Talor, per dare al mio dolor soccorso
e serenare il torbido pensiero,
a un agile destrier premeva il dorso,
che la mano obedia presto e leggiero.
E prendendo il più facile sentiero,
or di galoppo, or lo stendeva al corso,
che ben ch’egli sen gisse ardito e fiero,
resil, volendo, obediente al morso.
Ed or a la sinista, or a la destra
raddoppiar li faceva angusti giri,
come mi suggeriva arte maestra.
Ed or, dovunque il fiumicel si aggiri
saltando, o su per una rupe alpestra,
ché il periglio il piacer fa che non miri.
Francesca è la prima poetessa a descrivere dettagliatamente la sua vita, dalla nascita fino alla vecchiaia, in una serie di sonetti autobiografici, non solo perché definiti come tali dall’autrice stessa, ma anche perché i fatti evocati in essi sono confermati dai documenti conservati in gran parte nell’Archivio Bufalini di San Giustino. Non avendo ricevuto un’educazione classica, Francesca trovò ispirazione poetica nella propria vita, che le offrì temi nuovi, introvabili nelle poesie delle petrarchiste che la precedono. Descrive la sua nascita, la morte del padre e della madre, i suoi dolori di orfana, gli sfoghi al contatto con la natura selvaggia che circondava il castello dello zio, le gare sportive con le pastorelle, l’andar a cavallo, a caccia, e poi il suo matrimonio, il dolore per l’aborto del primo parto, la gioia materna per la tanto desiderata nascita di un bambino, l’amore gioioso per i figli e poi per i nipoti, la tristezza vedovile, l’ansia materna per il figlio che parte per la guerra, la discordia fra i figli ormai uomini, e la tragica morte del più giovane. L’evocazione di questi intimi dettagli della sua vita ravvicina Francesca alle confessioni personali dell’età romantica, piuttosto che alle tendenze di stilizzazione letteraria barocca, e la fa spiccare come la più originale poetessa europea del suo tempo, merito attribuitole solo alla fine del Novecento.
Francesca era figlia di Giovanni Turini (un militare che si era distinto in Francia al servizio di Francesco I e di Enrico II), e della sua seconda moglie Camilla di Carpegna. Aveva appena due mesi quando le morì il padre in Corsica, colpito da una palla partita per sbaglio da un suo soldato durante la difesa di San Fiorenzo assediata dalle truppe imperiali di Andrea Doria. Camilla, rimasta vedova, fu accolta dal fratello, Pietro Carpegna, nel castello di Gattara, insieme alla piccola Francesca, che crebbe sotto la tutela dello zio dopo la morte prematura della madre.
Nell’ambiente rustico degli Appennini in cui si trovava Gattara, Francesca godeva di una libertà insolita per una giovane aristocratica. Giocava con le pastorelle, figlie dei contadini, andava a cavallo e a caccia, e scriveva poesie basate su esperienze personali.
Nel 1574 sposò Giulio Bufalini, conte di San Giustino, che aveva settant’anni ed era vedovo per la seconda volta. Ma la vita nel castello del marito, a San Giustino, non era facile. Bufalini era spesso a Roma (dove aveva un palazzo), perché era al servizio del papa, e lasciava a Francesca l’amministrazione dei beni finanziariamente mal assettati. Le cinque figlie adulte del primo matrimonio di Bufalini, ostili a Francesca dai primi giorni del suo matrimonio, chiedevano di continuo soldi, e Bufalini faceva lo stesso da Roma. Nel 1583 Francesca rimase vedova con tre figli ancora piccoli, Giulio, Camilla, e Ottavio. Giulio, il primogenito, aveva meno di sette anni, Camilla ne aveva quattro e Ottavio non aveva ancora un anno.
Giulio Bufalini lasciò un testamento insolito per quei tempi. Nominò Francesca unica esecutrice e amministratrice di tutti i beni Bufalini, nonché guardiana dei figli minorenni. Così Francesca divenne capo della famiglia Bufalini, il che le causò nuovi problemi con le figliastre e più tardi con i due propri figli ormai adulti. Ma riuscì a salvare il patrimonio e a trovare protezione per i figli presso la corte papale. Incoraggiata da C. Guelfucci, pubblicò, nel 1695, Rime spirituali sopra i Misteri del Santissimo Rosario 1, opera spirituale in cui si glorificano gli eventi principali del Nuovo Testamento, dall’annunciazione alla incoronazione della Madonna in Paradiso. Segue un gruppo di poesie In morte del marito, modellate sulle rime di Vittoria Colonna ma più autobiografiche.
I due figli di Francesca non andavano d’accordo. Ma insieme, nel 1613, si ribellarono al testamento paterno e alla madre, chiedendole che cedesse loro l’amministrazione dei beni. Francesca, stanca dei litigi, cedette e lasciò Città di Castello, dove aveva preferito vivere nel palazzo Bufalini dopo la morte del marito. Non più giovane, andò a Roma come dama di compagnia di Lucrezia Tomacelli moglie del conestabile Filippo Colonna, duca di Paliano dal 1611, e assunse anche il ruolo di tutrice delle loro figlie Anna e Vittoria. Si trovava bene presso i Colonna, al contatto con la nobiltà romana e con il mondo letterario. Ma questo lieto soggiorno finì nel 1622 con la morte di Lucrezia.
Tornò a Città di Castello e nel 1623 fu colpita dalla morte di Ottavio, ucciso per errore da un’archibugiata. Passò il resto della vita dedicandosi all’educazione del nipote orfano e alle sue poesie. Nel 1628 pubblicò Rime 2, una raccolta di 313 pagine di poesie encomiastiche, spirituali e autobiografiche (di cui esiste un esemplare delle prime 144 pagine, stampato nel 1627).
Francesca era membro di tre accademie: Degli Accinti, Degli Agitati e Degli Insensati. Nel 1640 completò un lungo poema, Florio, basato sul Filocolo di Boccaccio, ma morì nel 1641 senza poterlo pubblicare. L’opera verrà pubblicata solo nel 2013 3.