuare i propri esperimenti. Non avrebbe più dovuto cercare soldi da una fondazione all’altra per pagare le attrezzature del laboratorio e le sue studentesse povere. Ma stava per morire di tumore al seno, forse per un difetto genetico ereditario, su quella cattedra non sarebbe mai salita.

Morgan scrisse il necrologio su Science. A denti stretti, ammetteva che Miss Stevens non aveva avuto le traveggole, tuttavia era stata una ricercatrice di seconda fila. Concentrata, diligente, paziente, senz’altro. Le attribuiva le virtù della casalinga, non la visione e l’ambizione tipiche dei grandi scienziati – come lui. L’Accademia americana delle scienze diede subito il giudizio opposto: i risultati eccezionali di Miss Stevens erano il frutto di un’intelligenza rara e di “una mente feconda” – da grande scienziata.

Fino alla morte, Morgan fece in modo che la bravura di Miss Steven fosse relegata in nota nei manuali di genetica. Nel 2005 però, centinaia di ricercatori finirono di sequenziare tutto il Dna del cromosoma X umano e qualche cronista ricordò gli studi di Nettie all’opinione pubblica. La quale se ne dimenticò subito, meno un gruppuscolo di ammiratori riunito nel Drosophila melanogaster’s Genetics and Neuroscience Fan Club per celebrare le differenze tra maschi e femmine rivelate da Miss Stevens e dai moscerini della frutta (l’autrice di questa voce confessa di esserne la presidente).

Fonti, risorse bibliografiche, siti

Nettie Maria Stevens, Studies in Spermatogenesis with Especial Reference to the "Accessory Chromosome." Washington D.C,  Carnegie Institution of Washington, 1905, (in inglese)

Marilyn Bailey Ogilvie Clifford J. Choquette. Nettie Maria Stevens (1861-1912): Her Life and Contributions to Cytogenetics, Proceedings of the American Philosophical Society, n. 125, 1981, (in inglese e a pagamento)

Simone Gildenkrantz, Nettie Maria Stevens (1861-1912), Médecine/Sciences,  vol. 24, n. 10, ottobre 2008, (in francese)

Referenze iconografiche: Nettie Maria Stevens, 1904. Fonte: The Incubator (courtesy of Carnegie Institution of Washington). Immagine in pubblico dominio.

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Sylvie Coyaud

Nata a Parigi, residente a Milano, parla di scienza alla radio dal 1987 e ne scrive su D-La Repubblica delle Donne, Il Sole-24 Ore,varie testate on-line(e non); e anche sul suo blog .
Va fiera di premi, medaglie e riconoscimenti per la divulgazione, in particolare che nel 2003 degli astronomi abbiano dato il suo nome a un asteroide e nel 2009 degli entomologi a un bel buprestide verde dai grandi occhi rossi, l'Agrilus coyaudi.
Ultimo libro: La scomparsa delle api, Mondadori, 2008.
Penultimo: Lucciole e Stelle, brevi storie di ricerche serie e no, LaChiocciola, 2006.

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