Margherita Beloch (sposata Piazzolla) dedicò la vita alla ricerca e può senz’altro essere considerata una “madre della scienza”. Nacque a Frascati, il 12 luglio 1879, in una famiglia multiculturale e internazionale. Il padre fu lo storico tedesco Karl Julius Beloch, che dal 1879 al 1929 insegnò storia antica all’Università di Roma La Sapienza; riuscì ad ottenere la cittadinanza italiana solo negli ultimi anni della sua vita. La madre, Bella Bailey, era americana di Washington e la sua famiglia poteva annoverare tra gli amici Abraham Lincoln, il sedicesimo presidente degli Stati Uniti. Il matrimonio della coppia fu celebrato nel 1879, anno di nascita di Margherita. Quattro anni più tardi nacque una seconda figlia, per la quale fu scelto il nome Dorotea. Le due sorelle furono profondamente legate all’Italia – e a Roma in particolare – e, seppure in ambiti diversi, entrambe ebbero un ruolo di rilievo nella cultura italiana (Dorotea si dedicò alla lirica e fu allieva di Pietro Mascagni).
Margherita Beloch fu un’influente matematica che divise la sua vita accademica tra l’Università di Roma La Sapienza, dove si laureò nel 1908, e le Università di Pavia, Palermo e Ferrara. La sua tesi di laurea riguardava le trasformazioni birazionali nello spazio e fu pubblicata alla fine del percorso di studi negli Annali di matematica pura e applicata. Quando Margherita Beloch studiò a Roma, la scuola di geometria algebrica cominciava a dimostrare il suo grande valore. Tra i personaggi che vi collaboravano c’era Guido Castelnuovo, che in seguito avrebbe dato il suo nome all’Istituto di Matematica della città universitaria. Castelnuovo ebbe il merito di riconoscere il talento della sua allieva e la coinvolse nella vita accademica, nominandola assistente di geometria descrittiva presso l’Università di Pavia (1919).
L’anno seguente Margherita si trasferì a Palermo, dove collaborò con il matematico Michele De Franchis, appassionato studioso di geometria algebrica. Nel 1924 conseguì la libera docenza e vinse il concorso alla cattedra di geometria bandito nel 1927 presso l’Università di Ferrara. In quella circostanza Beloch, nella graduatoria finale, si classificò davanti a Nicolò Spampinato ed Enea Bartolotti.
Per molti anni lavorò a Ferrara, dove tenne anche, per incarico, gli insegnamenti di Geometria descrittiva, Geometria superiore, Matematiche complementari e Matematiche superiori fino al collocamento a riposo avvenuto nel 1954. Non interruppe mai le sue ricerche, anche in virtù del fatto che nel 1955 le fu conferito il titolo di professore emerito, il che le permise di continuare a essere parte attiva nella vita dell’ateneo.
Si interessò di vari argomenti e raccolse la sua produzione scientifica in un volume uscito nel 1967, che curò per la Società italiana di fotogrammetria e topografia, con il titolo Opere scelte. Fu membro del consiglio direttivo della Società italiana di fotogrammetria Ignazio Porro e dell’Accademia delle Scienze di Ferrara.
La sua attività scientifica ebbe tre filoni privilegiati: la geometria algebrica, la topologia proiettiva e la fotogrammetria. Proprio nelle Opere scelte fornì una sua definizione di fotogrammetria: “È l’insieme delle teorie geometriche ed analitiche e delle operazioni ottico-meccaniche e grafiche, per mezzo delle quali si può riprodurre, in una data scala, un oggetto di cui sono state prese due o più fotografie”.
Si occupò anche di problematiche pratiche e applicative e in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico 1929-30 all’Università di Ferrara, tenne un discorso dal titolo La matematica in relazione alle sue applicazioni e al suo valore educativo.
Margherita aveva una notevole fantasia matematica e dopo la tesi di laurea sulle trasformazioni birazionali nello spazio, si dedicò presto all’analisi delle classificazioni delle superfici e dei sistemi di curve che vi appartengono e fu proprio per lo studio immediatamente successivo sulle superfici iperellittiche di rango 2 del quarto ordine che vinse il concorso da ordinario. Il teorema che accrebbe notevolmente la sua reputazione illustrava che “le superfici iperellittiche di rango 2 sono pienamente caratterizzate dal possesso di sedici curve razionali”.
Si dedicò altresì allo studio delle curve algebriche sghembe, ottenendo anche in quest’ambito risultati significativi, al punto che nell’anno 1940 l’accademico francese Charles Émile Picard presentò ai Comptes rendus de l’académie des sciences un suo articolo dal titolo Sur le nombre des plurisecantès et sur la classification des courbes gauches algèbriques.
Si distinse anche in campo geometrico, dove approfondì le proprietà topologiche delle curve situate sopra quadriche, sopra superfici cubiche e sopra superfici generali del terzo ordine.
Il breve riassunto delle sue poliedriche capacità evidenzia che nel 1933, quando intraprese i suoi importanti studi di fotogrammetria, possedeva già una padronanza profonda degli argomenti correlati alla teoria e fu in grado, in poco tempo, di presentare una nota all’Accademia dei lincei dal titolo Sulla risoluzione di un problema di aereo-fotogrammetria. Ideò e costruì un apparecchio aereo-fotogrammetrico il cui scopo era di determinare “l’altezza di volo e il punto di stazione di un aereo in volo al momento della presa di una fotografia dall’interno del velivolo”.
Si può affermare che i suoi studi degli anni Trenta relativi alle applicazioni dei metodi della fotogrammetria terrestre alla radiologia per scopi medici e quelli sull’aereofotogrammetria e la röntgenfotogrammetria possono essere interpretati come i precursori della TAC (Tomografia Assiale Computerizzata). Queste furono all’epoca le sue parole: “si trattava di partire da due radiogrammi di uno stesso oggetto, per poi risalire mediante calcoli e disegni grafici, oppure mediante ricostruzioni ottico-meccaniche, alla vera forma e grandezza dell’oggetto e delle sue parti e all’esatta misura delle distanze dei punti (anche interni) a esso appartenenti”.
La difficoltà di registrazione delle misure su organi in movimento, come accade ad esempio per il cuore, la spinse a ideare un apposito apparato strumentale, il “precisometro”, che permetteva di realizzare lo scatto simultaneo di due radiogrammi. Inoltre, il geniale dispositivo era in grado sia di impedire che le radiazioni destinate a una delle lastre sensibili colpisse l’altra, sia di risalire, automaticamente, dalle immagini radiologiche alle misure delle distanze di punti dell’oggetto fotografato (senza necessità di altri calcoli).
Nel 1938 il precisometro fu premiato alla Mostra delle invenzioni Leonardo da Vinci con la coppa d’argento del ministero dell’Educazione nazionale. Negli ultimi anni della sua vita, che trascorse a Roma, decise di riordinare i lavori di storia del padre. Una parte di questi venne poi donata al Prof. Silvio Accame (fu allievo di Gaetano De Sanctis e divenne presidente della Pontificia Accademia di archeologia dal 1983 al 1991).
Margherita Beloch, ormai vedova da moltissimi anni, morì a Roma, il 28 settembre del 1976.