Ganga Devi

Rasidpur 1928 - 1991
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In India esiste un’arte prodotta esclusivamente da donne. Essa nacque nell’antico regno Mithila, che corrisponde oggi al nord dello Stato del Bihar e al sud del Nepal. Per secoli le abitanti di questo territorio hanno dipinto i muri e il suolo delle loro case in occasione di rituali domestici e matrimoni. Protagoniste di un’arte rurale nata in totale indipendenza, le autrici mantengono ancora oggi la loro autonomia anche nei contenuti: i temi spaziano da epopee mitologiche e celebrazioni di eventi importanti, a vicende della vita quotidiana.

Attualmente queste opere si trovano anche su carta, ma fino a pochi decenni fa le donne potevano dipingere solo sulle pareti delle loro case, preparandole con un intonaco di letame e fango secco; la scelta di questa miscela rispecchiava una condizione economica di grande povertà, ma si connetteva anche ad un concetto spirituale: infatti allude alla catena della creazione, che mette in relazione le cose più elevate con ciò che comunemente viene considerato immondo.

Filosoficamente, la pittura Mithila (detta anche Madhubani) è una tradizione ancora viva basata sui dualismi: gli opposti di giorno e notte, sole e luna, flora e fauna, nell’universo non sono mai slegati e tendono all’armonia di mente-corpo-spirito. L’arte del Bihar include concetti dell’Induismo classico e simboli tantrici, ma anche riferimenti al Buddismo e al Sufismo islamico.
Le pitture delle pareti sono dette Kohbar e creano nella casa una zona sacra benaugurale, proponendo forme ricche di significato che riempiono fittamente ogni spazio. Esistono anche pitture sui pavimenti e i ripiani, che però non presentano vere e proprie illustrazioni: si tratta piuttosto di decori e sono chiamati Aripan.

Nel Kohbar le pareti della camera della sposa sono intonacate con escrementi bovini e poi dipinte con scene di argomento religioso, motivi floreali e simboli di fertilità. Le superfici presentano ripartizioni utili a indicare tempi e spazi diversi, con figure di dimensioni variabili. Le posizioni sono spesso contorte e i visi si presentano di profilo ma con occhi frontali: la standardizzazione corrisponde all’idea che per gli umani non sia possibile rappresentare il volto della divinità. I mezzi usati sono pennelli di bambù, ramoscelli e cotone grezzo; i colori hanno origine animale e vegetale o derivano da ossidi minerali.

Il motivo Aripan si trova soprattutto sulla soglia della casa e presenta prevalentemente motivi tribali e disegni geometrici di abbellimento, come ringraziamento alla dea madre Terra e voto di purificazione. In questo caso per dipingere le autrici usano direttamente le dita, intinte di bianco nella pasta di farina di riso detta Pithar. Spesso nello stile Aripan il segno è tratteggiato.
Fin dall’infanzia le donne erano introdotte alla conoscenza dei simboli sacri. L’esecuzione segue ancora oggi dei rituali che rispettano l’età e il prestigio delle donne coinvolte. La donna più anziana della casa, e il cui marito e figli sono ancora vivi, inizia i dipinti con un cerchio rosso centrale. Poi l’artista migliore della famiglia disegna le figure principali. Al termine le altre donne del clan, comprese le bambine, terminano l’opera con dettagli e colori, tramandando così l’arte sin dalla più tenera età.

Un tempo le pittrici del Bihar non potevano aspirare alla fama come gli uomini: erano relegate allo spazio domestico, non accedevano alle mostre e si esprimevano in forma anonima. Il mondo esterno venne a conoscenza delle abitazioni così dipinte negli anni ’30 del Novecento, richiamando l’attenzione del mercato dell’arte su questa tradizione che rischiava l’abbandono. Con la sopraggiunta indipendenza dal Regno Unito, la politica indiana si impegnò a rivitalizzare l’industria artigianale. Tuttavia i primi studi, pubblicati a partire dal 1949, non riconoscevano ancora il ruolo svolto dalle donne e davano l’idea che questa pittura fosse praticata solo dalle caste superiori.
Una donna influente di nome Pupul Jayakar (presidente della Handloom Handicrafts Export Corporation), restituì piena visibilità alle artiste e le incoraggiò a proseguire. Anche Indira Gandhi svolse un ruolo determinante: nel 1966, a seguito di una grave siccità, il suo governo favorì il trasferimento delle immagini su carta e tela; il commercio di queste opere permise alle famiglie di ricavarne sostentamento. A questo punto le artiste che in precedenza dipingevano solo in ambito cerimoniale, ora potevano farlo anche per esprimere la propria interiorità e la propria visione del mondo.

Oggi i moderni dipinti Madhubani si possono trovare anche su sari, stole, borse, orologi; di recente quest’arte accoglie perfino qualche autore, ma continua ad essere dominata dalle donne. Negli ultimi cinquant’anni anche l’anonimato è scomparso, lasciando via via emergere figure che hanno raccolto molti consensi: dagli anni ‘70 due donne soprattutto, Sita Devi e Ganga Devi, sono state riconosciute internazionalmente per la loro straordinaria produzione nella Madhubani Art.

Ganga Devi nacque nel 1928 a Rasidpur, un piccolo villaggio a nord del Gange. L’artista apparteneva ad una casta di scrivani e suo padre era tra i pochi a possedere una casa decorosa; la madre aveva talento pittorico ed era interessata al folklore e alla mitologia. Seguendo la pratica della loro casta, i genitori insegnarono alla figlia la scrittura e le anziane della famiglia la introdussero alla decorazione rituale della casa. Artisticamente Ganga Devi portò ad un alto grado di esecuzione la pittura domestica di stile Kohbar e Aripan, raccontando con particolare maestria le vicende del mito e la ricchezza della natura; l’artista illustrava divinità e forze primordiali, eventi epici, corpi celesti, narrazioni orali e testuali, accessori rituali, scene con coppie di opposti.

Ganga Devi aveva imparato a disegnare con ordine e pulizia, era in grado di descrivere più storie in uno spazio limitato e sapeva indicare il trascorrere del tempo o la profondità servendosi di inquadrature dello spazio. Con il tempo avrebbe abbandonato questa rigida struttura a compartimenti per articolare le scene attraverso una composizione più libera. Accantonando le tinte vivaci e contrastanti, l’artista mostrava preferenza per i colori tenui e aveva un prodigioso controllo del disegno al tratto, che avrebbe affinato con l’uso della carta.
Ganga Devi giunse al matrimonio in condizioni quasi agiate, ma conobbe grande miseria quando, accusata di infertilità, fu ripudiata e perse ogni avere. Risposatosi, il marito avrebbe continuato ad interferire negativamente nella vita della prima moglie, che con fatica iniziava a mettere a frutto la propria abilità pittorica. L’arte domestica non solo le offrì ragione di conforto, ma divenne anche una risorsa economica essenziale: per favorire la ripresa dell’artigianato, il governo di Indira Gandhi stava distribuendo gratuitamente la carta, che fino anni ’60 era quasi irreperibile; questo provvedimento permise a Ganga Devi di intraprendere la vendita delle proprie opere.

Inizialmente l’artista fu sfruttata da un collega pittore e amico d’infanzia, che ne commercializzava i dipinti attribuendoli a se stesso e pagando a lei una miseria, nonostante il grande profitto ricavato; ma con il tempo la pittrice si fece conoscere fino a Delhi e fu richiesta da diversi musei anche esteri, vincendo diversi premi.
Quando ebbe l’occasione di concorrere ad una borsa di studio d’importanza nazionale, però, Ganga Devi era ancora in ristrettezze e non aveva né spazi né materiali per dipingere; un dirigente del Marketing and Service Extension Center e sua moglie si offrirono di ospitarla. Questo scatenò l’ira del marito, che si riteneva disonorato se lei fosse andata a vivere in casa di un altro uomo. Ganga Devi, sostenuta da alcuni parenti, si stabilì comunque presso la famiglia del suo patrono e si dedicò a dipingere in modo intensivo; l’ostilità del marito si placò solo di fronte alla considerevole somma del premio.
Grazie alla fama crescente l’artista ebbe modo di viaggiare in Giappone, in Russia e soprattutto negli USA; le nuove esperienze contribuirono alla sua evoluzione: Ganga Devi sperimentò altri repertori di simboli e immagini che si aggiunsero all’iconografia di tipo religioso, da sempre al centro della sua arte.

Negli ultimi anni Ganga Devi dovette sottoporsi alla chemioterapia per un cancro che le era stato diagnosticato nel 1987. La pittrice combatté con determinazione la propria battaglia, ma nel frattempo la relativa agiatezza raggiunta (rappresentata dall’acquisto di una casa) era diventata oggetto di feroce invidia: nel 1991, all’età di sessantatré anni, Ganga Devi fu uccisa da un figliastro. Eppure le fonti che citano questa morte violenta sono rare, mostrando che oggi i compatrioti preferiscono ricordarla come artista di fama, piuttosto che come oggetto di femminicidio.

Tra le opere principali di Ganga Devi si ricordano quelle ispirate all’epica religiosa, come il ciclo di Ramayana; esso testimonia, con i suoi colori più tenui rispetto alla tradizione, che l’autrice andava liberandosi da molte costrizioni estetiche per affermare il proprio punto di vista individuale. Ma Ganga Devi ha anche documentato in modo autobiografico la vita quotidiana delle donne di campagna, come mostra la serie Manav Jivan (La vita dell’umanità); in quest’opera – senza precedenti nella Madhubani Art – ha sperimentato numerose soluzioni tecniche: ha eliminato la griglia compositiva e superato la consuetudine di sfondi a mala pena accennati, per riempire invece la scena di note floreali e faunistiche.

L’esperienza dei viaggi è entrata nel repertorio di Ganga Devi stimolando ulteriormente la sua evoluzione. La serie America (costellata di motivi a stelle e strisce, di riferimenti all’edilizia avveniristica e ai parchi di divertimento) testimonia le trasformazioni della comunità indiana residente negli States e il modo in cui i suoi usi e costumi si adattavano alla modernità dell’Occidente.
Anche le vicissitudini della malattia sono state descritte da Ganga Devi, che ha realizzato una serie di disegni intitolata The Cancer Series. Qui l’artista ha raccontato le sue difficoltà nell’ottenere una diagnosi affidabile, i suoi viaggi alla ricerca di cure efficaci, la perdita di un fratello; questi dipinti – riportando i particolari più vari e realistici come i ventilatori e le sputacchiere nelle camere – descrivono l’aspetto tetro degli ospedali, le procedure per le trasfusioni di sangue e le attrezzature mediche.

Ganga Devi è stata testimone di una cultura femminile nata nonostante l’ostilità di molta parte della società patriarcale indiana, permeata di violenza ma attraversata nel tempo anche da donne libere, autorevoli e solidali come Pupul Jayakar e Indira Gandhi.
L’esperienza e la forza di artiste come Ganga Devi continua ancora oggi a dare frutti importanti, tanto che il governo del Bihar ha approvato di recente l’istituzione di una scuola per l’insegnamento dell’arte Mithila.

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Lidia Piras

Ha fatto parte di diverse associazioni di donne fin dagli anni universitari e si è laureata a Cagliari con una tesi sul lavoro femminile. Ha insegnato Storia dell’Arte nei licei per circa trent’anni; contemporaneamente svolge una specifica ricerca sulle artiste del passato, confrontandosi con la prospettiva pedagogica della differenza. Negli ultimi anni ha tenuto una serie di lezioni pubbliche su temi come: La corporeità difficile: testimonianza di alcune artiste sulla violenza, Il punto di vista di genere nell’architettura di Grete Schϋtte–Lihotzky, Charlotte Salomon: un percorso di rinascita interrotto ad Auschwitz.

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