Nel gennaio 1973 il trentottenne Dalai Lama Tenzin Gyatzo andava a visitare Mirra Alfassa, nel sud dell’India, all’ashram di Pondicherry (fondato negli anni Venti del Novecento). La prima domanda che Tenzin Gyatzo le faceva riguardava il sogno di un Tibet dal perfetto sviluppo economico, dalla perfetta organizzazione ed efficienza basato su un comunismo integrato con le qualità buddiche della compassione e dell’amore. Si sarebbe realizzato? Lei gli rispondeva che non si trattava di un sogno, ma dell’inevitabile realtà a venire. “Ma quanto tempo ci vorrà non lo so”, aggiungeva, e poi: “per ora sembra che l’opposizione e la menzogna siano all’attacco con tutte le loro forze. […] Un momento interessante, poiché l’Azione è potentissima, ma non si può dire che sia gradevole”.
Mirra Alfassa, nota a tutti come Mère, all’età di novantacinque anni era una persona saggia e dalla visione ampia, che guardava avanti nel tempo e nello spazio con la consapevolezza dei potenti limiti e ostacoli del presente.
Era un’instancabile sperimentatrice del mondo nuovo, a partire da pratiche concrete rivolte alla trasformazione della materia: quella del suo stesso corpo attraverso lo “yoga delle cellule” (“fare in modo che sia il corpo, la sostanza materiale, a fondersi”) e quella della realtà circostante che lei si impegna a trasformare attraverso l’ashram, la scuola (“un nuovo modo di educare, senza diplomi, senza utilitarismo”) ed Auroville: “città universale dove uomini e donne di ogni nazione, di ogni credo, di ogni tendenza politica possono vivere in pace e armonia”, da lei fondata nel 1968.
In che modo una parigina, nata il 21 febbraio del 1878, sposatasi due volte, è approdata in India e a un lavoro radicale e arduo su se stessa e sul mondo? Figlia dell’egiziana Mathilde Ismalun, atea e amante della perfezione matematica, e del banchiere Maurice Alfassa, nato ad Adrianapoli nel 1843, trasferitosi per motivi di lavoro da Alessandria a Parigi, insieme alla moglie e al primogenito Matteo nel 1877, Blanche Rachel Mirra Alfassa cresce “atea fino al midollo e con una volontà di perfezione e il senso di una coscienza senza limite” in una Parigi capitale culturale e artistica mondiale, da lei pienamente vissuta e respirata, da artista pittrice, studiando all’Academie Julian e frequentando artisti dell’epoca, tra cui anche Rodin (il quale in quegli anni lavorava a Il pensatore) e Cézanne.
La nonna egiziana Mira Ismalun, un’artista che conosce molte lingue e culture, ha una grande influenza su di lei. È la nonna ad aiutarla a uscire dalle mura dalla famiglia e a sposare, a diciannove anni, il pittore Henri Morisset, dalla cui unione, il 23 agosto 1898, nasce André, che Mirra affiderà alle cure quotidiane delle zie, con le quali il piccolo andrà anche ad abitare dai dieci anni circa.
Mirra diventa un’occultista, prima con Louis Themanyls e in seguito con Max Theon e la moglie Alma, che segue anche in Algeria per alcuni mesi e dai quali apprende a gestire con rigore e metodo le proprie facoltà paranormali. In questo stesso periodo, insieme al filosofo Paul Richard, che sposa nel 1910, dopo aver divorziato da Morriset nel 1908, fonda un gruppo parigino di occultismo intorno alla «Rivista Cosmica».
Nel 1914 i Richard si recano in India, a Pondicherry, dove il 29 marzo avviene l’incontro più importante nella vita di Mirra Alfassa: quello con Sri Aurobindo, mistico indiano, scrittore, maestro di yoga, rifugiatosi in questa piccola colonia francese e ricercato dalla polizia inglese per via del suo impegno indipendentistico. In lui Mirra riconosce da subito il maestro mistico che vedeva la notte nei propri sogni. Ma prima di lasciare Paul e unirsi ad Aurobindo passano ancora molti anni.
Nel 1914, con Richard fonda la rivista «Arya» affinché Sri Aurobindo vi pubblicasse le proprie esperienze e rivelazioni, che essi avrebbero in un secondo momento tradotto in francese. Ma l’avvento della guerra, col conseguente richiamo alle armi, li costringe a tornare dapprima a Parigi e poi in Giappone, dove Paul viene designato dalla mobilitazione del governo francese. Rimangono un anno a Tokyo e tre a Kyoto: qui Mirra impara la lingua e la cultura giapponesi, si veste come una giapponese e pratica lo zen.
Nel 1920 Mirra e Paul ritornano insieme a Pondicherry: prima della fine dell’anno Paul parte per un pellegrinaggio nelle montagne dell’Himalaya, che durereà due anni, trascorsi i quali torna in Francia per poi trasferirsi definitivamente negli Stati Uniti1.
Poco dopo la sua partenza Mirra si trasferisce definitivamente nell’ashram di Sri Aurobindo, che in un primo momento è costituito solo da poche decine di allievi. A partire dal 1950, dopo la morte di Aurobindo, Mirra coordina e guida da sola questo “laboratorio dell’evoluzione per la metamorfosi verso la nuova specie umana”, che sotto la sua guida diviene di dimensioni sempre più ampie, arrivando ad avere centinaia di allievi. Nel 1952 fonda con duecento allievi il Centro universitario internazionale Sri Aurobindo.
A partire dal 1958 si dedica pienamente alla pratica dello “yoga delle cellule”. Il lavoro riguarda la coscienza delle cellule perché, a suo parere, nella “frontiera cellulare” si trova “la chiave, ovvero il passaggio della morte. E se la trasformazione è possibile in un corpo è possibile in tutti i corpi”. Il lavoro sul suo corpo mira dunque ad accorciare i tempi del passaggio evolutivo umano.
In questa visione, per permettere alla Coscienza di manifestarsi è necessario scendere nella materia, a livello individuale e, attraverso un lavoro di integrazione tra anima, corpo e mente, accorgendosi in che modo queste tre componenti interagiscano tra loro nelle cellule, dare spazio alla graduale costruzione della componente spirituale, che è al tempo stesso sia interiormente sotterranea sia rivolta verso l’alto universo del Divino.
Un’esperienza molto concreta. E che corrisponde a uno stato in cui ci identifichiamo così PERFETTAMENTE [sic] con tutto ciò che esiste, da diventare noi stessi, concretamente, tutto ciò che è antidivino, e così poterlo offrire. E, in quanto lo possiamo offrire, possiamo davvero trasformarlo.2.
Ma raccontare un tale lavoro non è facile perché si rischia di semplificarlo e tradirne il doppio movimento di ascesa (a livelli sempre più alti di coscienza) e di discesa (nella mente, nella vita, nel corpo) che di continuo si rinnova e accorge dei limiti delle conquiste precedenti:
[…] ogni volta uno ha l’impressione di aver vissuto alla superficie delle cose. Un’impressione che si ripete, si ripete, si ripete. A ogni nuova conquista ho questa impressione: finora ho vissuto solo alla superficie delle cose – alla superficie della realizzazione, alla superficie del ‘surrender’, alla superficie del potere. Non era altro che la superficie delle cose, la superficie dell’esperienza. Dietro la superficie c’è una profondità, e solo quando uno entra in quella profondità tocca la Vera Cosa. E ogni volta è sempre la stessa esperienza: quella che sembrava una profondità diventa una superficie. Con tutto quello che una superficie comporta di inesatto, di artificiale – sì di artificiale. Una trascrizione artificiale. Dà l’impressione di qualcosa che non vive davvero, di una copia, di un’imitazione: è un’immagine, un riflesso, ma non è LA COSA.3.
Le sue esperienze di yoga delle cellule vengono comunicate, per lo più in lingua francese, al discepolo Bernard Enginger, noto come Satprem, il quale ne raccoglierà le registrazioni nella colossale opera in tredici volumi dal titolo L’agenda di Mère, oggi tradotta in molte lingue. Le sue idee sono invece raccolte in molti libri in cui sono stati trascritti discorsi tenuti all’ashram e alcune lettere e diari.
Il figlio di Mirra, Andrè Morriset, giovane eroe soldato nella prima guerra mondiale, in seguito divenuto ingegnere e direttore d’industria e attivo in alcune organizzazioni internazionali, dal 1949 inizia a visitare sempre più frequentemente l’ashram di Pondicherry, dopo che per trentatré anni aveva mantenuto relazioni con sua madre solo per via epistolare. Dal 1956 Andrè ha un ruolo nello Sri Aurobindo Study Centre e fonda la Franco-Indian Union Association. Nel frattempo, una delle sue due figlie, Françoise, detta Pournaprema, nata nel 1931, si era trasferita nell’ashram, vivendo a fianco della nonna.
Nel 1969, André, in pensione dalla propria professione, diviene direttore dello Sri Aurobindo International Centre of Education e quando nel 1968 viene fondata la città di Auroville, (“ponte tra il presente e il futuro; luogo di ricerche materiali e spirituali per dare un corpo vivente a una vera umanità”), il figlio settantenne di Mirra diviene un canale di comunicazione tra Auroville e la madre novantenne.
Oggi, dopo varie dispute immobiliari, la città, viva e prospera, in tutta la sua complessità e contraddittorietà, è stata nazionalizzata dal governo indiano e riceve finanziamenti per le sue attività di impegno e ricerca da vari enti internazionali, tra cui l’Unione Europea e l’Unesco. È considerata un punto di riferimento internazionale per la ricerca e lo sviluppo in campo ecologico, di energie alternative, della tutela della biodiversità, della conservazione delle acque piovane e di falda. Permane centrale il suo impegno nella promozione della comprensione interpersonale e del dialogo fra culture diverse. Indira Gandhi l’aveva così definita: “An exciting project for bringing about harmony among different cultures and for understanding the environmental needs of man’s spiritual growth”.