Intendo che il compito del poeta è quasi contrario a chi cerca esclusivamente se stesso. Il poeta va cercando Dio e solo lo incontra nel profondo di tutti gli uomini. E solo è poeta quando conosce ciò che è nell’animo di tutti gli uomini possibili; e lo conosce solo quando li ama immensamente e appassionatamente. Se mi dicessero di scegliere tra l’appartenere ai poderosi della terra e l’appartenere a quelli che possono dar vita a una nuova parola, non vacillerei nemmeno un momento. E se mi dicessero che mi danno una grande poesia in cambio della mia miseria, ma solo una grande poesia, scelgo quest’ultima, benché sia solo una. Non c’è cosa che non darei per la Bellezza, che a sua volta è una forma di Dio; la più vicina alla Sua Natura. (Eunice Odio)
Eunice Odio nacque da una madre adolescente di umile famiglia che morì quando lei aveva quattordici anni; solo allora il padre la riconobbe figlia legittima, ma per i successivi cinque anni visse in dimore provvisorie ospite di due diversi zii, segnata da sradicamento e carenza d’affetto. L’incomprensione che divise con il tradizionalista cittadino medio costaricano e un ambiente culturale impreparato al suo talento, la portarono in seguito a un definitivo allontanamento dalla patria e a un’esistenza errabonda e impulsiva, alla ricerca di un equilibrio che contenesse un sentire estremo, caratteristica che la rese per la società del tempo una donna spigolosa, anticipatrice dei tempi, non sottomessa alle convenzioni conservatrici dell’epoca.
Sono sola,
molto sola,
tra la mia cintura e il mio vestito,
sola nella mia voce intera,
con un carico di angeli minuti
come quelle carezze,
che mi crollano sole nelle dita.
…
Scendo,
discendo molto ancora,
chi mi incontrerà?
Indosso le mie arterie,
(che gran fretta ho),
indosso le mie arterie e la mia voce,
mi pongo il mio cuore di macigno in fiore,
affinché in un momento dato
qualcuno venga
e mi chiami…
Dopo aver frequentato le scuole primarie e secondarie a San José, mettendosi in evidenza per vivace intelligenza e capacità di apprendimento, si sposò nel 1939 con l’avvocato Enrique Coto Conde e poté usufruire dell’eccellente biblioteca della sua famiglia; ma, nella consapevolezza di essersi sposata a forza e di vivere con un estraneo, si separò dopo due anni rinunciando alla sicurezza economica e dedicandosi con totale devozione alla poesia. Viaggiò per tutta l’America Centrale, Cuba e Stati Uniti. Di ritorno in Costa Rica alcune sue poesie furono lette alla radio nazionale con lo pseudonimo di Catalina Mariel; dal 1945 al 1947 pubblicò nel «Repertorio Americano» di J.G. Monge e nei periodici «La tribuna e Mujer y Hogar». Nel 1947 vinse il premio di poesia 15 de Septiembre con Los elementos terrestres e, dopo essersi recata in Guatemala per ritirarlo, decise di fermarsi a vivere in quel paese, lavorando come funzionaria del Ministero dell’Educazione e giornalista.
Vieni,
Amato.
Ti proverò con allegria.
Tu sognerai di me in questa notte.
Il tuo corpo finirà
dove per me comincia
l’ora della tua fertilità e della tua agonia;
e poiché siamo colmi di afflizione,
il mio amore per te è nato col tuo petto,
è che ti amo in principio per la tua bocca.
Vieni,
mangeremo nel luogo della mia anima.
Prima di me ti si aprirà il mio corpo
come mare crollato e colmo
fino al crepuscolo dei pesci.
Continuò a viaggiare per l’America Latina, specialmente in Argentina, dove pubblicò nel 1953 il secondo libro Zona en territorio del alba, selezionato per rappresentare il Centro America nella collezione «Brigadas Líricas».
Dimmi ancora qualcosa del piccolo litorale
dove recentemente il giorno,
come un celeste animale bifronte,
accampò in due acquari
e si colmò di pesci.
O se lo ricevettero unanimi gli alberi,
come quando elessero la prima allodola dell’anno
e il giorno della fioritura.
Riassumimi ora che tremo
benignamente
dietro ad una rondine,
ora che mi propongono pubblicamente
per nudo di farfalla
e sto come le rose
disordinando l’aria.
Nel 1955 si trasferì in Messico dove visse fino alla morte (tranne una permanenza di due anni negli Stati Uniti) e dove lavorò come giornalista culturale, critica d’arte e traduttrice dall’inglese, sviluppando per questo paese e la sua storia mitica un amore profondo, tanto da rifiutare diverse offerte di lavoro in altri paesi, compresa l’Italia. Fu del 1957 il suo libro di maggiore esito, El transito de fuego che vinse il Certamen de Cultura de El Salvador. Nel 1962 diventò cittadina messicana e dal 1964 collaborò con la rivista venezuelana «Zona Franca». Sposò nel 1966 il pittore messicano Rodolfo Zanabria, che nello stesso anno si trasferì a Parigi con la promessa di chiamarla al suo fianco non appena avesse avuto denaro sufficiente, mentre lei l’avrebbe sostenuto inviandogli parte degli sporadici compensi del suo lavoro. Ma quando nel 1970 lui smise definitivamente di contattarla dal momento in cui ricevette una borsa di studio Guggenheim, Eunice si sentì tradita e usata.
I suoi ultimi anni furono oltremodo amareggiati dall’aspra polemica con la sinistra messicana, che mal reagì ai suoi critici articoli nei confronti di Fidel Castro, isolandola professionalmente e ostacolando la sua carriera, tanto che faticò a trovare lavoro e soffrì a periodi la fame. Alimentò quel periodo con l’alcol e una collera lacerante che la rese infrequentabile ai suoi stessi amici. Morì il 23 marzo del 1974 in assoluta solitudine; il suo corpo fu trovato nel bagno di casa dieci giorni dopo il decesso. Ebbe molti amici fra gli intellettuali del Messico (come Octavio Paz, suo grande ammiratore) che, nonostante non amassero il suo carattere ruvido, stimarono sempre la sua opera letteraria, riscoperta da Juan Liscano dopo un lungo periodo di oblio.
Octavio Paz: “Sei una donna che vola alto; tu, cara Eunice, appartieni alla linea di poeti che inventano una mitologia propria, come Blake, Saint John Perse o Ezra Pound, e che sono fregati, perché nessuno li comprende finché non sono passati anni o anche secoli dalla loro morte.”
La poesia di Eunice Odio si può situare nella transizione tra realismo e avanguardia, nella corrente surrealista. Il tono è intimo, riflessivo e simbolico; poesia da meditare in ciascuna delle sue espressioni, per ritrovarsi nella profondità dell’essere, nella zona in cui le parole non sono solo ciò che significano, ma si trascendono per vivere nel mondo delle intuizioni primordiali. Una ricerca dell’amore totale e terreno, dono naturale anelato in ogni gesto e parola; quel genere di amore, certo a volte estremizzato, che spesso è destinato a eludersi e deludersi per il ripudio che nel mondo può incontrare.
Vorrei essere bambina,
per accoppiare le nubi a distanza
(alte claudicanti della forma),
per andare all’allegria di ciò che è piccolo
e domandare,
come chi non lo conosce,
il colore delle foglie.
Com’era?
…
Come posso essere ormai
quella che voglio io,
bambina di verdi,
bambina vinta di contemplazioni,
che cade da se stessa rosea
…
O essere colma di questi scatti
che mi cambiano il mondo a gran distanza,
come posso essere ormai,
bambina in tumulto,
forma mutevole e pura,
o semplicemente, bambina alla leggera,
divergente in colori
e adatta per l’addio
ad ogni ora.