Caterina Coiante Iorio

Leonessa (Rieti) 1949 - vivente
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«Caterina come è stata la tua vita?»
Lei, ridendo, risponde: «Movimentata».
La storia che Caterina mi racconta è la storia di una vita messa a lavoro e dedita al lavoro, dove insieme alla necessità si possono far crescere spazi di libertà e di speranza. La conosco da tanti anni Caterina, ma la sua storia no, non la conoscevo.
Figlia di piccoli proprietari contadini rimarrà sempre legata alla terra e al lavoro dei campi; a queste fatiche si aggiunge fin da ragazzina il lavoro domestico salariato.
È una storia contemporanea, perché Caterina, unica figlia di Pia e Mario Coiante, nasce il 20 gennaio del 1949 a Casanova, frazione di Leonessa, un comune montano a confine tra Abruzzo, Umbria e Lazio. Nasce piccola piccola: «Così piccola che mi hanno messa appena nata in una scatola di scarpe! ». Sembra l’inizio di una fiaba e in effetti conserverà un’intonazione fiabesca il racconto della sua infanzia e della prima adolescenza. La balia che l’allatta – così si usava una volta in assenza del latte materno – si chiamava Santa, ma Caterina era una bambina molto, molto piagnucolosa: una volta la madre, esasperata, la prende per i piedini e la sospende nel vuoto, fuori dalla finestra. Ride divertita nel ricordare .. Cresce tra la scuola – che frequenta fino all’età di 14 anni con ottimi voti – e i campi: «Zappavamo il granturco e il grano, papà da una parte, mamma dall’altra e io, piccola, in mezzo. A sette anni già stavo con le pecore e con le vacche ».
Le piaceva molto andare con le pecore insieme a un’amica lungo il fossato Tascino, che una volta era un ricco torrente a carattere stagionale: nasceva alle falde del Terminillo e tagliava tutto il lungo altopiano leonessano. Portavano con loro i libri e studiavano in mezzo ai campi. Ma non mancavano avventure impreviste: un terribile temporale che le coglie all’improvviso, una scorribanda verso una frazione vicina (Colledacqua), mentre le pecore incostudite sono libere di «falciare quasi tutto il campo di grano paterno »- una grave indisciplina mai confessata. Il padre qualche volta la portava sulla canna della bicicletta al cinema, a Leonessa: tornavano al buio e una volta finirono in un fosso.
L’età adulta e lavorativa inizia molto presto, nel 1963, con la perdita prematura del padre: era nato nel 1923, aveva solo 40 anni. Per Caterina quattordicenne quale altra possibilità se non quella di andare a servizio a Roma, presso una famiglia di origine leonessana? Impossibile continuare gli studi, anche se il parroco e preside della scuola ritenevano ne valesse la pena. Erano gli anni della recessione. Per tante giovani o giovanissime donne non c’era che il lavoro marginale, a domicilio, precario – per gli uomini, diversamente, l’opportunità di un lavoro stabile nel settore industriale.
A Roma, l’aspetta una vita di casa. Gli inizi sono privi di amicizie e di svaghi: il tempo di lavoro coincideva con il tempo di vita. Poi incontra Luigi Iorio, operaio presso un distributore di benzina. Presto decidono di sposarsi e di abbandonare la città per andare a vivere a Casanova. Il legame con la madre è un forte richiamo: «Non potevo lasciare sola mamma che non avrebbe mai voluto abbandonare il paese». Il matrimonio fu celebrato a Leonessa nel 1967: lei aveva 18 anni, lui 20. La vita matrimoniale? «Una meraviglia! Si ballava e cantava»: l’allegra ironia è una delle doti di Caterina.
Nel 1968 nasce Maria Pia, nel 1970 Massimiliano e un anno dopo, Sabrina: tutti a casa, assistiti dall’ostetrica del paese, Olga. Nel 1979 arriva anche Nicola e questa volta nonna Pia fece le veci dell’ostetrica. Nel ricordo quegli anni non le appaiono così faticosi forse perché sua madre le è stata sempre di grande d’aiuto.
Aveva ripreso con quotidiana continuità il lavoro dei campi, senza interrompere quello a servizio presso famiglie benestanti, e d’estate, nelle case dei villeggianti. Il marito aveva trovato lavoro nell’unica falegnameria della zona, a Leonessa. Chiusa la falegnameria, era stato occupato in una fornace, che non ebbe fortuna. Da allora con il trattore di sua proprietà lavora per alcuni anni in proprio.
Siamo agli inizi degli anni ’80. La famiglia è cresciuta. Caterina e Luigi decidono insieme di accettare il lavoro salariato in una piccola azienda agricola, dove vanno tutti ad abitare. Ma per raggiungere una certa serenità economica il marito si impiega come operaio in una ditta di asfalti a Roma.
Inizia un lungo periodo che durerà fino al 2000, durante il quale Luigi è a casa solo per il riposo settimanale, mentre la responsabilità della gestione e organizzazione della quotidianità familiare è sulle spalle di Caterina, insieme a tanto lavoro necessario a integrare il reddito. Cessata la conduzione dell’azienda agricola, negli anni ’90, un altro cambiamento da ricordare: si va ad abitare in una piccola casa provvisoria assegnata loro dal Comune, perché quella di Casanova era stata danneggiata dal terremoto che colpì Leonessa nel 1979: «Che begli anni! Eravamo in sei famiglie e la sera accendevamo il fuoco, facevamo braciolate, c’erano tanti bambini, ci si divertiva».
Nel 2000 le viene assegnata la casa popolare, ma lì il clima è tutto diverso: «Quasi non ci chiamiamo, pur stando porta a porta».
Quando nel 1999 muore la madre, lei è già nonna. Maria Pia, sposatasi, ha avuto tre bambini: vive a Rieti. Massimiliano ha ereditato la terra dei nonni e ha sposato una peruviana. Sabrina è diventata assistente sanitaria e si è diplomata in clarinetto: la sua passione. Vive e lavora vicino Piediluco e suona in diverse bande locali. Nicola è sposato con un bambino e vive a Roma, dove lavora come autista presso una ditta e si industria in altri lavori autonomi: anche lui ama la musica ed è appassionato di tromba. Luigi è diventato molto casalingo, anche per il suo stato di salute non troppo buono, che lo costringe a una vita sedentaria. Caterina non si ferma mai.
Ha lavorato per tanti anni stagionalmente in un ristorante-pizzeria con orari pesantissimi; ora lavora nelle prime ore mattutine in un bar, poi ore e ore di lavoro domestico. Da dieci anni scende a Rieti in autobus tre volte a settimana per lavorare presso una famiglia con un’anziana non autosufficiente. Non si contano le famiglie che dipendono dal suo aiuto. E a lei viene da dire, quasi a suggerirmi il finale del racconto: «Se non fossi allegra sarei morta».
«Tutti i giri li ho fatti io»: perché non perde occasione per partecipare alle gite collettive che si organizzano in paese. Le elenca tutte, ricordando bene luoghi e cose: Pompei, Padova, Venezia, Ravenna, Gonessa in Francia, con i frati; Monte Cassino, Paestum e gli scavi etruschi vicino Viterbo, con l’Ente Provinciale del Turismo di Rieti da Padre Pio e al Qurinale per l’Unità d’Italia con il Centro Anziani; e poi Firenze e San Marino, con i negozianti di Leonessa. È rimasta affascinata dal borgo medievale di Civita di Bagnoregio, “La città che muore” a causa della lenta erosione della rupe di tufo sulla quale sorge. Secondo lei, anch’io debbo andare assolutamente a vederlo. Ama i musei. E leggere, fin dai tempi della scuola, qualsiasi cosa le capiti a tiro. Le sarebbe tanto piaciuto suonare il pianoforte.

Fonti, risorse bibliografiche, siti

Referenze iconografiche: foto di Giuliana Chiaretti.

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Giuliana Chiaretti

Nasce il 30 dicembre 1939 a Leonessa, un vasto altopiano appenninico nell'Alta Sabina. Nel 1945 la famiglia si trasferisce a Roma. Qui lei studia fino alla laurea - nel 1962 presso la Facoltà di Scienze Politiche, Università La Sapienza - e qui inizia la carriera accademica. La passione per la sociologia la porta nel 1967 a Milano. Negli anni Settanta, il soggiorno di studi a Harvard e la pratica della ricerca sociale. Nel 1979 la nascita della figlia Federica. Poco dopo la scelta di dedicarsi anche alla psicoanalisi junghiana. Per lunghi anni è stata membro attivo del CIPA. Professore ordinario di sociologia all’Università Ca’ Foscari, vi ha insegnato dal 1996 al 2015. Al centro della sua attenzione i temi dell’identità e del riconoscimento, le disuguaglianze di genere e di razza, le migrazioni femminili. Vive fra Venezia e Milano.

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