Le notizie sull’infanzia della Sarrocchi sono scarse e frammentarie. Nata in una famiglia dell’alta borghesia napoletana, rimasta presto orfana, Margherita fu allevata, come si legge nel manoscritto di Bartolomeo Chioccarelli, conservato presso la Biblioteca Nazionale di Napoli (ms.A.28, cc.67v-68r) dal vescovo Guglielmo Sirleto, di origini calabresi, che la istruì e la educò per molto tempo. La portò con sé a Roma quando, ordinato cardinale da papa Pio IV, fu trasferito nello Stato pontificio. L’affidò al monastero di Santa Cecilia in Trastevere dove, sempre sotto la sua guida, Margherita apprese non solo le discipline normalmente destinate alle donne, come le lettere classiche e i libri sacri, ma anche quelle del Quadrivio normalmente studiate dai maschi. Qui ebbe illustri maestri come Luca Valerio, uno dei più qualificati matematici del tardo Cinquecento, chiamato da Galileo Galilei “novello Archimede” e Rinaldo Corso, vescovo letterato, giurista, magistrato; il primo le impartì lezioni nelle materie scientifiche, il secondo in quelle umanistiche.
Iniziò la sua carriera di letterata commentando Giovanni Della Casa ed interpretando le Rime di Petrarca. Buona conoscitrice del greco, tradusse in italiano Ero e Leandro di Museo Grammatico e si cimentò negli studi scientifici dimostrando acume e capacità. Nell’ambito filosofico scrisse, in latino, un trattato sulla Predestinazione che, in punto di morte, affidò a padre Cortese dei Predicatori, affinché lo pubblicasse. Di queste opere, però, non è pervenuto nulla. Anche della produzione poetica, che dovette essere abbondante, i suoi componimenti sono pervenuti solo in raccolte dei contemporanei.
Quindicenne fu inserita da Muzio Manfredi nella miscellanea Componimenti raccolti da diversi per Dame Romane. Ebbe importanti corrispondenze poetiche con molte delle più autorevoli figure del XVI secolo e tra queste Torquato Tasso. Nell’ambito delle dispute che si tenevano a Roma intorno alla Gerusalemme liberata sostenne l’opera di Tasso. Fu a lungo intima di casa Colonna. Ebbe un forte legame di amicizia anche con Beatrice Cenci che la ricordò nel suo testamento. Sposò Carlo Biraghi, accademico dei Raffrontati. Dai processetti matrimoniali delle chiese di Roma non vi è traccia di quello della Sarrocchi, forse capitato tra i tanti andati dispersi nel corso dei secoli. Il nome del marito si ricava dal suo atto di morte e da questo si apprende anche che le premorì.
A Roma tenne campo in ogni dottrina e, per anni, la sua casa fu un cenacolo alla moda. Qui si riunivano i nomi più illustri della cultura del tempo, tra i quali Gianbattista Marino. I due, come raccontano le cronache a lei contemporanee, ebbero una relazione amorosa che, alla rottura, li trasformò in acerrimi nemici.
Nelle Accademie pubbliche e private, scrive Angelo Borzelli nel suo saggio Note intorno a Margherita Sarrocchi e al suo poema “La Scanderbeide”, la scrittrice accusò Marino di usare uno stile pletorico e dispersivo. Chiamata “mostro del sesso femminile” per le sue conoscenze, di lei Cornelio Cataneo scrisse «O splendore immortal del secol nostro/ o delle donne altero, raro mostro». Ebbe un’intensa corrispondenza con Galileo Galilei, che testimonia gli interessi scientifici della Sarrocchi, inconsueti per il suo esser donna in quegli anni, segnati dai dettami della Controriforma. Famosa negli anni in cui visse, legò il suo nome alla cultura del tempo soprattutto per la scrittura del poema epico La Scanderbeide del quale affidò la revisione all’astronomo pisano. In ventitré canti, l’opera fu pubblicata in due edizioni. Una, parziale, nel 1606, composta dai primi nove canti, la sintesi del decimo e undicesimo ed una parte del dodicesimo, fu dedicata all’accademico Arrotato dei Raffrontati, che ne curò l’introduzione e a donna Costanza Colonna Sforza, marchesa di Caravaggio. L’altra edizione, pubblicata postuma nel 1623, è completa e fu dedicata alla principessa Giulia d’Este da parte di Giovanni Latini, nipote della scrittrice. Il poema narra l’epopea di Giorgio Castriota Scanderberg, principe albanese, in guerra contro Murad, sultano turco, per la conquista dell’Albania dal 1443 al 1468. È il primo poema epico scritto da una donna nella storia della letteratura italiana. Trascorse gli ultimi anni della sua vita, ormai vedova, con Luca Valerio. Morì a Roma il 29 ottobre 1617.
Questo l’incipit de La Scanderbeide
«Canta Musa il valore, onde sofferse,
et oprò tanto il forte Re d’Epiro
contra cui genti Arabe, e Scithe, e Perse
a Croia il Turco imperator seguiro,
di morti il monte, e ‘l pian si ricoperse,
molte alme al Ciel, molte all’inferno giro,
co’l Barbaro Ottoman sue squadre uccise
furo dal Re, cui il Ciel benigno arrise».