“Per quale miracolo la nostra casa che era sempre stata un santuario di studi e di affetti familiari, fosse, si può dire dall’oggi al domani, diventata una così fervida fucina della lotta partigiana, non saprei proprio dire”.1
Con tono quasi dimesso raccontava Daria Banfi Malaguzzi Valeri l’inizio della partecipazione sua e della sua famiglia alla Resistenza antifascista. Ma in realtà una simile compenetrazione dello spazio familiare con quello culturale e politico ha accompagnato la sua vita sin dall’infanzia.
Nata a Reggio Emilia il 27 novembre 1883, omonima e discendente della madre di Ludovico Ariosto, Daria era figlia di Anna Malaguzzi Valeri e di suo cugino, il conte Ippolito Malaguzzi Valeri, successore di Cesare Cantù alla direzione dell’Archivio di Stato di Milano. Malaguzzi fu una prolifica saggista, scrittrice per l’infanzia, giornalista, traduttrice e critica letteraria. Si portò dietro per gran parte della vita un’invalidante ma trascurata sordità. Il suicidio del padre l’1 febbraio 1905 le consegnò una situazione difficile, che fu probabilmente fra i motivi che la spinsero ad un primo matrimonio a La Spezia nel 1906.
Il matrimonio la strappò dagli studi all’Accademia Scientifico-letteraria di Milano, dove si era ritrovata dal 1904 assieme ad un talentuoso gruppo di giovani fra i quali spiccavano la germanista Lavinia Mazucchetti, il filosofo Antonio Banfi, il poeta Clemente Rebora e il filologo Angelo Monteverdi. Degli ultimi tre, Malaguzzi divenne la madrina, anche in virtù di qualche anno di maggiore anzianità.
Separatasi dal primo marito, riprese gli studi a Padova. Nel 1915 a Bologna contribuì ad organizzare un ospedale per i feriti provenienti dal fronte della prima guerra mondiale, prestandovi servizio come crocerossina. L’esperienza la segnerà profondamente.
Dopo il divorzio dal primo marito, il rapporto con Banfi culminò in matrimonio civile a Bologna il 4 marzo 1916. La coppia si trasferì ad Alessandria, dove, il 15 novembre 1919, nacque il loro unico figlio, Rodolfo, che prese il nome da uno zio paterno e uno materno. Quest’ultimo, capitano medico, era morto suicida nell’agosto del ’18, probabilmente per via delle atrocità vissute al fronte.
A partire dagli anni ’20, dopo gli esordi di critica letteraria sulla «Rivista d’Italia», con Inquietudini (Alessandria, Ariel, 1926) e Femminilità contemporanea (Alpes, Milano, 1928) Malaguzzi scandagliò la crisi morale dell’Italia post-bellica esprimendo posizioni a tratti contraddittorie, che parte della storiografia anglofona recente ha giudicato fin troppo severamente. A far da corollario a quei testi stanno infatti le coraggiose ed incisive rassegne letterarie volte a promuovere, contro la misoginia culturale imperante nell’Italia dell’epoca, il lavoro di scrittrici come Bianca De Maj, Giana Anguissola e Ada Negri, che Malaguzzi pubblicò durante gli anni ‘30 su «Almanacco della donna italiana», «Donne italiane: almanacco annuario» e «La festa».
Dopo il fortunato Marina d’Italia (Treves, Milano, 1929), pubblicato con l’aiuto di alti funzionari della Marina già in relazione con i Malaguzzi Valeri, Daria si affermò come una riconosciuta scrittrice per l’infanzia, con decine di titoli e ristampe pubblicate a partire dagli anni ‘30. Raggiunse il picco del successo – in molti casi anche commerciale – nel 1939, quando il racconto ambientato nella preistoria Jagul e Palì (Paravia, Torino, 1938), candidato per iniziativa dell’editore al “Premio Bologna” presieduto da Filippo Tommaso Marinetti, ne risultò vincitore ex-aequo.
I Banfi Malaguzzi furono oppositori del fascismo sin dagli esordi, col filosofo che apparve fra i firmatari del manifesto anti-fascista crociano del ’25. Ma l’atteggiamento che la famiglia mantenne nei confronti del regime negli anni del consenso fu di prudenza e, in alcuni casi, di compromesso, come nel caso del giuramento del ’31 imposto ai docenti universitari. A questa prudenza si accompagnava un costante lavorio di opposizione, prima solo culturale, poi direttamente politica. La scuola banfiana all’Università di Milano divenne una fucina di antifascisti, mentre Malaguzzi cercò all’estero i primi contatti con l’opposizione organizzata al regime. Nel 1938 raggiunse a Parigi l’esule rivoluzionario Andrea Caffi, amico suo e di Banfi fin dagli anni ’10, che nella capitale francese era stato organico a Giustizia e Libertà. Tramite lui, Malaguzzi entrò in contatto con la scrittrice socialista ma anti-bolscevica Ol’ga Černova, dettandole «articoli che lei poi portava ai giornali di sinistra»2. Ma negli stessi anni Banfi stringeva rapporti col PCI, ed è con i comunisti che la famiglia partecipò alla Resistenza: Daria e Antonio facendo della propria casa a Milano un centro operativo clandestino, Rodolfo – che negli anni successivi sposò Rossana Rossanda – da combattente partigiano.
A partire dal 1945 Malaguzzi promosse lo sviluppo della neonata Unione donne italiane (UDI) e fu fra le ideatrici di iniziative di solidarietà e assistenza che facevano riferimento al PCI, fra cui i “treni della felicità”. Il carattere politicamente passionale, riscontrabile anche in alcune lettere non prive di asperità con Togliatti, le valse gli appellativi di “contessa rossa” e “contessa bolscevica”.
Dopo la morte di Banfi, avvenuta nel ’57, Malaguzzi curò molte edizioni postume delle sue opere, contribuendo ad organizzarne il lascito documentario attraverso la creazione dell’Istituto filosofico a lui dedicato a Reggio Emilia. Nell’archivio dello stesso istituto raccolse lettere e documenti dell’amico Caffi, nonché materiali relativi a numerose biografie partigiane. Contribuì inoltre a tenere viva la memoria di Rebora, pubblicando carteggi, documenti e commenti critici.
Daria Banfi Malaguzzi Valeri si spense a Milano, a quasi novantasei anni, il 23 luglio 1979.