«Nei libri in cui racconto la mia infanzia, ad un tratto non so più che cosa ho tralasciato e che cosa ho raccontato, credo di aver parlato del nostro amore per nostra madre, ma non so se ho parlato anche dell’odio, di quanto ci amavamo e di quanto anche riuscivamo a odiarci, vivendo quella storia di rovina e di morte che era la storia della nostra famiglia, una storia fatta di amore e odio, che sfugge ancora ad ogni mio intendere, che mi è ancora inaccessibile, celata nella profondità della mia carne, cieca come un neonato il primo giorno». (M. Duras, L’amante)
L’infanzia e la giovinezza di Marguerite Duras sono state segnate profondamente dalla morte del padre, Henri Donnadieu, professore di matematica, avvenuta nel 1918: le difficoltà economiche seguite a tale decesso, l’enorme responsabilità di allevare da sola tre figli, faranno della madre, Marie Legrand, una donna dura, ma anche fragile dal punto di vista psichico. A lei la figlia sarà legata da un rapporto contraddittorio di amore- odio «mia madre è stata per noi una grande pianura dove abbiamo camminato a lungo senza coglierne la misura»[1].
I genitori, entrambi francesi, si erano conosciuti in Indocina, dove insegnavano dai primi del Novecento e dove la scrittrice visse la sua gioventù. Nonostante la morte precoce, Henri resta una presenza continua nell’assenza, evidente in varie pagine della figlia.
Marguerite con il fratello Paulo, di due anni più vecchio, vive un legame molto intenso, mentre si acuisce col tempo la distanza da Pierre, fratello primogenito, descritto come un nevrotico, fumatore d’oppio, probabilmente collaborazionista durante la guerra e, quindi, molto distante dagli ideali della sorella.
Fino ai 18 anni la vita di Marguerite è turbata da pochi elementi, ma fondamentali per il suo futuro: alle difficili relazioni con Pierre, violento verso di lei e Paulo, ma amatissimo dalla madre, si aggiunge l’acquisto di terre. La madre, in quanto vedova di un funzionario e funzionaria lei stessa, aveva ottenuto una concessione di risaie nell’Alta Cambogia, che si rivelarono però del tutto inadatte alla coltivazione: invase dal mare, furono causa del disastro economico della famiglia.
Marie, fuori di senno, tenterà più volte di costruire delle dighe per porre riparo al disastro, ma senza riuscire nello scopo e perdendo ulteriore denaro.
«L’intero raccolto andò distrutto da un momento all’altro in una notte di alta marea, a eccezione di pochi ettari…Tutte le banche di credito a cui mia madre si rivolse rifiutarono formalmente di prestarle una simile somma…»[2].
Il fatto, unito alla forte critica della corruzione dell’amministrazione coloniale, è al centro del romanzo che segnò l’inizio del successo: Una diga sul Pacifico (1950).
Degli anni trascorsi in Asia è fondamentale la relazione sentimentale iniziata a circa 15 anni con un cinese abbiente, Léo, che aveva studiato a Parigi, elegante, cortese, ma non affascinante. Il legame durerà solo un anno e mezzo, ma attorno a esso ruotano i due capolavori inscindibili della Duras, L’amante (1984) e L’amante della Cina del Nord (1991) scritto nel momento in cui la Duras seppe della morte dell’uomo.
Si trattò di un amore fin dall’inizio infelice: la famiglia di lui si opponeva perché Marguerite era una “bianca”, i familiari di lei disprezzavano “il cinese”, ma approfittavano cinicamente della sua ricchezza in un periodo per loro molto difficile.
Un anno e mezzo dopo l’incontro tra i due, tutta la famiglia va in Francia, e lì Marguerite resterà.
La madre, invece, tornerà a Saigon fino alla morte di Paulo (1942) e poi, nuovamente in Francia, continuerà a mantenere economicamente Pierre, comprandogli persino una tenuta ad Amboise.
Marguerite studia diritto, matematica, scienze politiche, si impiega al Ministero delle colonie e inizia a scrivere, attività precedentemente ostacolata dalla madre. Frequenta spesso ambienti intellettuali: ne L’Amante è descritto il “salotto” parigino di Betty Fernandez[3] dove varie personalità, come Drieu La Rochelle, Brasillach, Ramon Fernandez, s’incontravano e dove non si parlava di politica, ma solo di letteratura. I ponti con la famiglia originaria sono ormai tagliati: la Duras rivedrà la madre brevemente nel 1949.
Nel 1939 sposa Robert Antelme, intellettuale e scrittore, deportato nel ’44 nei campi di concentramento in Germania: tale esperienza di solitudine e angoscia darà vita al capolavoro La douleur (1985).
Gli anni della guerra sono fondamentali: dal ’43 Marguerite è nella Resistenza e conosce persone determinanti per la sua maturazione culturale e umana, come Francois Mitterrand (proprio quest’ultimo nel ’45 ritroverà, tra i cadaveri, nel campo di concentramento di Dachau, Robert Antelme vivo).
Nel primo decennio postbellico nasce l’amicizia anche con Elio Vittorini e sua moglie Ginetta: gli scritti degli anni Cinquanta, Le marin de Gibraltar e Les petits chevaux de Tarquinia, sono frutto delle vacanze italiane trascorse con i due.È Vittorini stesso ad interessarsi per primo alla pubblicazione presso Einaudi di Una diga sul Pacifico, già uscito in Francia nel 1950. Così lo scrittore scriveva a Giulio Einaudi: «Caro Giulio, ti è stato mandato da parte di Gallimard un libro che trovo ottimo. È un romanzo intitolato Un barrage contre le Pacifique e qui ha molto successo».
E Calvino, altro collaboratore prezioso dell’Einaudi, così si esprime con Vittorini:«Caro Elio, da tempo non mi capitava di leggere un libro bello come il Barrage contre le Pacifique. L’ho letto da pochi giorni e non parlo d’altro…La prima parte mi sembra una cosa purissima e nuova. Nella seconda forse c’è una mano più pesante. Ma io non mi aspettavo di vedere un libro così uscire dalla letteratura francese d’oggi. Di’ alla Duras che la amo moltissimo… È un gran bel libro senz’altro…»[4].
Ad interessare gli scrittori citati furono sicuramente le tecniche della Duras, ricondotte da molti al Nouveau roman, nonostante l’isolamento della scrittrice rispetto a qualsiasi movimento culturale. L’essenzialità sintattica di una scrittura rarefatta, la profondità delle riflessioni e l’estrema efficacia stilistica, la rilevanza dei singoli termini, che evocano situazioni lasciate all’interpretazione del lettore, sono tutti elementi che ricordano lo stile rapido ed incisivo degli scrittori americani, tanto amati allora in Europa.
Gli anni Quaranta sono anche quelli della dolorosa perdita del primo figlio, morto alla nascita nel ’42, e quelli del dolore devastante per la morte del “fratellino”.
Si iscrive al partito comunista da cui, dopo un graduale allontanamento, sarà espulsa nel ’50.
Nel 1946 divorzia da Antelme, iniziando il legame con Dionys Mascolo da cui, nel ’47, avrà un figlio e dal quale si separerà nel ’57: ma una grande amicizia legherà sempre Marguerite, Dionys e Robert.
Dagli anni Cinquanta in poi la Duras trasforma un’altra volta la sua esistenza: sempre impegnata politicamente (schierata contro la guerra in Algeria tra gli anni Cinquanta e Sessanta, firma, nel 1960, il Manifesto in favore del popolo algerino e contro quel conflitto) e dedita alla scrittura (Moderato cantabile, del 1958, inaugura una struttura narrativa più complessa rispetto alle opere precedenti), sarà attaccata sovente dai benpensanti per il rigore ideologico e la condotta lontana dalla morale borghese comune. Inizia a bere, tanto da essere ricoverata più volte in ospedale e da dover affrontare più tardi, nel 1983, una cura di disintossicazione.
«Non bevevo mai per essere ubriaca. Non bevevo mai in fretta. Bevevo continuamente e non ero mai ubriaca. Lontana dal mondo, irraggiungibile, ma non ubriaca.Una donna che beve è come se bevesse un animale, un bambino. L’alcolismo diventa scandalo se chi beve è una donna: una donna alcolizzata è raro, è grave. È la natura divina che è colpita»[5] .
Sempre più evidente è l’interesse della Duras per il teatro e la cinematografia, ambito, quest’ultimo, che l’assorbì fino agli anni Settanta e i cui esiti più noti furono: Hiroshima mon amour (regia A. Resnais, sceneggiatura Duras 1959); Nathalie Granger, 1972 ; Le ravissement, 1964; La femme du Gange, 1973; India Song, 1974.
A proposito del cinema la Duras affermava: «Faccio film per occupare il tempo. Se avessi il coraggio di non fare niente, non farei niente. È perché non ho il coraggio di non occuparmi di niente che faccio film».[6]</br />Vari critici, tra cui Ester Carla de Miro, rimarcano in tale campo l’affinità della Duras «…con quello che negli USA è stato definito cinema strutturale, un cinema cioè che, abbandonata la narrazione[…]si è sviluppato intorno alla valorizzazione dei processi tecnici e delle strutture minime del linguaggio cinematografico, come il fotogramma, il colore, il suono»[7].
Nel 1964-66 escono i due romanzi eccellenti Le ravissement de Lol V. Stein e Le vice-consul.
È però dagli anni Ottanta alla morte l’epoca di maggiore notorietà a livello internazionale: nel 1984 con L’amante ottiene il Goncourt, negatole con Una diga sul Pacifico. Il libro è un intreccio di considerazioni sul passato e sul presente, folgorazioni, testimonianze della sua giovinezza e della storia d’amore con Léo, ricordi parigini, ma anche riflessioni sulla scrittura e sull’impegno:
«Ho cominciato a scrivere in un ambiente in cui dovevo farlo con pudore. Scrivere, allora, era ancora un impegno morale… Adesso scrivere sembra che spesso non sia più niente»[8].
Mai s’interrompe il suo interesse per la società in cui vive: nel 1982 esce La maladie de la mort, saggio che indaga il rapporto tra i sessi.
Dal 1980 si svolge un’assidua collaborazione con il giornale francese «Libération» e iniziano anche il legame e la convivenza con il giovane omosessuale Yann Andrea, alla cui figura sono dedicati Occhi blu capelli neri (1986) e, soprattutto, Yann Andrea Steiner del ’92. Malata gravemente dal 1988, la scrittrice muore a Parigi nel 1996.
NOTE
1. M. Duras, Quaderni della guerra e altri testi, Feltrinelli, 2008, p.272.
2. M. Duras, ibidem, p.33.
3. M. Duras, L’Amante, Feltrinelli, 1985, p. 75.
4. Italo Calvino, I libri degli altri. Lettere 1947-1981, a cura di Giovanni Tesio, Torino, Einaudi, 1991, p.29.E.Vittorini, Gli anni del “Politecnico”, op. cit., pp.324-325.
5. M. Duras, La vita materiale. Marguerite Duras parla a Jerome Beaujour, Feltrinelli, 1988.
6. M. Duras, I miei luoghi. Conversazione con Michelle Porte, ed. Clichy, 2013, p. 13.
7. E. C. De Miro, Testo, teatro, film: una poetica della messinscena in M. Duras. Duras mon amour, Saggi italiani su Marguerite Duras, Marcos y Marcos, 1982, p. 23.
8. M. Duras, L’Amante, op. cit….p. 16.
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