Figlia di Raymond Schulhof e Lucie Levy, la scultrice (Gisèle) Jacqueline Blum ha attraversato la guerra e ha subito la persecuzione razziale in Francia. Internata a diciassette anni insieme al fratello Pierre e alla nonna, Louise Wimphen-Levy, nel campo di Poitiers, poi in quello di Drancy, nel 1942 riesce a essere rilasciata attraverso l’intervento del padre.
La mattina del 4 gennaio 1944, però, ad Amiens, vengono arrestati dai tedeschi la madre e il padre, mentre i figli, Ginette, Jacqueline e Pierre riescono a scappare attraverso i tetti. Nessuno dei tre rivedrà più i genitori che moriranno ad Auschwitz.
Sposata nel 1948 con Pierre Cahen, da cui ha avuto due figli, Nicole e Michel, è rimasta vedova dopo due anni. Incontra Francis Blum con cui si sposa nel 1955 e da cui ha Jean-Gilles e Frédéric. La storia della famiglia viene anche raccontata dalla sorella maggiore di Jacqueline, Ginette Hirtz, nel libro Les hortillonages sous la grêle. Histoire d’une famille juive en France sous l’Occupation, Mercure de France, Paris 1982.
La passione per il disegno risale agli anni del liceo, ma la sua formazione avviene più tardi, proprio in Italia, un paese in cui Jacqueline ha vissuto a lungo e che porta ancora nel cuore, alle Belle Arti di Roma negli anni 1973-1974 (professor Monti). Ha continuato a studiare il disegno successivamente alla Art Student League of New York sotto la guida del professor Marshall Glasier, in particolare il nudo, mentre l’incontro con la scultura avviene a Parigi nel 1976 e nel 1977 a Boulogne Billancourt. Nel 1978 inizia la scultura in pietra che prosegue con grande passione a Chaville (con il professor Bouscau) e Chesnay fino al 1988, per poi continuare in un atelier che appresta nella sua casa.
Ama lavorare soprattutto il marmo di Carrara, duttile e luminoso, in composizioni che vanno verso l’astrazione ma che sono indissolubilmente legate al dialogo. Un dialogo con la materia, un dialogo con l’”altro”, un ponte che lega e unisce la gioia dell’espressione alla fiducia dell’ascolto. Per tutta la vita Jaqueline Blum ha modellato sculture in marmo, in gesso, in legno, ha tracciato schizzi e disegni dimostrando non solo talento, ma una grande capacità e magia nel far dialogare mondo naturale e onirico, realtà e mondo invisibile, sia che si tratti di espressioni figurative, che di opere astratte. Colpiscono in particolare le figure femminili che sembrano silenziosamente imprigionate nella materia, spesso accucciate come animali feriti nella stretta di un abbraccio di protezione (Etreinte, Gemelli, Femme et enfant de dos, Survie), donne con bambini, che rimandano alla pietà classica, ma anche a figure archetipiche, primitive, e uccelli in riposo, in attesa vigile, pronti a riprendere il volo. Se la leggerezza di Henry Moore – artista molto apprezzato da Jacqueline Blum – avviene per sottrazione della materia, qui le figure sono capaci di levitare, di sollevarsi da terra con tutto il loro peso. Come a dire di un’umanità che possiede in sé, nelle sue profondità terrene, umane appunto, tutto lo splendore e la possibilità visibile dell’invisibile. Gli artisti che sente più vicini sono Moore e Rodin, Bourdelle e Picasso, Zadkine e Matisse (in particolare i nudi).
Ha esposto i suoi disegni e le sue sculture in Italia e in Francia a partire dagli anni Settanta (esposizioni di disegni: Roma 1974, La Celle Saint Cloud 1987, Sèvre 2002, Ville d’Avray 2002-2012, Vercelli 2011; esposizioni di sculture: La Celle Saint Cloud 1990 e 1991, Sèvres 2002, Le Chesnay 2003, Enghein les Bains 2004, Maule 2004).