Insegnamento, lavoro in una comunità di accoglienza, formazione, sororità. Nella sua vita tutte queste esperienze sono legate dalla scrittura di icone, che è diventata, dal 1999, la pratica e il tempo di sintesi tra pensare, fare e pregare. Quindi viaggi di formazione in Russia, un maestro russo (Alexander Stalnov), e il lavoro con un gruppo di donne, le Mirofore di Mantova.
Martina dissemina le sue opere nelle case delle sorelle; ogni icona pensata per ciascuna, in Israele, a Betania, in altri luoghi. Inizia gessando, poi passa alla doratura e sminuzza pietre preziose e minerali che le servono per preparare i colori. Si dice “scrivere” un’icona e non dipingere perché essa è veicolo, e non figurazione in sé conclusa: “Tutto quel vivido, fulgido, ritmico cosmo simbolico che senza tregua accenna, allude, rimanda a un suo doppio celeste del quale non è che l’ombra stampata sulla terra” (Cristina Campo).
Scrivere un’icona è un atto liturgico, nel quale i materiali che si trovano in natura vengono “restituiti” attraverso l’opera. Anche i colori entrano in questo sistema simbolico. Il bianco simboleggia la luce, è il colore della divinità. Il rosso esprime energia, è simbolo dello Spirito-fuoco, dell’angelo rosso Sapienza. Il porpora è simbolo dell’umano, così il manto di Maria, la tunica di Gesù. Il blu è il più profondo dei colori. Il verde è la giovinezza e la vitalità, è il colore della natura, del rinnovamento. Martina testimonia e prosegue una linea femminile della pratica delle icone, e il riferimento è a Maria Sokolova (1899-1981), prima maestra della Scuola della Lavra di San Sergio e Sergiev Posad, una delle scuole di iconografia più importanti della Russia, che Martina ha frequentato.
“L’icona è una finestra sull’invisibile, tempio, parola di Dio scritta nei colori, un frammento di mistero.”1
- Pavel Florenskij, Le porte regali. ^