Maria Giudice

Codevilla (Pavia) 1880 - Roma 1953
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Maestra elementare e madre di sette figli, avuti da Carlo Civardi, prima anarchico e poi socialista (morirà in guerra), lavora come segretaria della Camera del lavoro di Voghera; dopo una condanna per avere pubblicato un articolo sugli eccidi proletari, fugge in Svizzera. Qui conosce Lenin e Mussolini, allora socialista, su cui esprime un giudizio durissimo, e assieme alla socialista Angelica Balabanoff pubblica il quindicinale «Su Compagne!». Tra i temi della rivista centrale è la questione femminile. Ad avviso della Giudice, mentre il femminismo borghese si contenta di enunciazioni di principio, il socialismo predica e pratica insieme la liberazione economica e quella dalla subalternità al dominio maschile. Le donne potranno liberarsi dal «doppio sfruttamento» solo se sapranno trovare in se stesse la forza di farlo.
Rientrata in Italia nell’aprile del 1905, sconta alcuni mesi di carcere e successivamente lavora alla redazione dell’«Avanti!», diventa segretaria provinciale del Partito Socialista torinese e dirige il giornale «Il grido del popolo», di cui era redattore Antonio Gramsci. Nel 1916 viene arrestata assieme a Umberto Terracini per aver tenuto una riunione pubblica senza autorizzazione in cui aveva sostenuto che la guerra era voluta dai signori per arricchirsi, e viene condannata a tre mesi di carcere. In seguito alla sommossa di Torino dell’agosto del 1917 (una manifestazione per la mancanza di pane si era trasformata in protesta contro la guerra e si era conclusa in un massacro: caddero 50 manifestanti e 10 agenti della forza pubblica) è arrestata e condannata a tre anni e un mese di reclusione.
Viene amnistiata nel 1919, nel gennaio del 1920 viene inviata in Sicilia dalla direzione nazionale del Partito Socialista, e avrà un ruolo di primo piano nelle vicende siciliane di quegli anni. Sarà lei a presiedere il Congresso regionale socialista del 19 marzo dello stesso anno, ma sarà pure l’unica donna presente. In un articolo pubblicato sul periodico palermitano «La Dittatura proletaria» dell’8 agosto 1919, dal titolo Alle donne proletarie, si parla della presenza delle donne in varie attività lavorative, ma si lamenta la loro passività. In realtà le donne siciliane, che erano state protagoniste della prima fase delle lotte contadine, i Fasci siciliani (1891-94), costituendo anche fasci di sole donne, avevano avuto un ruolo notevole nelle manifestazioni pacifiste precedenti la prima guerra mondiale che si erano protratte anche durante la guerra. Scarsa invece la loro partecipazione alle occupazioni di terre nel dopoguerra, organizzate in gran parte dalle associazioni degli ex combattenti. Ma ci fu una significativa presenza femminile nelle manifestazioni contro il carovita, che si registrarono con frequenza negli anni che precedettero l’affermazione del regime fascista e che, in alcuni casi, diedero luogo ad eccidi. Al centro di queste manifestazioni troviamo Maria Giudice che viene considerata dalla stampa reazionaria la responsabile dei «disordini» e che si vorrebbe allontanare dalla Sicilia. Anche le donne operaie danno segni di vitalità: a Palermo nel maggio del ’19 le tessili dello stabilimento “Tele olone e canapacci” scioperano per 14 giorni e ottengono la riduzione dell’orario di lavoro a otto ore.
L’unica donna con un ruolo dirigente è comunque la lombarda Maria Giudice, una socialista che «predica il soviettismo ed incita le masse alla rivoluzione», come scrivono le informative poliziesche su di lei, che non aderirà al nuovo Partito Comunista, convinta che il Partito socialista abbia «una sua ragione di esistere e di permanere». Nel 1920 Maria Giudice pronuncia l’orazione funebre per Giovanni Orcel, il segretario degli operai metallurgici assassinato dalla mafia il 14 ottobre in una via centrale di Palermo. Nella notte tra il 30 aprile e primo maggio del 1921, sempre a Palermo, i fascisti devastano la sede della Federazione dei metallurgici. I dirigenti socialisti Maria Giudice e Giuseppe Sapienza, il suo nuovo compagno, che abitavano in un appartamento contiguo, si salvano calandosi da un balcone con un lenzuolo attorcigliato. Nel luglio del 1922 a Lentini, in provincia di Siracusa, durante un comizio della Giudice, la polizia spara sulla folla e uccide due donne. Intervengono squadre armate di agrari e combattenti nazionalfascisti, comandate da un proprietario terriero le cui terre erano state occupate dai contadini nei mesi precedenti. Nei giorni successivi si verificano scontri che provocano 4 morti e 50 feriti. La Giudice viene arrestata e condannata. Esce dal carcere nel febbraio del 1923. Nel ’27 il fascismo la sottopone ad ammonizione. Gli anni che seguono la vedono isolata, vigilata, e stanchissima. Si trasferirà a Roma per seguire gli studi della figlia, la scrittrice Goliarda Sapienza. Morirà nel 1953.

Fonti, risorse bibliografiche, siti

V. Poma (a cura di), Una maestra tra i socialisti. L’itinerario politico di Maria Giudice, Milano-Bari, Cariplo-Laterza 1991

J. Calapso, Una donna intransigente. Vita di Maria Giudice, Palermo, Sellerio 1996

U. Santino, Storia del movimento antimafia. Dalla lotta di classe all’impegno civile, Roma, Editori Riuniti University Press 2009

Referenze iconografiche: immagine tratta dal libro "Una maestra fra i socialisti. L'itinerario politico di Maria Giudice", a cura di Vittorio Poma, Cariplo-Laterza, Bari-Milano 1991.  Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International license.

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Umberto Santino

Fondatore e direttore del Centro siciliano di documentazione Peppino Impastato di Palermo, il primo centro studi sulla mafia sorto in Italia (1977), è autore di varie pubblicazioni, tra cui L’impresa mafiosa, La borghesia mafiosa, L’alleanza e il compromesso, La cosa e il nome, Mafie e globalizzazione, Breve Storia della mafia e dell’antimafia, Storia del movimento antimafia, Una ragionevole proposta per pacificare la città di Palermo, I giorni della peste.

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