Francesca Nava d’Adda, figlia del marchese Felice d’Adda e di Margherita Cagnola, nasce a Milano nel 1794. Nel 1833 muore il primo marito, il marchese Luigi Cagnola, architetto e urbanista dell’epoca napoleonica, esponente di primo piano del Neoclassicismo (lo ricordiamo, in particolare, per il progetto e la costruzione della Porta Ticinese e dell’Arco della Pace di Milano), maggiore di lei di 32 anni. L’anno successivo Francesca si sposa con un allievo del primo marito, il conte Ambrogio Nava, suo coetaneo, e inizia la carriera di musicista, come compositrice e pianista dalla tecnica prodigiosa. Tiene concerti e partecipa alle Accademie Musicali che si tengono nelle case dei milanesi ricchi e nobili, esibendosi, tra gli altri, per il conte di Castelbarco e Gustavo Noseda (egli stesso musicista; la sua biblioteca, composta di oltre 10.000 volumi, fu donata dagli eredi al Comune di Milano ed è ora custodita presso il Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano), e partecipando alle riunioni che la contessa Cristina Trivulzio di Belgioioso tiene al caffè Cova. Si guadagna così l’ammissione, come socia onoraria, alla prestigiosa Accademia di Santa Cecilia di Roma.
Francesca compone prevalentemente musica da camera nella forma del Trio per pianoforte, violino e violoncello; scrive anche molta musica per pianoforte solo e per due pianoforti, un duetto per arpa e uno o due pianoforti, duetti per pianoforte e violino. Delle composizioni vocali, al momento ci sono noti i Salmi 99 op. 6 Jubilate deo e 112 op. 7 Laudate pueri dominum, entrambi a quattro voci, concertati con ripieno (l’organico completo del Concerto Grosso) e accompagnamento d’organo o pianoforte. Tutte le sue opere sono conservate presso l’Archivio di Stato di Varallo Sesia, e sono disponibili in edizioni contemporanee presso il Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano.
Nell’epoca del trionfo dell’opera, di Verdi e della Scala, la Nava d’Adda e altri musicisti e mecenati tengono viva la musica “pura”, in particolare quella da camera in stile barocco e classico, e nel 1864 istituiscono, sulla scia di quella fiorentina, la Società del Quartetto. In effetti nella sua musica riecheggiano Mozart e i Preludi di Chopin (ispirati ai Preludi del Clavicembalo ben temperato di J.S. Bach), meno brillanti ma più dolci; musica che, sia pur non innovativa, si ascolta con piacere ancora oggi.
Francesca suscitò grandi entusiasmi, come quello del critico musicale Francesco Regli, fondatore del giornale «Il Pirata», che la inserisce tra le svegliate menti e gli spiriti gentili milanesi (1846), ma anche ironiche stroncature: lo scrittore e giornalista Raffaello Barbiera così la descrive in un articolo che ne commemora la morte, avvenuta a Milano nel 1877: “La contessa Cecchina, piccola, con una parrucca bionda, non certo vestita secondo l’ultimo figurino di Parigi… era una formidabile contrappuntista; ma le sue composizioni provocavano un dolce peso sulle palpebre superiori”. Per dovere di cronaca dobbiamo dire che il nostro era un cultore del Risorgimento, mentre la contessa era fedele alla monarchia asburgica; in Passioni del Risorgimento (Treves, Milano 1903) il Barbiera riporta un fatto accaduto quando Ambrogio Nava (il marito della Cecchina), era presidente dell’Accademia delle Belle Arti di Brera: il suo ritratto, opera di Francesco Hayez, fu squarciato con un temperino dal patriota Carlo De Cristoforis (protagonista delle Cinque Giornate di Milano e caduto nella Seconda Guerra d’Indipendenza) “furioso contro quel sincero, umile servo degli Asburgo”.