Affermava di non avere alcuna pretesa artistica Lola Álvarez Bravo:
Voglio solo fare la cronaca del mio paese, della mia epoca, della gente a me più vicina, del modo in cui il Messico è cambiato.
Nel Messico postrivoluzionario degli anni Trenta – terra promessa del socialismo internazionale – è stata la prima donna fotografa messicana di professione e una delle pioniere del fotomontaggio, non solo sensibile e ispirata ritrattista (ha fotografato gente comune e innumerevoli personalità del mondo letterario e artistico messicano), ma anche attenta e impegnata in un’opera documentaria del mondo contadino e operaio e, in particolare, del mondo femminile all’interno della società del tempo, oltre che insegnante, gallerista e regista.
Dolores Martínez de Anda nasce in una famiglia benestante a Lagos de Moreno (Jalisco). La sua infanzia è difficile, solitaria e marcata da un’assenza di affetti, come confesserà in varie interviste. Dopo l’abbandono della madre, si trasferisce con il padre e il fratello a Città del Messico. Qui il padre muore prematuramente (1916) e ancora bambina sarà costretta ad abitare prima con il fratellastro, poi in vari istituti religiosi.
È in questa città che incontra Manuel Álvarez Bravo. Si sposano nel 1925, da lui apprende i primi rudimenti della fotografia, ma soprattutto attraverso il milieux artistico che il fotografo frequenta, Lola Álvarez Bravo avrà la possibilità di entrare in relazione con i più importanti artisti di quel particolare momento di piena effervescenza, ricco di stimoli, di speranze e di grandi sogni politici. Fra questi Edward Weston e Tina Modotti – che diventerà una delle sue più care amiche –, ma anche, in seguito, artisti come Henri Cartier-Bresson e Paul Strand e i pittori Julio Castellanos, María Izquierdo, Diego Rivera e Frida Kahlo. Proprio a Frida Khalo infatti la sua galleria – la Galería de Arte Contemporáneo in Calle Amberes 12 – dedicherà nella primavera del 1953 la prima retrospettiva delle opere, un anno prima della sua morte, mentre incompiuto – proprio a causa della malferma salute della pittrice – rimarrà il film documentario iniziato nel 1951 dal titolo provvisorio Frida Khalo y Tina Misrachi, in cui Tina Misrachi, figlia del celebre gallerista Alberto Misrachi, ritratto da Frida Khalo nel 1937, interpreta il ruolo della figlia di Khalo.
Se in un primo momento la fama del marito le fa ombra (come avviene nell’esposizione Mexican Art Today di Philadelphia nel 1943), ben presto si allontana dalla sua influenza soprattutto con la sperimentazione della tecnica del fotomontaggio – fino ad allora utilizzato in Messico solo come strategia pubblicitaria – dove rivela in affiches (anche di grandi dimensioni, che ricordano i murales) e illustrazioni per riviste un aspetto politico più marcato. La sua fotografia elogia il progresso, ma non è propagandistica e pur mostrando un terreno comune con Tina Modotti – fra recupero delle tradizioni, sperimentalismo e attenzione alla realtà contemporanea, è meno idealista di quest’ultima. Il suo desiderio, come testimonia in Recuento Fotográfico, è di andare al di là dell’apparenza, raccontare e approfondire i motivi, le radici dei problemi della società messicana – la povertà, l’abbandono, il lavoro minorile, la posizione marginale, a volte tragica della donna – di cui, riteneva, siamo tutti responsabili. Affermava di voler catturare l’essenza degli esseri e delle cose, il loro spirito, la loro realtà, sottolineando che
[…] l’interesse, la propria esperienza, il compromesso etico ed estetico costituiscono il terzo occhio del fotografo.
Coinvolta e influenzata dalle istanze del Surrealismo nei temi, nella scelta di figure isolate, di ambienti vagamente onirici, inquietanti o misteriosi1, è capace di unire i motivi fantastici a istanze più realiste e impegnate.
Dopo la separazione dal marito (nel 1934, anche se divorzieranno solo nel 1949), per motivi economici fa della fotografia la sua professione, lavorando per riviste e periodici – come «Mexican Folkways» con Frances Toor e «El Maestro Rural»2 – pubblicazioni varie, agenzie governative e assumendo il ruolo, che tenne per circa trent’anni, di fotografa ufficiale dell’Istituto nazionale messicano di Belle Arti3, documentando opere d’arte, produzioni di teatro, coreografie, eventi ufficiali.
I ritratti di Álvarez Bravo – tanto quelli di intellettuali e artisti che di gente comune – rivelano non soltanto perizia tecnica ed eleganza compositiva, ma una grande capacità interpretativa e narrativa. In un breve film-intervista racconta quanto sia difficile e delicato un ritratto e spiega di aver appreso la tecnica compositiva soprattutto dalla pittura. Ritorna insistentemente sulla questione della composizione in numerosi interventi, sottolineando il suo grande interesse per la forma, l’equilibrio visivo4 e associando la pratica fotografica alla sperimentazione di nuovi angoli e punti di vista che possano rinnovare i piani tradizionali.
È soprattutto nella ritrattistica femminile e nei soggetti femminili – donne, maternità5, ma anche nel nudo femminile e perfino nei fotomontaggi – che Álvarez Bravo rivoluziona il modo tradizionale (essenzialmente maschile) della visione e non solo nei canoni di bellezza, ma nelle inquadrature, nella scelta del montaggio che diventa a volte una vera e propria messa in scena (come nel ritratto di Ruth Rivera Marín del 1950, la figlia di Diego Rivera), mostrando partecipazione emotiva, grande capacità di racconto e introspezione e, a volte, un’ironia garbata ma di grande impatto sociale, come nel fotomontaggio Sirenas del aire del 1950, o in El Sueño del ahogado (1945 ca.) in cui le visioni oniriche dell’affogato, rappresentazioni femminili stereotipate sembrano intente più a schiacciare e affondare che non a salvare l’uomo aggrappato a un tronco d’albero in basso a sinistra.
Nei numerosi ritratti di artiste, intellettuali, scrittrici come Rosario Castellanos, Elena Poniatowska, Pita Amor (Guadalupe Teresa Amor Schmidtlein), Anita Brenner, Lilia Carrillo, Judith Martínez Ortega, Cordelia Urueta, Marion Greenwood, Olga Costa, Alice Rahon, Emma Reyes6 e in particolar modo quelli delle più care e intime amiche, le pittrici María Izquierdo7 e Frida Khalo rivela semplicità disarmante e franchezza (S. Greenberg). In particolare nei ritratti di Frida Khalo (fotografata fin sul letto di morte), Álvarez Bravo mette in luce la natura più intima della pittrice messicana, anche quella più meditativa e sofferente, svelando allo stesso tempo grande complicità e corrispondenza.
Anche quando il suo obiettivo rappresenta donne indigene e “campesine”, riallacciandosi a un tema ampiamente frequentato dalla cosiddetta scuola messicana, la sua ritrattistica è originale, partecipe, mostrando tuttavia una dolorosa e pessimistica visione della realtà. Allo stesso tempo la fotografa non rinuncia a denunciare la profonda ingiustizia sociale dello sfruttamento femminile8. Anche nella raffigurazione delle donne indigene del Tehuantepec9, rivela una forte capacità evocativa ed emotiva, come quella costruita sul contrasto di luci e ombre e sulla commistione di forme umane e architettoniche de La Visitacíon (1934).
Non è un caso che dai suoi insegnamenti abbia tratto profitto una fotografa del calibro di Maria Yampolsky (1925-2002), sua alunna all’Academia de San Carlos, ma anche Raúl Abarca, e Raúl Conde. La sua influenza si sente anche nei lavori di Graciela Iturbide (1942) e Flor Garduño (1957).
- Frequente il motivo del “sonno”, come nella ragazza dalla camicia bianca addormentata su un tronco d’albero in El ensueño del 1941 che ritrae l’artista Isabel “Chabela” Villaseñor. ^
- Pubblicazione della Secretaría de Educación Pública. ^
- Instituto Nacional de Bellas Artes y Literatura. ^
- Come nella celebre fotografia delle scale che si incrociano: Unos suben y otros bajan del 1940. ^
- Come nel ritratto dell’artista messicana Julia López incinta: Maternidad del 1950. ^
- La pittrice e scrittrice colombiana amica anche di Giuseppe Ungaretti e Alberto Moravia che negli anni Cinquanta esporrà le sue opere nella galleria di Lola Álvarez Bravo. ^
- Di uno dei suoi ritratti Octavio Paz ebbe a dire di trovarsi di fronte a una divinità preispanica. ^
- Come nelle due fotografie Un descanso, llanto e indiferencia, 1940 e Por culpas ajenas, 1945. ^
- Al “mito” della cui straordinaria bellezza avevano contribuito Diego Rivera, Roberto Montenegro, Ángel Zárraga, Fermín Revueltas e poi Miguel Covarrubias. ^