Chimamanda Ngozi Adichie ha 44 anni, è nata a Enugu, nel Sud della Nigeria, quinta di sei figli, appartenente a una famiglia di etnia igbo. Il padre lavorava come professore di statistica presso la locale Università della Nigeria, la madre fu la prima donna a diventare direttrice presso la stessa Università.
Chimamanda iniziò a studiare medicina in Nigeria e si occupò della revisione di un giornale, poi, grazie ad una borsa di studio andò negli Stati Uniti dove studiò Comunicazione e Scienze Politiche. Durante il suo ultimo anno di Università iniziò a lavorare al suo primo romanzo Ibisco viola , pubblicato nel 2003, che ottenne l’Orange Prize (UK) e il Commonwealth Writers’ Prize. Nel 2006 venne pubblicato Metà di un sole giallo che vinse l’Orange Prize nel 2009 e il Premio Internazionale Nonino in Italia nel 2009, il suo ultimo libro si intitola: Cara Ijeawele. Ovvero quindici consigli per crescere una bambina femminista.
Chimamanda Ngozi Adichie è universalmente considerata l’autrice femminista più influente dal 2010 e nel 2015 era sulla lista delle 100 persone più influenti al mondo secondo la rivista «Time».
Il suo lavoro e il suo impegno ruotano intorno alle questioni del razzismo e del femminismo. Si fa presto a dire femminismo. Abbiamo tutti bisogno di femminismo, quello di Chimamanda Ngozi Adichie, scrittrice nigeriana con all’attivo tre romanzi di successo, due conferenze viste da milioni di persone, giornalista di varie testate tra cui il New Yorker e il Financial Times. Ha studiato nelle Università più prestigiose del mondo, ora vive e lavora tra la Nigeria e Baltimora e rappresenta, come nessun altro oggi, due mondi, l’Africa e l’America.
Il suo libro Americanah ha ottenuto il National Book Critics Circle Award e molte altre menzioni, ed è stato considerato uno dei cinque migliori romanzi del 2013 dal «New York Times». Sarà oggetto di una trasposizione cinematografica interpretata dal premio Oscar Lupita Nyong’o e prodotta da Brad Pitt.
Nella sua famosissima conferenza Dovremmo essere tutti femministi spiega, in modo diretto, chiaro, autentico che cosa intende per femminismo. Il femminismo è costruttivo, inclusivo, non odia gli uomini, il femminismo della Adichie non distrugge ma genera, porta a una profonda riflessione sulla questione di genere e auspica un mondo migliore, dove le differenze vengano intese come un valore e non come una contrapposizione.
“Ad un certo punto ero una femminista africana felice che non odia gli uomini, che ama i rossetti, e si mette i tacchi per sé stessa ma non per gli uomini”.
Si può essere femministe anche con i tacchi a spillo e il rossetto; si può essere femminili e anche femministe. Sminuire una donna perché si interessa di cose come il trucco o il vestire è parte di una cultura sessista.
Essere femministe ed essere sexy è possibile. Alcuni estratti della sua conferenza del 2012 sono finiti nel videoclip di Beyoncé (nella canzone Flawless) e sulle t-shirt di Dior.
La “figlia del Ventunesimo secolo” come è stata definita da Chinua Achebe (il padre della letteratura africana di lingua inglese) è apparsa nella celebre edizione di settembre 2019 di «Vogue» Le forze del cambiamento insieme a Michelle Obama. È stata definita icona di stile dal New York Times e inclusa da Vanity Fair nella lista di donne meglio vestite al mondo anche grazie al suo impegno nel vestire solo con abiti di stilisti nigeriani emergenti.
L’impegno di questa straordinaria scrittrice non è solo di tipo intellettuale, passa dai racconti della sua terra, l’Africa, con le sue guerre (in particolare la guerra del Biafra), le sue contraddizioni, l’esigenza di libertà e la difficoltà dell’abbracciare nuove culture, e arriva fino all’occidente, alle problematiche che legano tutto il mondo alla questione di genere per giungere, con il suo coraggio e la sua incisività, a influenzare l’opinione pubblica e la moda nel mondo intero.
Chimamanda rappresenta la rivoluzione del nostro tempo perché è riuscita, come mai prima d’ora, a far capire al mondo che chi si definisce femminista non è ostile al genere maschile, la Ndichie depura, in modo definitivo, il termine “femminismo” da ogni connotazione negativa.
Ad essere femministi devono essere sia gli uomini che le donne, perché in questo concetto non esiste prevaricazione di un genere sull’altro ma uguaglianza, esaltazione e rispetto delle diversità. Il problema di genere rimane una questione globale, riguarda i diritti umani, coinvolge tutti indipendentemente da come possa essere definito:
“la mia bisnonna non conosceva la parola “femminista”, ma non significa che non lo fosse”.
La scrittrice parte dall’analisi della società nigeriana ma poi estende il ragionamento a tutto il resto del pianeta chiedendosi, a voce alta e davanti a milioni di persone,
“Perché il successo di una donna deve essere una minaccia per un uomo? [….] Un conoscente nigeriano mi ha chiesto una volta se non avessi paura di intimidire gli uomini. Non ero per niente preoccupata. Non ho mai avuto questa preoccupazione perché un uomo che si sente intimidito da me è proprio il tipo di uomo che non mi interessa affatto”.
A quali donne non è mai capitato di sentirsi fare questa domanda? Le sue parole non possono fare a meno di suscitare una riflessione corale che prende per mano anche gli interlocutori più lontani. Rivolge il proprio sguardo alle generazioni più giovani affinché crescano libere e sappiano interiorizzare il fatto che la difesa dell’affermazione della donna corrisponde con la difesa della democrazia stessa.
Leggere Chimamanda significa ammirarne la forza e il coraggio, significa compiere un atto rivoluzionario, la soft revolution della quale questo pianeta non può più fare a meno.