Karen Carpenter e il fratello Richard sono stati tra le stelle più brillanti del firmamento della musica pop. La luce che Karen trasmise sulla terra per diversi anni nelle notti più chiare fece innamorare migliaia di ragazzi, inconsapevoli del fatto che quella stella sarebbe presto implosa per scomparire definitivamente ai loro occhi. Tra il 1970 e il 1984 i fratelli Richard e Karen Carpenter furono i dominatori delle classifiche di mezzo mondo: nella Top 20 delle classifiche avevano piazzato ben 17 brani come Superstar, Yesterday Once More, Close to You e Rainy Days and Mondays. I due avevano già trasformato in oro qualcosa come 10 singoli e 9 album, arrivando al metallo più prezioso, il platino, con l’album omonimo e aggiudicandosi 3 Grammy Award. La voce vellutata di Karen, le melodie ariose di Richard e un certo levigato “easy listening” di sottofondo riuscirono miracolosamente a rimanere impermeabili al suono dell’epoca decisamente più orientato verso il rock. La loro popolarità li portò a vendere più di 100 milioni di dischi e a essere adottati da tutte le famiglie d’America.
In un ciclo dedicato alle coincidenze e ai segni premonitori, una canzone piena di incantevole romanticismo come Close To You sembra non a caso incorporare tutte le parole chiave della vita e dell’immagine di Karen Carpenter che abbiamo citato all’inizio: la voce, il sogno, la luce, le stelle, il cielo, gli angeli, per rimandare forse alla proiezione del disegno di un destino enigmatico e amaro.
Il testo dice: “Perché gli uccelli appaiono improvvisamente ogni volta che sei nei dintorni, proprio come me, loro vogliono stare vicino a te. Perché le stelle cadono dal cielo ogni volta che passeggi, proprio come me, loro vogliono stare vicino a te. Il giorno in cui sei nata gli angeli si sono riuniti e hanno deciso di creare un sogno che si avverasse. Così hanno spruzzato polvere lunare nei tuoi capelli d’oro e la luce delle stelle nei tuoi occhi blu”.
Richard era la forza musicale trainante, un elegante rifinitore musicale pieno di brillanti intuizioni e di raffinati arrangiamenti; ma era la voce delicata di Karen che possedeva il codice segreto per entrare nel cuore della gente.
In realtà c’era un tragico abisso tra il suo personaggio pubblico e la fragile ragazza demodé che si nascondeva nel privato. Fuori dal palco, lontana dai riflettori, si sentiva disperatamente non amata dalla madre Agnes, che aveva sempre favorito il suo prediletto Richard, rovesciando su Karen i detriti di una mancata accettazione e di una ottusa durezza che la costrinse a lottare contro un’autostima ai valori minimi e a sviluppare alla fine una grave forma di una malattia che in pochi conoscevano in quegli anni: anoressia nervosa. Da quella malattia Karen non si riprese più, fino alla morte che sopraggiunse quando aveva appena 32 anni.
Una cantante come Karen Carpenter oggi ha un significato molto diverso rispetto a quello che poteva rappresentare nel 1970. Il suo look da “Barbie del pop”, la sua voce leggera e il suo presentarsi dietro uno strumento come la batteria, così insolito per una ragazza, sembrava relegarla inizialmente a un ruolo di volontaria per qualche esercito della salvezza. In realtà, dietro la sua gracile figura così fuori moda, si nascondeva un disagio enorme e l’incubo di una malattia inesorabile. Karen aveva sempre vissuto con il fratello e la dispotica madre Agnes, senza mai esporsi a un rapporto affettivo extrafamiliare, incapace di opporsi ai divieti dell’educazione materna. La sua risposta era stata quella di donarsi completamente alla musica.
A sei anni dalla pubblicazione di Close To You, il brano che Burt Bacharach aveva scritto per Richard Chamberlain senza raggiungere il successo, grazie alla versione dei Carpenter il singolo divenne uno dei più venduti del 1970, stazionando per quattro settimane al 1° posto della classifica americana e diventando ovunque un bestseller. Il nome dei Carpenter si intrecciò a quello dei migliori autori, ma il legame più saldo s’instaurò proprio con il geniale Burt Bacharach. Nel loro secondo album, intitolato proprio Close To You, figuravano anche altre due canzoni di Bacharach come Baby It’s You e I’ll Never Fall In Love Again. Una consacrazione che esplose nel disco seguente dove compariva un brano che univa Knowing When To Leave a Make It Easy On Yourself. Ma il vero gesto d’amore dei Carpenter nei confronti di Burt Bacharach e del suo sofisticato universo pop fu celebrato in un medley di quasi 9 minuti inserito nei loro show dal vivo e che comprendeva Knowing When To Leave, Make It Easy On Yourself, (There’s) Always Something There To Remind Me, I’ll Never Fall In Love Again, Walk On By e Do You Know The Way To San Jose?
Dopo cinque anni di enormi successi, la fama del gruppo cominciò a gravare come un macigno sulle spalle dei fratelli Carpenter. Nulla poteva far immaginare a chi non li avesse conosciuti e capiti a fondo l’immane peso che li stava schiacciando. Verso il ‘78 Richard, preoccupato per lo stato di salute della sorella, cominciò a essere ricoverato in clinica per la sua dipendenza da psicofarmaci. Nello stesso tempo, cominciarono a farsi sempre più tangibili i segni dell’anoressia che affliggeva Karen. Sembrava che ognuno, per capire l’altro, dovesse aderire alla sua follia. Dal ‘74 la voce più soave del pop aveva cominciato ad abusare di medicinali per dimagrire, arrivando ad assumere ogni giorno intere scatole di lassativi e diuretici, oltre a un’infinità di ansiolitici per alleviare la sofferenza mentale, e di pillole tiroidee per bruciare il maggior numero di calorie. Da quel disturbo, divenuto sempre più evidente in ogni sua apparizione, non riuscì più a liberarsi per il resto della sua breve vita.
A nulla valse il tentativo di vincere le ossessioni del suo rapporto quasi incestuoso col fratello intraprendendo una carriera solista con un album prodotto da Phil Ramone. Nell’81, incapace di puntare sulle sue uniche forze e di lasciare Richard, si unì di nuovo a lui per realizzare l’ultimo lavoro dei Carpenter, Made In America, che sembrò poterli rilanciare con un buon successo di vendite e con delle critiche positive. Ma, nel frattempo, la salute di Karen e la sua voglia di vivere si stavano inesorabilmente affievolendo.
Il 4 febbraio dell’83, Karen venne trovata priva di sensi dai suoi genitori nella casa di Downey. Morì la mattina stessa del ricovero in ospedale per un arresto cardiaco causato dallo stato di consunzione fisica prodotta dall’anoressia.
La vita di Karen e la sua battaglia contro l’anoressia è stata raccontata nel film Superstar: The Karen Carpenter Story del regista Todd Haynes, uscito nel 1987. Sempre attento alle storie più dense del mondo della musica e del costume, Haynes si è servito di bambole Barbie come veri e propri attori. La pellicola di 43 minuti è incentrata sulla ricostruzione psicotica, macabra e claustrofobica, della vita di Karen. Il fatto che Todd Haynes abbia utilizzato le musiche dei Carpenter senza averne chiesto prima i diritti è stato il pretesto legale che ha consentito a Richard Carpenter di depositare un provvedimento inibitorio che impedisse al film di poter essere mostrato in pubblico. A partire dal 1990, con l’accusa di violazione del diritto d’autore, la pellicola è stata definitivamente ritirata dalla circolazione. In molti sostengono che anche senza l’ordinanza del tribunale pretesa da Richard Carpenter il film sarebbe stato ugualmente vietato per l’intervento dei legali della Mattel, la casa di produzione della Barbie. A seguito della querela, tutte le copie della pellicola sono state ritirate e distrutte. Ora sopravvive qualche versione pirata su youtube e nei documentari biografici trasmessi in televisione.
La morte di Karen Carpenter ha richiamato per la prima volta l’attenzione sui pericoli dei disturbi alimentari, che fino ad allora erano stati sottostimati se non addirittura ignorati. Secondo Randy Schmidt, l’autore della biografia Little Girl Blue, Karen Carpenter è stata la prima vittima celebre colpita da un disturbo alimentare. Dopo la sua scomparsa, in una specie di effetto domino, altri personaggi pubblici, dalla principessa Diana alla modella Kate Moss, hanno condiviso le proprie lotte contro l’anoressia e la bulimia, decidendo alla fine di perdonare la propria infanzia e di sovvertire la frase della scrittrice Irène Némirovsky che “un’infanzia infelice è come un’anima senza sepoltura, geme in eterno”.