Nata 1943 e morta nel 2004 a soli sessantuno anni, per le conseguenze di una grave malattia, di questa grande mecenate si hanno poche notizie. La sua esistenza è circondata dal riserbo, così come lei avrebbe desiderato. Dunque non compariranno qui il nome di suo figlio, né dei suoi nipoti.
Ma non si può parlare delle grandi personalità femminili di Lucca senza annoverare tra loro Immacolata Calvi di Bergolo, che sulle colline lucchesi ha trascorso buona parte della sua vita.
Era una donna molto bella, intelligente, colta. La sua famiglia aristocratica era imparentata con i Savoia. Avrebbe potuto trascorrere i suoi anni dedicandosi agli eventi mondani più esclusivi: ma non era questo che la interessava.
Divideva la sua vita tra Torino e Lucca, dove possedeva una proprietà sulle colline di S. Martino in Vignale. La villa Maria Teresa, detta la “villa delle cento finestre”, con annessa la tenuta agricola, nel 1939 era stata acquistata dalla famiglia di suo marito, Vittorio Rossi di Montelera – anche lui scomparso prematuramente nel 1990, lasciando Immacolata vedova a soli quarantasette anni con un figlio adolescente.
Secondogenita del conte Gregorio, che non solo fu titolare della cattedra di Paesaggio all’Accademia Albertina di Torino, ma fu soprattutto pittore capace di conciliare egregiamente arte figurativa e modernità, Immacolata aveva ereditato dal padre l’amore per l’arte.
Nella prefazione al catalogo della bella mostra dedicata a suo padre Gregorio, Immacolata aveva scritto qualche anno prima di morire:
“È molti anni che accarezzo l’idea di realizzare un’opera sulla pittura di Gregorio Calvi di Bergolo. […] La fedeltà con cui egli ha seguito la propria vocazione nel corso di tutta la sua esistenza, combattendo solo, spesso profondamente solo, contro le mode e le interdizioni estetiche di ogni tipo, comincia oggi a dare i suoi frutti.”
Ma la sua passione non si risolveva solo nel collezionismo: Immacolata Calvi di Bergolo era soprattutto una vitale e coraggiosa sostenitrice dei pittori che trovava congeniali al suo gusto raffinato e internazionale. I suoi artisti prediletti erano figli dei grandi maestri del passato, ma impegnati in una personale e originale ricerca. Da autentica mecenate, questa donna sapeva scegliere e incoraggiare la tradizione figurativa e le più interessanti intuizioni moderne. Non a caso, tra i suoi amici c’era l’editore svizzero Florian Rodari, direttore delle Editions La Dogana e l’acuto, defilato e celeberrimo critico e storico dell’arte Jean Clair.
Immacolata accoglieva i pittori e gli scultori per lunghi periodi nella villa Maria Teresa, metteva a loro disposizione uno studio per lavorare e una parte della grande villa per vivere, mentre lei si era ritirata in una casa più moderna che sorgeva nella campagna non lontano dall’imponente dimora che dominava la piana di Lucca.
Schiva, non amava i grandi ricevimenti. Piuttosto era felice quando era circondata dai pittori, dai critici e dagli scultori che la interessavano; con loro intratteneva discussioni, spesso accese, intorno ai temi più diversi, da cosa fosse il talento a dove portasse il desiderio furioso di frattura che si esprimeva allora nelle opere contemporanee, a come un pittore della nostra epoca potesse confrontarsi con la tradizione, con il glorioso passato dell’arte italiana, rimanendo attuale.
Il suo sguardo esigente ed esperto si posava sull’opera dei suoi artisti, sapeva valutarne i punti di forza, sempre attenta a non interferire con giudizi o commenti. La sua liberalità permetteva agli ospiti della Villa Maria Teresa e a tutti coloro che si muovevano intorno a questo vero e proprio cenacolo, di sperimentare e studiare vie nuove nell’uso del colore, di rinnovare la tecnica dell’affresco, di spaziare con nuove forme dal bronzo, alla terracotta, senza doversi piegare alle mode artistiche del momento (così prepotenti in quegli anni a cavallo tra il 1980 e il 1990).
Immacolata aveva un occhio infallibile che non tollerava scorciatoie o soluzioni facili agli interrogativi intrinseci alla parola “arte” (dal latino ars, abilità manuale o spirituale) oggi, come allora, usata in modo sconsiderato per definire manufatti, prodotti, che con l’ars hanno poco a che fare.
Il passeggiatore solitario che si fosse trovato sulle colline della Pieve Santo Stefano tra gli anni Novanta e l’esordio del nuovo millennio, sarebbe stato stupito di incontrare questa giovane e bella donna solitaria, in giro per la campagna lucchese, in compagnia di un cane. La sua sobria eleganza illuminata da uno sguardo divertito, indagatore.
Immacolata Calvi di Bergolo ha rappresentato l’anello di congiunzione tra la secolare maestria del genio italiano e le nuove istanze artistiche insofferenti alla rigidità del canone accademico: un personaggio di cui, a distanza di anni dalla scomparsa, si continua a sentire la mancanza.