Dopo la laurea in chimica organica all’Università di Padova nel 1973, Lia Addadi si è trasferita in Israele con il marito e ha chiesto a varie università se la accettavano per un dottorato, senza successo.
A 12 anni aveva dichiarato ai genitori che da grande avrebbe “fatto la scienziata all’Istituto Weizmann” di Rehovot e proprio lì, dove era prevedibile una forte selezione, è stata accolta subito. Dopo la tesi su reazioni di sintesi asimmetrica “assoluta” all’interno di cristalli chirali e un periodo da ricercatrice all’Università di Harvard, è tornata al Weizmann dove ha cominciato a studiare con Steven Weiner la “biomineralizzazione”, il processo attraverso il quale gli organismi formano le loro strutture di sostegno e protezione come, per esempio, le nostre ossa o le conchiglie dei molluschi.
Qualche tempo dopo scoprì per caso, parlando con Weiner, che a Gerusalemme c’era una delle raccolte di conchiglie più importanti del mondo “donata da una famiglia di Venezia”. Era quella di suo nonno materno, un ingegnere che prima della guerra aveva deciso di lasciarla all’Università di Padova. Poi le leggi razziali gli avevano fatto cambiare idea e dopo la sua morte, nel 1951, la nonna aveva inviato la collezione all’Università di Gerusalemme. Un altro anello di connessione, ritrovato fortuitamente, fra la scienza e la famiglia di Lia.
All’incrocio tra chimica, fisica e biologia, le sue ricerche rivelano i meccanismi molecolari della cellula e i rapporti tra questa e gli elementi del suo ambiente, che contribuiscono a costruire per esempio le spine coniche del riccio di mare. Sono fatte di un unico cristallo di calcite che inizialmente cresce all’interno di una membrana creata apposta dalla cellula.
A incantare Lia Addadi, come il nonno ingegnere, è soprattutto la creatività con la quale organismi che a prima vista non ne paiono particolarmente dotati, sfruttano uno stesso materiale per farne strutture così belle e diverse. Con la calcite e l’aragonite – il carbonato di calcio che incrosta il bollitore – un’ostrica riesce a farsi un guscio opaco, grigio e ruvido fuori, e di sontuosa madreperla dentro. Ancora più straordinaria è l’Ophiocoma wendtii, una stella di mare ispida che reagisce alla luce, “vede” arrivare i predatori e cambia colore per confondersi con l’ambiente, eppure non ha gli occhi.
Nel 2001 con la sua dottoranda Joanna Aizenberg, Steven Weiner e altri collaboratori, Lia Addadi ha descritto come la stella si costruisce un “sistema visivo” che non era mai stato osservato prima in natura. Non ha nemmeno uno scheletro, è semplicemente rivestita di “lenti di cristallo”. Come quelle a contatto, filtrano la luce e la focalizzano sui recettori nervosi che terminano sotto ogni lente. Meglio di quelle a contatto: siccome sui fondali la luce è poca la concentrano cinquanta volte.
Ricerche di base come queste spiegano anche la crescita delle ossa o dello smalto dei denti e, quando i meccanismi si guastano, la comparsa di osteoporosi, di calcoli renali o di placche amiloidi nel cervello dei pazienti con il morbo di Alzheimer. Mentre Lia Addadi ne approfondisce le implicazioni per la medicina, altri scienziati se ne servono per sintetizzare nuovi materiali detti “biomimetici” – a imitazioni di quelli ottenuti dall’evoluzione attraverso milioni di anni di prove ed errori – per le telecomunicazioni, per esempio, o per sfruttare meglio le risorse energetiche.
Lia preferisce militare per diffondere la cultura scientifica che fare politica e parla malvolentieri dell’interminabile conflitto israelo-palestinese. Spera che le collaborazioni tra ricercatori servano da esempio ai politici. Ha partecipato per esempio alle conferenze Frontiers of Chemical Science in the Middle East, in cui si incontrano ogni due anni chimici venuti da tutto il Medio Oriente, a parlare esclusivamente di scienza.