Scrittrice “notturna” (vicina tuttavia alla «notte oscura» dei mistici), intellettuale poliedrica (coltivò anche interessi scientifici), poliglotta e traduttrice, Catherine Pozzi ha il privilegio di appartenere a una agiata famiglia della borghesia francese. Prima di tre figli, nasce a Parigi, che si stava già allora avviando a diventare la capitale europea delle avanguardie artistiche, nel 1882.
Suo padre, Samuel Pozzi, è uno stimato docente di ginecologia; la madre, Thérèse Loth-Cazalis, è un’ereditiera; il loro salotto è frequentato, tra gli altri, da Marcel Proust. Accanto a una precoce vocazione alla lettura e alla poesia europea, Catherine inizia a studiare pianoforte con Marie Jaëlle, allieva di Liszt: a lei, che si rivelerà per la formazione di Catherine figura di primo piano, la poetessa dedica nel 1914 un articolo apparso su «Les Cahiers Alsaciens»: Le problème de la beauté musicale et la science du mouvement intelligent. L’oeuvre di Marie Jaëlle. In questi stessi anni – formativi dal punto di vista umano e intellettuale – inizia a scrivere in inglese e tedesco e legge l’opera di Taine e di Nietzsche, abbandonando la pratica religiosa cattolica. Dopo alcuni viaggi in Italia in Inghilterra, sposa nel 1909 il drammaturgo Edouard Bourdet, da cui nascerà il figlio Claude. Si tratta però di un rapporto destinato a incrinarsi presto, dacché Catherine instaura una profonda relazione intellettuale con lo scrittore André Fernet, che sarebbe morto in guerra nel 1916, mentre si presentano in lei i primi sintomi della tubercolosi. L’esistenza della Pozzi, in seguito alla morte di Fernet e alla separazione dal marito, si rivela una teoria di lutti e di sofferenze (tra cui la morte del padre, ucciso da un malato psichico), non esente tuttavia da momenti di pur fugace felicità. Innamoratasi nel 1920 di Paul Valéry, ha un grave sbocco di sangue provocato dal tracollo nervoso indotto dalla relazione; nel 1924 subisce una dolorosa operazione al braccio, mentre l’acuirsi dei sintomi della tubercolosi le rende difficoltoso il movimento degli arti. Inizia a scrivere Agnès, racconto di chiaro stampo autobiografico; nel 1926 compone Vale, mentre inizia a studiare biologia, avendo peraltro sempre coltivato spiccati interessi scientifici. Instaura, sempre negli anni Venti, una relazione epistolare con Rainer Maria Rilke e inizia, su invito di Jean Paulhan – figura di spicco della «Nouvelle Revue Française» – a tradurre Stefan George e alcuni frammenti orfici. Nel 1928 si consuma l’allontanamento da Valéry, ma si amplia la rosa delle amicizie: incontra e conosce, nel 1930, i coniugi Maritain. Sempre attorno al 1930 inizia a comporre Nova e, in seguito all’aggravarsi della tubercolosi, Scopolamina.
La profonda inquietudine che ha accompagnato la Pozzi durante tutta la vita si traduce, negli ultimi anni, in un ritorno alla fede cattolica. Nel 1934, l’anno della morte, sopraggiunta a Parigi il 3 dicembre (come la sua quasi omonima Antonia Pozzi, che sarebbe morta il 3 dicembre di quattro anni dopo), scrive Nyx, dedicata a Louise Labé, poetessa cara a Rilke.
Gran parte dell’opera di Catherine Pozzi è stata pubblicata – come, ancora una volta, nel caso di Antonia Pozzi – postuma.
O muto coro dei vivi fuori dalla vita,
Sorda musica sulla soglia chiusa del presente,
Persi, Perfetti, dolore, desiderio, letargia,
Il male di Dio è un fuoco gelido nella notte.
La debole invocazione urlata verso di Voi, Moltitudine,
Folla immobile, oscillante verso l’eterno,
Ha raggiunto il cielo della Solitudine?
Ha ferito il vostro incalcolabile Sonno?
Verso il vostro orrore, Sete senza speranza se n’è andata,
O fratelli gravi, leggeri nell’oscurità sconosciuta.
Figli dello Spirito, di cui l’intera forza è passata,
Dalle profondità accogliete lo spirito perduto.
(Catherine Pozzi, De profundis, in Il mio inferno. Poesie, traduzione e cura di Marco Dotti, con una nota di Michel de Certeau, Milano, Edizioni Medusa 2006, p. 47)