Elisabetta Santolini (detta “la Bitta”)

1884 - 1909
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Elisabetta Santolini nasce a Faenza il 9 settembre 1884. È figlia di secondo letto di Sebastiano Santolini, già padre di sette figli avuti dal primo matrimonio. Elisabetta, che tutti chiamano la Bitta, è la primogenita di Teresa Brosoli, che avrà altre tre femmine, Annita, Caterina e Sofia. Sebastiano è analfabeta, come risulta dall’atto di nascita di Elisabetta, e forse lo è anche il resto della numerosa famiglia che grava tutta sulle sue spalle di umile macellaio e vive in povertà in una modesta abitazione del centro storico.
Non risulta che la Bitta abbia frequentato la scuola, fors’anche perché, giovanissima, comincia a lavorare in una filanda. Solo questo si sa della sua infanzia e adolescenza.

Dalla sua ha soltanto la bellezza.Giovane popolana romagnola, splendidamente formata, bionda, dal viso soave, con azzurri occhi luminosi, incantava chiunque l’incontrasse” (E. Golfieri).

La sua vita subisce una svolta quando nel marzo 1903 incontra a una festa da ballo Domenico Baccarini. Lei ha 18 anni, lui 20. Anche Baccarini proviene da una famiglia povera. Il padre è un ciabattino e la madre vende verdura e pizza fritta. Ha una sorella maggiore, Giovanna, e vivono tutti in una misera e malsana abitazione di due stanze. Baccarini è un giovane artista talentuoso e versatile, eccellente nel disegno e nella pittura, ma abilissimo anche nel lavorare la ceramica, il gesso, il marmo, il bronzo. In un filmato visibile in rete Vittorio Sgarbi lo colloca tra i più grandi artisti del Novecento italiano, “un pittore meraviglioso, superiore a Boccioni e Balla… un genio”.

Baccarini è alto, ha un aspetto bello e virile e dai suoi numerosi autoritratti traspare la consapevolezza che ha del proprio talento e del potere carismatico che esercita su un gruppo di giovani artisti che ha riunito attorno a sé nel “cenacolo baccariniano”, come se lui fosse un messia e gli altri una cerchia di iniziati.

Baccarini e la Bitta, che hanno già in comune la povertà e la bellezza, sono attratti irresistibilmente e in brevissimo tempo “la fascinosa ragazza” diventa sua modella, sua compagna, sua musa ispiratrice e “l’immagine inquietante di lei entra prepotentemente nel lavoro di Baccarini” (C. Spadoni), come soggetto di numerosi disegni, dipinti e sculture. Ne sono testimonianza lo stupendo busto in terracotta Ritratto di donna, o la Bitta con le mani incrociate, un elegante bronzo che la ritrae immersa in un languore malinconico e sognante, o raffinati disegni come Estasi, La Pavonessa, Testa di donna, Allo specchio.

I due amanti vanno a convivere a casa di lui e ben presto sorgono i primi contrasti tra la Bitta e la madre del pittore, Maddalena, una donna molto possessiva nei confronti del figlio, dall’equilibrio mentale instabile e soggetta a crisi psicotiche per le quali sarà costretta più volte al ricovero nel manicomio di Imola. Lo stato di povertà in cui versa tutta la famiglia, che Baccarini non riesce a risollevare con i proventi del proprio lavoro di artista ancora sconosciuto e privo di committenze remunerative, acuisce i contrasti, e ancora maggior tensione si crea nel momento in cui, nel tardo autunno, la Bitta rimane incinta con la prospettiva di un ulteriore impoverimento.
A questo punto Baccarini decide di trasferirsi con la compagna a Roma nella speranza di fare utili conoscenze e trovare committenti, sì da poter ottenere maggiore sicurezza per la propria vita e il proprio lavoro.

A Roma Baccarini stringe amicizia con altri pittori, incontri che arricchiranno di nuove idee il suo percorso artistico, piuttosto fecondo in questo soggiorno romano. La Bitta, che il 1° agosto 1904 ha dato alla luce una bambina, Maria Teresa, posa per due capolavori esposti oggi nella Pinacoteca Comunale di Faenza. Il primo è un trittico di notevoli dimensioni, incompiuto. Nel riquadro centrale è dipinta una folla nuda che sembra uscita da un girone dantesco e striscia carponi col viso a terra muovendosi lungo un percorso vagamente circolare.
Al centro, il volto della Bitta, punto focale del dipinto, si leva con sguardo severo e ammonitore a ricordare il destino de L’umanità dinanzi alla vita, che è appunto il titolo dell’opera.

Il secondo rappresenta La Bitta che allatta Maria Teresa, una maternità laica e povera, tutta giocata su due colori, il rosso dell’abito materno in primo piano e il bianco dei panni stesi ad asciugare sullo sfondo. Il volto rotondeggiante di una Bitta ancora in carne per il parto recente, coi capelli scarmigliati, e “due occhi azzurri purissimi” (G. Severini) fissa l’osservatore con uno sguardo intenso ma indecifrabile.

La permanenza a Roma non risolve i problemi economici della famiglia, anzi, la nascita di Maria Teresa li aggrava e Baccarini decide di ritornare a Faenza in autunno. La lettera di un amico gli lascia intravedere un atteggiamento più accogliente di Maddalena verso la Bitta e un buon impiego presso la ditta di ceramica Fratelli Minardi. Le cose però non vanno come previsto e la coabitazione tra le due donne si fa sempre più difficile, mentre Baccarini è tutto preso dal lavoro in vista della partecipazione alla Biennale di Venezia, alla cui inaugurazione sarà presente, il 26 aprile 1905, assieme alla Bitta. Lei, nell’occasione, stando alla cronaca di Aldo Spallicci, “passa tra la folla come un’ondata di vita…bisbigli di ammirazione la seguono; è il suo giorno di sole”.

Nei mesi successivi la situazione precipita e il rapporto tra i due amanti si incrina irrimediabilmente. Insofferente dei litigi in famiglia e indispettito verso la Bitta che si è rivolta ad un avvocato per essere riconosciuta legalmente come madre di Maria Teresa e ha coinvolto un medico per far allontanare da casa Maddalena in quanto inferma di mente, Baccarini parte per Milano per ragioni mai chiarite, probabilmente in cerca di quella tranquillità che non trova a Faenza e di cui ha assolutamente bisogno per concentrarsi sulla sua carriera d’artista.

Mentre è assente, Maddalena caccia di casa la Bitta tenendo con sé Maria Teresa, e mostra a tutti il coltello con cui l’accoglierà casomai pensi di ripresentarsi. Un amico scrive a Baccarini assicurandogli che le cose si sistemeranno ora che Maddalena, “quel sasso troppo duro”, è stata relegata in campagna per essere curata. Ma Baccarini non risponde, intravede un futuro familiare irrimediabilmente inquieto, rientra a Faenza, ma non riprende con sé la Bitta e verso fine dell’anno il legame tra loro può considerarsi definitivamente sciolto.

Sola, separata dalla figlia, senza mezzi di sostentamento, la Bitta torna a vivere nella casa del padre. Nel febbraio 1906, a Imola, durante un veglione di carnevale, incontra Amleto Montevecchi, un giovane di 26 anni, e tra i due scocca subito la scintilla. Anche Montevecchi è un pittore, non paragonabile a Baccarini, ma indubbiamente abile, ed esattamente come Baccarini vive nella disperata attesa di committenze che non arrivano, cosicché spesso deve adattarsi a lavori di ripiego, come decoratore e imbianchino.

Aver cambiato compagno di vita per la Bitta non significa aver cambiato vita. I due vivono in un’abitazione piccola e malsana nel “cortilaccio”, un quartiere fatiscente alla periferia di Imola. Anche per Montevecchi la Bitta è modella e musa e la sua immagine diventa tema ricorrente di una pittura dai toni intimistici e familiari, lei sola o con il figlioletto Eros, nato il 7 gennaio 1907, a poco meno di un anno dal loro incontro. Il padre non lo riconosce e il neonato viene registrato come figlio di Elisabetta Santolini e padre ignoto.

Montevecchi ottiene premi in mostre e concorsi, ma non tali da permettergli di passare da una vita bohémien a una vita normale. Nel frattempo nasce il 13 giugno 1908 anche un secondo figlio, Roberto Santolini, anch’egli non riconosciuto dal padre. Mentre il compagno è impegnato in alcuni lavori in giro per la Romagna, priva di ogni sostegno, la Bitta affida i figli alle cure della nonna paterna e si trasferisce a Firenze presso la sorella Annita, dove riesce a mantenersi alla meglio posando per lo scultore Augusto Bastianini.

Purtroppo una terribile notizia la costringe a rientrare a Imola. Il piccolo Roberto, malaticcio e malnutrito, è morto il 17 giugno 1909 all’età di un anno. Prostrata fisicamente e psicologicamente la Bitta, nuovamente incinta, all’inizio dell’estate si trasferisce sulla riviera romagnola a Cesenatico assieme al piccolo Eros, poi, in settembre, a Cervia. Qui, ormai presaga della fine imminente, fa venire il compagno per affidargli il figlioletto.

Lei muore poco dopo, il 23 ottobre 1909. Il telegramma con cui viene informato Montevecchi, “Bitta morta di parto”, non essendo la gravidanza ancora giunta a termine, lascerebbe intendere come probabile causa della morte un’emorragia conseguente ad aborto, non si sa se spontaneo o forse, come suppone Golfieri, procurato. Il certificato di morte indica solo il luogo del decesso, una casa in via Cervia 1, anche se altre versioni dicono una panchina sul lungomare (Golfieri) o l’Ospedale Civile di Cervia (L. Santolini), dove la Bitta sarebbe stata ricoverata ormai morente. Alle esequie Montevecchi, impegnato col lavoro, non è presente. Manca il denaro per la sepoltura e il suo corpo viene deposto nell’ossario comune. Così, senza una tomba, finisce a 25 anni la vita della Bitta. Ma non la sua storia.

La narrazione successiva alla sua morte ignora le sofferenze da lei vissute come madre e come amante mai promossa alla dignità di moglie. Quando Baccarini muore giovanissimo di tisi, nel 1907, e incomincia la sua glorificazione ad opera del “cenacolo”, inizia anche contestualmente il processo contrario di demonizzazione della Bitta. Pone le premesse Spallicci in uno scritto del 1913: “…era un bell’esemplare di questa nostra razza [romagnola] (sic) che sa giocondamente fiorire per il piacere degli altri e giocondamente godere per se stessa”. Parole che con l’intento di elogiare attuano la prima reductio della Bitta da donna a “donna di piacere”.

Gli fa eco più tardi Golfieri, studioso peraltro serissimo e anche mosso da una certa sincera pietà per la sua sorte, che ci spiega come “il suo fascino fu fatale per lei e per i due giovani che con lei convissero”. E dopo aver definito “tresca” il suo legame con Baccarini, che in realtà non ebbe mai nulla di losco e di segreto, la incolpa di averne ammaliato “l’anima semplice e sensibile” e in una sorta di epigrafe finale la etichetta come “donna fatale […] femmina con molto sesso e poco giudizio”.

Potremmo considerarli pregiudizi di un secolo fa, senonché in un video recente, del 2017, quello stesso in cui esalta il talento di Baccarini, Sgarbi, senza un attimo di esitazione, la liquida come “una troia”. E questo è l’ultimo epitaffio che si conosce di lei. Ma la sua bellezza, come quella di una eroina foscoliana, sublimata dall’arte dei suoi amanti, basterà, anche senza una tomba, a renderne duraturo un ricordo più vero e più giusto.

 

Fonti, risorse bibliografiche, siti

Golfieri Ennio, Documentazione inedita su Domenico Baccarini, su “Il nostro ambiente e la cultutura”, supplemento a “Faenza e' mi paés” n. 12, giugno 1988.

Santolini Luciano, La Bitta e i suoi pittori, Casanova, Faenza, 2007.

Spadoni Claudio. Il tempo breve di Domenico Baccarini, su Catalogo Generale delle sculture e dei dipinti, Faenza-Ravenna, 2007.

Zanelli Giuliana, Vita di Elisabetta Santolini, “La pié”, anno LXXIII n. 6, 2004.

Archivio Pinacoteca Comunale di Faenza.

Domenico Baccarini nelle parole di Vittorio Sgarbi - YouTube 

Domenico Baccarini - YouTube

Riferimenti iconografici:
1. Domenico Baccarini, Allo specchio, Faenza, Pinacoteca Comunale
2. Domenico Baccarini, Pavonessa, Faenza, Pinacoteca Comunale
3. Domenico Baccarini, L’umanità dinanzi alla vita (Le passioni umane), Faenza, Pinacoteca Comunale
4. Domenico Baccarini, La Bitta che allatta, Faenza, Pinacoteca Comunale
5. Estasi
6. La Bitta, pastello

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Cesare Sangiorgi

Cesare Sangiorgi (Faenza 1946). Laurea in lettere classiche, insegnante di italiano e latino nei licei, ora in pensione. Nel tempo libero si dedica anche allo studio della storia della propria città natale.

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