I thank you, dear Mr. Browning, from the bottom of my heart. You meant to give me pleasure by your letter, and even if the object had not been answered, I ought still to thank you. But it is thoroughly answered.
È l’11 gennaio del 1845, un sabato, quando Elizabeth Barrett risponde alla lettera ricevuta, appena il giorno prima, dal poeta Robert Browning.
I love your verses with all my heart, dear miss Barrett…
In questo modo Robert Browning irrompe nella vita di Miss Barrett, scrivendo questo incipit davvero ardito alla già affermata poeta inglese. Sarà quella la prima lettera di una fitta corrispondenza che durerà dal gennaio del 1845 al settembre del 1846, e che vedrà, in un crescendo d’intima confidenza, l’evolversi di una vivida tessitura amorosa, destinata ad avere, diversamente dai consueti tragici finali di molte altre storie romantiche, un felice epilogo.
Elizabeth Barrett nasce il 6 marzo 1806 a Coxhoe Hall, nel nord Inghilterra. La famiglia s’è arricchita grazie al lavoro degli schiavi nelle piantagioni di zucchero giamaicane. Trascorre un’infanzia felice a Hope End, a circa duecento chilometri da Londra, nella favolosa residenza orientaleggiante fatta costruire dal padre. Qui lei, con le sue due sorelle e gli otto fratelli, riempie le sue giornate, in quotidiano contatto con la natura, andando a cavallo, allestendo spettacoli teatrali e appassionandosi alla lettura della poesia.
Fra il 1832 e il 1837 i dissesti finanziari del padre costringono i Barrett a tre traslochi, prima di sistemarsi definitivamente, nel 1838, a Londra, al n. 50 di Wimpole Street. In estate la famiglia soggiorna al mare, a Torquay, nel Devonshire. Ma Elizabeth, già intorno al 1821, lamenta qualcosa d’indefinito che tocca il corpo e l’anima e che si acuisce nel tempo. La caduta da cavallo quand’era bambina, la perdita della madre (1827), o ancora la tragica morte per annegamento di Bro, l’adorato fratello Edward (1840), sono forse le cause del suo malessere e di una fragilità che la costringe a condurre una vita “da reclusa in convento… i cui nervi sono stati martoriati sulla gogna, e ora vacillano al vento… sussultando a ogni passo e fiato…”. Sta chiusa nella sua stanza, incatenata all’ottomana, con la sola compagnia di Flush, l’inseparabile spaniel, regalatole dall’amica Mary Mitford. Sarà quest’ultima, assieme al cugino John Kenyon, a introdurla nella cerchia della cultura londinese.
Grevi riccioli pendevano lungo il volto di madamigella Barrett, da ambe le parti: grandi occhi brillavano vivaci, una bocca sorrideva. Il viso pallido consunto di un’inferma segregata dall’aria libera, dalla luce, dalla libertà. Così la descrive Virginia Woolf, tracciandone la biografia, nel suo delizioso e ironico romanzo Flush.
Unico conforto e rifugio per Elizabeth: la lettura e lo studio, soprattutto dei grandi tragici greci, di Milton, Shakespeare e Dante, e naturalmente la scrittura, la poesia in particolar modo, “che è il luogo in cui ho più vissuto e sono stata felice, e perciò racchiude tutti i miei colori”. È del 1838 la sua prima pubblicazione, la raccolta di versi The Seraphim and Other Poems.
Malgrado questa – apparente o reale – debolezza, la Barrett possiede una mente brillante, uno spirito sagace, incline alla compassione come all’ironia, una natura sensibile nonché determinata, animata da nobili entusiasmi e rivoluzionari ideali di giustizia sociale e di emancipazione femminile: l’uguaglianza tra i sessi, il libero amore, la fraternità universale, la condivisione delle ricchezze, in modo che nessuno più sia povero o soltanto affaticato; la libertà per molti, che tuttavia rispetti il buonsenso di pochi.
Di questi temi, da lei definiti sogni eroici, tratta in alcune sue opere, come nel poemetto Cry of the Children, comparso nel 1843 sulla rivista americana «Graham Magazine», in cui denuncia la terribile condizione minorile all’interno delle fabbriche londinesi, motivo di accese critiche in patria; o ancora come nel bel romanzo in versi Aurora Leigh, la cui stesura durerà per oltre dieci anni fino al 1856, anno della pubblicazione, un romanzo che riceverà il plauso delle recensioni ma anche il biasimo di un certo pensiero benpensante (Aurora, la protagonista, eroina appassionata ed emblema di ribellione femminile, sarà definita una svergognata).
Considerando che siamo nell’Inghilterra del grande sviluppo industriale dell’età vittoriana, caratterizzata da una società fondata su una morale puritana e paternalistica, Elizabeth, attenta alla realtà del suo tempo, si mostra senz’altro una precorritrice di molte battaglie sociali e culturali.
In Aurora Leigh, oltre a esporre la sua visione del mondo, della società e del ruolo della donna nelle famiglie e nelle comunità, illustra – soprattutto nel V e VII libro – la sua poetica, la concezione che ha dell’arte e degli artisti.
Senza lo spirituale / il naturale è impossibile; non ha forma né moto; senza il sensibile, lo spirituale non è apprezzabile, / non ha bellezza, né potere. In questa doppia sfera, / l’uomo duplice (e l’artista è intensamente uomo), / deve indirizzare la sua ricerca attraverso le cose / materiali, per giungere alle spirituali di là da quelle / […]ogni artista può farlo! / Chi con la propria mano dipinge un albero, / una foglia, una semplice pietra, all’improvviso / vi scopre e riconosce una similitudine, o un legame / con la sua stessa anima: perché altrimenti dovrebbero / commuoverci una foglia o un albero? / […]Niente è per lui solo un semplice oggetto:/coppa, colonna, candeliere, tutto è simbolo di ciò che / sarà sul Monte. Le cose temporali ci mostrano / regali parentele, si elevano verso un significato / eterno, entrano nelle braccia spalancate di Dio.1
L’arte – metafora del cielo – deve dare attestazione dell’invisibile, del soprannaturale, che sta nel profondo di tutte le cose, e poiché ammanta la natura di sacro è essa stessa sacra; obbligo pertanto dell’artista, del poeta, è quello di congiungere i due mondi, quello terreno e quello spirituale, per rivelarli all’umanità intera.
Le sue pubblicazioni, in particolare l’uscita dei Poems nel 1844, l’hanno resa da tempo celebre, non solo in patria ma anche oltreoceano. L’esistenza riservata e solitaria, cinta in un’aura di mistero, attira la curiosità di molti lettori e contemporanei e fa di lei una delle più popolari scrittrici dell’epoca. Fra i suoi estimatori: Dante Gabriel Rossetti, John Ruskin e, all’estero, Edgar Allan Poe, Emily Dickinson, che la menzionerà in varie lettere, 2 dedicando inoltre alla Signora Straniera, all’anglofiorentina, tre suoi componimenti.
È proprio a seguito della pubblicazione dei Poems che Robert Browning prende l’ardire di inviarle l’appassionata lettera. Quando giunge, per Elizabeth è come l’arrivo di un vento nuovo e sconvolgente, che allontana il commento di quel vento di levante, che gela i corsi d’acqua e, come altri commenti, rovina la musica; è come un erompere d’aria e di luce in quella grigia dimora, in quella chiusa stanza, in quel corpo circondato sì dalla premura dei familiari ma pure dalla penombra e dalla solitudine: la passione si accende e brilla fino all’esultanza; così la poeta, famosa eppure serrata nel perimetro crepuscolare del suo isolamento, affiora dall’ombra e assapora un’emozione dolce e inattesa, presagio di una felicità futura.
Robert Browning, che si sta distinguendo sulla scena letteraria del paese con i suoi poemi, perlopiù monologhi drammatici dallo stile epico e risoluto, è considerato quale giovane continuatore della grande poesia inglese. Con le parole di Woolf:
Egli tornò, e ritornò, e ancora ritornò. Prima venne una volta la settimana; poi, furono due volte la settimana. Veniva sempre di pomeriggio e di pomeriggio se ne andava. Madamigella Barrett lo riceveva sempre sola. E in quei giorni in cui non veniva lui in persona, venivano le sue lettere. E quando lui se n’era andato, restavano i suoi fiori.
Si scriveranno molto e s’incontreranno persino, in quell’anno e mezzo tra il 1845 e il 1846, periodo in cui il loro amore cresce con grande intensità. Testimone di ciò non è soltanto il loro copioso scambio epistolare ma anche i quarantaquattro sonetti che compone Barrett, di nascosto e contemporaneamente alle lettere, tutti dedicati a Robert, che saranno pubblicati, dopo le nozze, nel 1850, col titolo Sonnets from Portuguese (tradotti nel 1908 da Rainer Maria Rilke con Alice Faehndrich), sicuramente la più bella delle sue raccolte.
Così titolata forse perché portoghese era il poeta cinquecentista a lei tanto caro Luis Vaz de Camões. Bruna dell’Agnese, nella sua introduzione ai Sonetti, afferma invece che non è da escludere “un debito letterario con Mariana Alcoforado, monaca portoghese autrice di infocate lettere d’amore, pubblicate in Francia nel 1669 […] Fra loro corre più di un’affinità: l’appassionata donna, monaca per ragioni che nulla forse avevano in comune con la vocazione religiosa, doveva suggerire molte riflessioni alla reclusa vittoriana, quasi monaca fra le pareti domestiche”.
La raccolta è uno struggente ed elegante canzoniere d’amore (come non accostarlo ai canzonieri di Petrarca e di Shakespeare?), nel quale la voce femminile, singolare e vibrante, è un io poetico, protagonista e soggetto attivo. I suoi versi traboccano di musicalità, di immagini, di similitudini e di luminose metafore.
L’anima stanca e fragile / hai rapita, posandola con te su un trono / d’oro (XII)
Dell’anima il Rialto ha i suoi mercati / e a quella fiera scambio ciocca a ciocca (XIX)
Tu mi ami, mi ami, mi ami, ripeti / la frase d’argento (XXI)
Lascia che il mondo, come un coltello / a scatto, si chiuda su di sé senza ferire / nella mano d’Amore (XXIV)
Secondo una forma metrica tutta personale, tra richiami classici e atmosfere romantiche, Barrett esprime la potenza dell’amore, di quell’assoluto e destabilizzante sentimento capace di operare radicali metamorfosi e che nella sua esistenza, pian piano, nel germogliare la sta mutando in una donna audace e libera, malgrado tutta la sofferenza, malgrado la sua solitudine.
[…]
Ancora accorre a te il mio cuore, non
come a un bene, ma al bene più grande.
Con la tua mano sentilo e dirai: non
correrebbe un bimbo come questo sangue.
(XXXIV)
In questa opera Elizabeth rivela magnificamente non solo il suo animo ardente, ma anche l’enigmatico universo che la donna nasconde e che al mondo vorrebbe rivendicare: i sogni, le passioni, il desiderio di riconoscimento e di affermazione, il proprio diritto ad amare e a essere amata.
[…]
Oh, mie paure, tutto
questo è ingiusto. Non siamo pari
per diventare amanti. Lo so, e ne soffro.
[…]
(IX)
Durante la loro corrispondenza, l’armonia è talvolta offuscata; dubbi e paure da parte di lei, tanto che in un primo momento rifiuta con forza la proposta di matrimonio avanzata da Robert, ritenendola azzardata e inopportuna.
Elizabeth è infatti consapevole della precarietà del suo fisico ed è altrettanto consapevole di vivere sotto la rigida cappa del padre. Mr Barrett, come un antico e intransigente tiranno, non permette a nessuno dei suoi numerosi figli di sposarsi e quindi di allontanarsi dalla famiglia. Ma alla fine, – “la leonessa che sonnecchiava in me sentì la voce / del domatore e il giogo” – nonostante la cagionevole salute e manifestando coraggio, volontà e prontezza d’azione, decide di assecondare il suo cuore, di unire il suo destino a quello di Robert, scegliendo, con un inatteso slancio di ribellione, di fuggire e di sposarsi segretamente.
Il padre non perdonerà mai alla figlia tale gesto, considerandolo un tradimento, né mai vorrà incontrare personalmente Robert e conoscere il figlio che nascerà.
È il 12 settembre 1846. Lei ha quarant’anni, lui trentaquattro. La settimana dopo s’imbarcano per il continente – “per stare più vicino al sole…, e ancor più lontano dal mondo, […] fuori dalla portata della grande tempesta dei pettegolezzi”.
Dopo una tappa a Vaucluse e a Pisa, si stabiliranno a Firenze a casa Guidi (oggi museo dedicato alla loro memoria). Sempre con le parole di Woolf:
In casa Guidi, le stanze erano nude. La signora Browning aveva ripudiato i suoi scialli indiani. Portava ora una cappa di una sottil seta di color vivo che piaceva a suo marito. I suoi capelli erano acconciati in una nuova foggia. E quando il sole era tramontato e le persiane erano abbassate, ella passeggiava sul balcone vestita di leggera mussola bianca, e godeva a starsene là seduta a guardar la gente in istrada, ad ascoltare, a osservare.
Per Mrs Browning (d’ora in avanti si firmerà EBB) l’Italia diventa rifugio, sua terra d’elezione, qui trova la libertà e la vita e la gioia che dal sole nasce. Qui il suo corpo rifiorirà, come mai le era accaduto in patria. Amerà tanto la penisola da entrare nel pieno delle vicende storiche del periodo, facendosi paladina degli ideali risorgimentali e quindi dell’indipendenza italiana, dedicando a questa causa due scritti, Casa Guidi Windows (1851) e Poems before Congress (1860).
Frattanto, in Inghilterra, alla morte di William Wordsworth, avvenuta nel 1850, la Barrett è riconosciuta come poeta ufficiale del Regno Unito; il titolo di Poeta Laureato verrà tuttavia conferito ad Alfred Tennyson.
Elizabeth e Robert trascorrono quindici anni di vita insieme, di autentico affiatamento, di viaggi, impegni artistici e culturali e, ovviamente, di scrittura, a cui si aggiunge anche la gioia della nascita di Pen, loro unico figlio, il quale pubblicherà il carteggio dei suoi genitori nel 1899.
Barrett muore all’età di cinquantacinque anni, il 29 giugno 1861, anno dell’unità d’Italia. È sepolta in un’elegante tomba al Cimitero degli Inglesi di Firenze.
[…]
Oh potessi l’anima scagliare nel futuro,
che le desse voce per salutare l’amore
che perdura, mentre la vita scompare!
(XLI)
- Aurora Leigh, trad. di B. dell’Agnese, Le Lettere, Firenze 2002, p. 214. ^
- “Se qualcuno, dove sta andando, dovesse parlare di Mrs. Browning, lei deve ascoltare per noi – e se toccherà la sua Tomba, le posi una mano sul Capo, da parte mia – la sconosciuta che la piange” – estate 1862, Lettera a Samuel Bowles. ^