«Sono nata a Vicuña, provincia di Elqui, il 7 aprile 1889. Mio padre e la mia unica sorella erano maestri. Cominciai a insegnare, come maestra rurale, a quindici anni. Ho insegnato fino ad oggi. Ben presto passai all’insegnamento nelle scuole medie. Ho svolto la mia attività in vari luoghi, lungo tutto il mio paese, fino allo stretto di Magellano.
Sono cristiana e integralmente democratica. Credo che il cristianesimo, con il suo profondo senso sociale, possa salvare i popoli. Ho scritto come chi parla nella solitudine. Infatti sono vissuta molto sola dovunque. I miei maestri d’arte e di vita: la Bibbia, Dante, Tagore e i russi.
Dirigo una scuola in Messico e un’altra nel Cile, incerta fra le due… Il pessimismo in me è un atteggiamento di malcontento creativo, attivo e ardente, non passivo. Ammiro, senza professarlo, il buddismo, che per qualche tempo conquistò il mio spirito. Il Messico mi ha dato, con la sua profonda impronta spagnola – architettura, sensibilità, raffinatezza – il rispetto e l’amore per la Spagna… Vorrei lasciare l’insegnamento per riposarmi e vivere in campagna leggendo e scrivendo. Vengo da una famiglia di contadini e sono una di loro. I miei grandi amori sono la fede, la terra, la poesia…»
Aveva trentaquattro anni Lucila Gogoy Alcayaga quando scriveva queste parole per introdurre una piccola antologia delle sue poesie e già da tempo si firmava con lo pseudonimo di Gabriela Mistral, in onore di Gabriele D’Annunzio di cui ammirava la scrittura poetica, del vento mistral che discende dalle cime e del poeta occitano autore di Mirèio, Federico Mistral, che aveva vinto il Nobel nel 1904, quando la maestrina Lucila intraprendeva la sua carriera di studio e di insegnamento.
È il tempo primo della scrittura e della riflessione sulle responsabilità educative che percorrerà nei cinquanta anni a seguire.
Comincia infatti la sua collaborazione a giornali e riviste e si sposta lungo tutto il Cile con incarichi di ispectora e profesora di castellano e historia.
La sua fama di poeta nasce con i tre Sonetos de la muerte, per Romelio Urreta morto suicida e ricordato anche nella prima raccolta poetica, Desolación.
Si sposta: da Antofagasta a Los Andes, fino a Punta Arenas, come direttrice del liceo della provincia dell’Antartide cilena, poi a Temuco, quando Pablo Neruda vi era studente, e a Santiago.
Viene descritta «alta e sottile, con grandi occhi verdi e capelli sfumati di biondo», ma le foto che la ritraggono non confermano questa descrizione e lei stessa preferiva che si ponessero in risalto i suoi tratti indios:
Y otra vez íntegra incorpórame
a los coros que te danzaron,
los coros mágicos, nacidos
sobre Palenque y Tihuanaco.
Egualmente accentuava la linea materna e femminile della sua formazione, privata dal padre, il quale aveva abbandonato presto la casa. Ricorda soprattutto una nonna ebrea:«Mi abuela estaba sentada en un sillón rígido, y yo me sentaba en una banqueta de mimbre. Ella me alargaba su Biblia, muy vieja muy ajada, y me pedía que le leyera. Siempre me la entregaba abierta en el mismo sitio, en los Salmos de David».
E poi la madre, figura drammatica e complessa:
Mi madre era pequeñita
como la menta o la hierba;
apenas echaba sombra
sobre las cosas, apenas;
y la Tierra la quería
por sentírsela ligera
y porque le sonreia
en la dicha y en la pena.
E poi la sorella Emelina che le raccontava episodi di storia sacra e la preparava agli esami.
Josè Vasconcelos, Ministro dell’Educazione in Messico e poeta egli stesso, la chiama nel 1922 a collaborare al Piano di Riforma Educativa e la induce a mutuare con riflessioni di carattere politico, dedicate soprattutto alle donne, il suo pensiero pedagogico.
Così Gabriela viaggia in Europa nel 1924 per la prima volta e viene nominata segretaria di una delle sezioni americane della Liga de las Naciones e secretaria del Instituto de Cooperación Intelectual de la Sociedad de las Naciones a Ginevra.
Pubblica a Madrid Ternura, una raccolta di poesie dedicate ai bambini. Come molti intellettuali latinoamericani inizia anche un’attività di console presso molte città d’Europa e negli Stati Uniti. In Italia non esercita l’incarico per le sue posizioni antifasciste.
Nel 1938 a Buenos Aires pubblica, con l’aiuto dell’amica Victoria Ocampo, la raccolta Tala e destina gli introiti agli orfani della guerra civile spagnola. Nella nota finale al volume infatti si augura che l’“intima miseria” del libro sia lavata dal gesto di umile amore per i bambini. In realtà Tala si presenta nuovo all’attenzione critica perché abbandona i moduli espressivi del modernismo ispanoamericano, ispirato da Amado Nervo, Rubén Darío e José MaríaVargas Vila, e accoglie forme popolari e arcaiche del linguaggio, che si fa oscuro ed ermetico, come sembra indicare a partire dal significato della parola tala: taglio di alberi, di un bosco; barriera di tronchi, potatura…
Il libro si apre con la sezione Muerte de mi madre e, nelle note in calce al volume, Gabriela Mistral confida: «Questa morte è stata per me una lunga e oscura sosta, un paese dove ho vissuto cinque o sei anni, paese amato per la presenza di mia madre, paese odiato per la lunga stasi della mia anima in una profonda crisi religiosa».
Vi è l’eco di un’antica letteratura, densa di simboli, di immagini prodotte da un accostarsi fisico alle cose, come lei stessa racconta:
«fui criatura estable de mi raza y mi país, escribí lo que veía o tenía muy inmediato, sobre la carne caliente del asunto. Desde que soy criatura vagabunda, desterrada voluntaria, parece que no escribo sino en medio de un vaho de fantasmas. La tierra de América y la gente mía, viva o muerta, se me han vuelto un cortejo melancólico, pero muy fiel, que más que envolverme me forra y me oprime y rara vez me deja ver el paisaje y la gente extranjeros».
Basta questo a introdurre il tema del ricordo che attraversa la sezione intitolata Saudade, con la parola portoghese che indica la nostalgia con rimpianto e solitudine. Il ricordo è lo stimolo essenziale dello spirito creatore e, come per Proust, serve ad afferrare e trattenere il tempo.
Nelle note, Gabriela Mistral avverte che il libro raccoglie “avanzi” di altri libri e che qualche “avanzo” di questo confluirà in libri futuri:
«Accade così nella mia valle d’Elqui, quando si pigiano i grappoli. Polpa e buccia restano nelle fessure del torchio. Le trovano i pigiatori, ma il succo è già colato e si lasciano questi avanzi per il successivo turno di canestri».
Il successivo volume sarà appunto, Lagar, il torchio.
Ma la guerra intanto scoppia e dilaga nel mondo. Gabriela è console in Brasile a Petropolis e qui, nel 1943, il nipote Juan Miguel (Yin Yin), quasi figlio adottivo, muore a diciassette anni.
Nel 1945, nell’anno in cui la guerra finisce, le viene assegnato il premio Nobel per la letteratura, prima voce femminile e anche prima voce latinoamericana insignita di tanta onorificenza. La motivazione la definisce «simbolo delle aspirazioni ideali di tutto il mondo latinoamericano».
Riceve ancora premi e riconoscimenti, come una laurea honoris causa all’università di California, l’incarico di console in Messico, a Napoli, Cuba, New York.
A Santiago nel 1954 pubblica la sua ultima raccolta di poesie, Lagar che inizia con una poesia La otra, (L’altra), indicazione per un’apertura alle specificità e alle differenze dell’approccio femminile al mondo.
La sezione Donas locas (Le folli) contiene i ritratti di quindici donne che possono rappresentare non solo le condizioni delle donne, ma aspetti differenti dell’animo della poeta: l’abbandonata, l’ansiosa, la sradicata, l’insonne, la devota, l’umiliata… La scrittura lotta contro il suo doloroso lirismo, comprime il verso e l’idioma, respinge le parole che sgorgano, per avventurarsi nelle profondità e concentrare in materia pura, con il “torchio” del lavoro poetico, la parte più segreta di sé, la parte duplice e instabile, spinta da ogni vento e attirata da tutte le strade, ansiosa e staccata, obliosa e fedele, favolista del mondo, cuentamundo e desviadora, errante anche in un linguaggio che pare stringere la mano al misticismo.
Torna negli Stati Uniti, dove, già attiva nella Commissione per la condizione giuridica e sociale delle donne, ascolta, ormai colpita dal male che la porterà alla morte, alla Assemblea delle Nazioni Unite, il suo Messaggio sui Diritti Umani.
Si spegne a New York nel gennaio del 1957 e dispone che i diritti delle sue opere siano devoluti ai bambini di Montegrande, nella valle di Elqui, la sua terra.