Nella Roma del tardo Cinquecento, tra le molte botteghe che popolavano i vicoli della città, quella dei Parasole si distinse per la presenza di due artiste che svolsero un ruolo centrale nel milieu culturale e artistico dell’epoca.
Incisore, xilografe e disegnatrici, Elisabetta Cattaneo e Girolama Cagnuccia entrarono in bottega in giovane età, sposando rispettivamente i fratelli Rosato e Leonardo Parasole. Della loro vita precedente si sa poco o nulla, se non che il padre di Elisabetta fu un tale barone Cattaneo di origini bergamasche e la madre tale Faustina. Dall’ingresso in bottega i loro destini si intrecceranno fatalmente.
Elisabetta e Girolama, infatti, sono state confuse già dal coevo Giovanni Baglione che ne Le Vite de’ pittori, scultori et architetti scambiò la figura di Girolama con quella di Elisabetta. Un errore cruciale, che portò le successive fonti a sovrapporre a lungo le due donne con inevitabili ripercussioni nei contesti accademici di San Luca e dei Lincei. Nell’Accademia di San Luca è difatti presente un ritratto di donna in veste vedovile, datato 1612, conosciuto come Hieronima Parasoli; non sappiamo chi dipinse il ritratto, se sia una copia successiva o del medesimo anno, ma esaminando la lista accademica relativa alle donne, di Girolama (e di suo marito) non vi è traccia. Ciò che possiamo rilevare con maggior sicurezza, invece, è che Elisabetta e suo marito Rosato facevano effettivamente parte dell’Accademia, come risulta da un elenco redatto dal Missirini. Una simile situazione si rivela anche presso l’Accademia dei Lincei: alcune illustrazioni commissionate da Federico Cesi per il Tesoro Messicano – capolavoro della scienza e dell’arte – furono attribuite sempre dal Baglione ad Elisabetta Parasole e al marito Leonardo, sebbene quest’ultimo fosse invece marito di Girolama. Di nuovo la vita delle due artiste s’intreccia in un curioso gioco di rimandi; ma una cosa appare evidente: entrambe godevano di notorietà e probabilmente una delle due fu la prima donna accademica di San Luca.
Lo stesso gioco di rimandi si ritrova ancora nell’Herbario Nuovo di Castore Durante, realizzato nel 1585 da Girolama e Leonardo, e non da Elisabetta come alcuni hanno erroneamente affermato (a quell’epoca Elisabetta doveva avere presumibilmente non più di sette anni). Diversamente dalle illustrazioni commissionate dal Cesi, quelle per Castore Durante avevano lo scopo principale di dilettare l’autore, presentando caratteri tutt’altro che scientifici. La morbidezza, la grazia e l’attenzione al dettaglio comunicano che l’esecutore sapesse disegnare, pitturare e, crediamo, realizzare miniature. Infatti, le illustrazioni botaniche, la miniatura e la pittura di genere erano parte integrante del bagaglio culturale delle donne artiste che ancora non avevano accesso alla pittura di storia – lo dimostrano alcune opere di Giovanna Garzoni o quelle di Maria Sibylle Merian, ad esempio, pittrici e disegnatrici che mostrarono un occhio attento per il mondo delle piante. Le affascinanti e suggestive immagini dell’erbario, come l’Arbor Tristis o Arbor Malenconico, i cui rami d’un tronco umano fioriscono sotto la luce della luna e delle stelle appassendo al sorgere del sole, potrebbero essere state inventate da Girolama Parasole e realizzate con il supporto del marito. Le fonti, infatti, ci descrivono Girolama come una valente scultrice e pittrice, la cui dote (insieme a quella dell’altra cognata, Maddalena Parasole) venne utilizzata per avviare questa grande impresa tipografica.
Girolama è sicuramente l’esecutrice dell’opera il Giove Pluvio per il secondo volume degli Annales Ecclesiastici, realizzato per la Tipografia degli Oratoriani fondata dal cardinale Cesare Baronio: quest’ultimo una figura assai controversa della Roma riformata dell’epoca, difensore delle nuove esigenze della Chiesa e allo stesso tempo amante delle ricerche galileiane. In questa opera la Parasole dimostra le sue competenze tecniche ed esecutive, conferendo pathos, energia e vigore a personaggi che precedentemente erano stati rappresentati in modo mediocre da un artista anonimo. Appare chiara, allora, la tanta fiducia riposta dal famoso artista Antonio Tempesta – collaboratore di Leonardo Parasole nella realizzazione degli Evangelium Sanctum Domini per la Tipografia Medicea Orientale – a Girolama Parasole, alla quale permise di riprodurre alcune delle sue opere: La battaglia dei Centauri e Lapiti (1600), il Giudizio Universale (ante 1622) e l’asta di bambù con la Visione di San Filippo (1600). La sua attività artistica fu così rilevante che quando morì, a cinquantacinque anni (1622), Girolama venne sepolta prima nella chiesa Santi Vincenzo e Anastasio a Trevi e poco dopo alla Vallicella, dove nel 1612 era stato sepolto Leonardo. Madre di cinque figli, moglie e artista eccellentissima, Girolama compare insieme a Bernardino Parasole (il figlio) nel testamento ereditario di Leonardo.
Di Elisabetta, invece, sappiamo che visse nel Monastero di Santa Caterina de’ Funari a Roma fino al 1593, anno in cui Rosato la prese in moglie. Il conservatorio aveva il compito di insegnare alle fanciulle “pericolanti e figlie di donne di mal costume” un mestiere in grado di inserirle nella società. Pensiamo che Elisabetta fosse stata istruita (come era in uso tra le suore) alla lettura, alla scrittura, al ricamo e al cucito, catturando l’attenzione di Rosato e della bottega. Una volta dai Parasole, Elisabetta deve aver approfondito il proprio lavoro sui modellari di ricamo, a quel tempo molto diffusi tra le botteghe: l’originalità e l’eleganza, che contraddistinsero i suoi lavori, le permisero di tessere una vasta rete di rapporti con personaggi femminili di spicco, fino a dedicare la sua maggior opera, il Teatro delle nobili et Virtuose donne (1616), alla regina di Spagna Elisabetta di Borbone d’Austria – preceduta da Fiori di ogni virtù per le nobil et honeste matrone (1610). E ancora, Lo Specchio delle Virtuose Donne (1596) dedicata a Felice Maria Orsini Caetani, Specchio delle Virtuose Donne (1597) dedicata alla duchessa Juana de Aragóna, e molti altri lavori che suggeriscono l’esistenza di un vasto e complesso matronage entro cui la Parasole si inserì pienamente.
Chi fu, dunque, questa abile artista, tessitrice di rapporti, come lei stessa lascia intendere nella dedica alla regina di Spagna?
[…] ben conosco l’ardire e la sproporzione che è tra la bassezza della donatrice, e l’altezza della real persona, alla quale si dona: dubitando però dell’esempio della animosa Aracne a me imitata nelli presenti disegni […] con questo testimonio la mia devozione e osservanza […] e umilissima servitù mia, supplicandola a gradire in questo picciol dono.
Chi fu tale barone Cattaneo, padre di Elisabetta? Difficile dare una risposta ad un segreto che per circa cinquecento anni è stato gelosamente custodito dal conservatorio. Ma i documenti battesimali dei suoi cinque figli, accompagnati da personaggi di spicco della Roma dell’epoca, conducono nella cerchia intellettuale di Cinzio Passeri Aldobrandini, nipote di papa Clemente VIII. Quel Cinzio che abitava a pochi passi dalla Vallicella e che frequentava accademici ed educatori come il bergamasco Maurizio Cattaneo, di cui non sappiamo ancora molto. È difficile stabilire se tale Maurizio Cattaneo fosse parente stretto di Elisabetta, ma la conoscenza di altri personaggi gravitanti attorno alla bottega Parasole fanno ipotizzare che non sia totalmente estraneo alla sua famiglia.
Così in questo alveo culturale e artistico che caratterizza la Roma del tardo Cinquecento e dei primi del Seicento, l’alone di mistero che ancora circonda le vite di Elisabetta e Girolama Parasole, queste due storie che si intrecciano, il destino comune che le ha unite, le rendono due figure tra le più affascinanti e intriganti dell’epoca.