La vita di Camille Claudel è ben rappresentata da due fotografie: la prima di César, commissionata da Rodin, la ritrae come giovane artista e donna indipendente: sguardo fiero di sfida, capelli spettinati e occhi penetranti. La seconda, dell’amica Jessie Litcomb, nel manicomio di Montdevergues, è la foto di una donna-spettro rassegnata e alienata. Queste foto rappresentano due periodi molto importanti della sua vita: i tredici anni con Rodin e i trent’anni al manicomio.
Letizia Battaglia, grande fotografa siciliana, che ha realizzato degli scatti molto intensi ai ricoverati, parla dei manicomi come di “una tragedia di cui tutti dovremmo provare vergogna”, riferendosi alle persone fatte rinchiudere dai familiari per questioni di eredità, ai mariti che si liberavano in questo modo delle mogli, a quanti costretti ad entrare sani in manicomio furono poi travolti davvero dalla malattia mentale1. In queste parole troviamo perfetta corrispondenza con il dramma di Camille.
Camille nasce nel 1864 a Fère-en-Tardenois (Aisne). Di fatto primogenita perché il primogenito maschio era morto, dopo di lei nasceranno Louise, la preferita di mamma e Paul, lo scrittore. Non è una famiglia felice, lo stesso Paul scriverà che tutti litigavano con tutti e racconterà della madre anaffettiva, che non li prendeva mai in braccio. Il padre, esattore delle tasse, forse un po’ rigido e conservatore, approva e sostiene le aspirazioni artistiche dei figli. Per questo la famiglia si sposta a Parigi, dove Camille e Paul possono frequentare scuole di qualità.
Era difficile per una donna del tempo essere un’artista, per di più scultrice. Le donne spesso non avevano accesso al nudo, non venivano quasi mai premiate nei Salon e nelle esposizioni e non erano accettate nella più parte degli atelier. Non potevano – senza permesso delle autorità – indossare pantaloni o abiti comodi ed è facile immaginare con quanta difficoltà dovessero destreggiarsi tra marmi e gessi con quelle ampie gonne. A questo si devono aggiungere le difficoltà economiche che colpivano tutti gli scultori per i costi altissimi da sostenere: materie prime (in particolare il marmo, di difficile lavorazione, un colpo sbagliato e andava in fumo tutto il lavoro), assistenti, modelli, fonditori. Camille si dimostra però caparbia e tenace.
Camille incontra Rodin nel 1884: ne diventa la musa, la modella, l’amante; tra loro una profonda comprensione artistica: insieme frequentano molti intellettuali dell’epoca. Camille è gelosa, emotivamente violenta, intransigente, con una passione totalizzante. Il 12 ottobre 1886, Rodin scrive una sorta di contratto, forse obbligato da lei: “Dopo l’esposizione partiremo nel mese di maggio per l’Italia e vi rimarremo almeno sei mesi, e sarà l’inizio di un legame indissolubile dopo il quale Mlle Camille diventerà mia moglie.” Rodin si barcamena tra la passione per lei e la tranquilla Rose Beuret che non lascerà mai e che sposerà nel 1917. Camille – come scrive lei stessa – gli darà tutto; probabilmente ha abortito un figlio suo. Ce lo fa intuire Paul e lo scrive anche la pronipote, che ha dedicato la vita alla sua opera.
In questo vortice di sentimenti, Camille produce dei capolavori assoluti: Sakountala, La Valse, il busto di Rodin, Clotho e soprattutto l’Age Mûr. Una giovane donna implorante cerca di trattenere un uomo maturo che invece viene portato via da un’altra donna. Nella prima versione dell’opera la giovane lambiva la mano dell’uomo; nella seconda invece i due personaggi sono staccati. Facile pensare al triangolo amoroso con Rodin. Qualcuno ha visto anche nella figura dell’uomo quella del padre. Qualsiasi interpretazione si voglia dare, rimane un’opera meravigliosa e crudele.
Il confronto con la scultura di Rodin è sempre presente nelle cronache dell’epoca e possiamo immaginare la fatica di Camille per trovare posto nel mondo maschilista dell’arte. La prassi che vedeva i discepoli del maestro occuparsi di alcune parti delle sue opere non aiutava certo. In alcuni lavori di Rodin vi sono certamente degli elementi di Camille. Rodin la sosterrà sempre; anche quando sarà internata, non le farà mancare un aiuto economico (in forma anonima) e vorrà dedicare una sala alle sue opere nella sua casa/museo.
Nel 1896 Camille scrive “[…] m. Rodin non ignora che molte persone malvagie hanno osato dire che era lui a fare le mie sculture: perché allora far di tutto per accreditare questa calunnia?” e ancora nel 1899 “Signore, leggo con stupore il suo resoconto del Salon in cui mi si accusa di essermi ispirata a un disegno di Rodin per la mia Clotho. Non avrei problemi a dimostrarle che la mia Clotho è un’opera assolutamente originale. […] La prego di pubblicare sul suo giornale la piccola rettifica che le chiedo.”
Per Camille la scultura è tutto: ne sono piene le lettere e i ricordi di chi l’ha conosciuta. Se ha dei soldi, li spende per acquistare le materie prime e per pagare modelli e fonditori. Dal manicomio scriverà alla cugina: “Lei che conosce il mio attaccamento alla mia arte non può immaginare quanto abbia dovuto soffrire nell’esser di colpo separata dal mio caro lavoro […].”
La madre e la sorella Louise non comprendono la sua passione e non condividono il suo stile di vita. Il padre invece cerca sempre di sostenerla, come il fratello Paul forse in maniera più ambigua. Paul e Camille avevano da ragazzi un rapporto strettissimo, da qualcuno definito anche morboso per la gelosia di Paul che, da cattolico intransigente, sarà molto duro e firmerà con la madre la richiesta di internamento.
La rottura del rapporto con Rodin, lascia un segno indelebile. Camille aveva vent’anni quando lo aveva conosciuto; dopo tredici anni si ritrova sola a misurarsi con un mondo ostile nei confronti di una donna che oltre a fare un mestiere da uomo, aveva avuto una relazione libera con un uomo tanto più grande, condiviso con un’altra. Frequenta Debussy che terrà sempre una copia di La Valse sul pianoforte, forse solo per ingelosire Rodin. Camille comincia a trascurarsi e a sentirsi perseguitata dalla “banda Rodin”, barricandosi in casa e uscendo solo di notte.
Tanto è stato scritto sui suoi deliri. Forse più facile per lei prendersela con quell’uomo a cui aveva dato tanto, piuttosto che ammettere che era la sua famiglia ad averla fatta rinchiudere, cosa che avviene il 10 marzo 1913, una settimana dopo la morte del padre. Una volta internata, la madre non le farà mai visita; Paul è l’unico a farle visita talvolta, per quanto gli permettano i numerosi viaggi dovuti alla carriera diplomatica. Complice la legge, madre e fratello le impediscono per anni di incontrare e scrivere agli amici.
Recentemente, le sue cartelle cliniche sono state rese pubbliche: sono piuttosto monotone sullo stato mentale; tuttavia i medici che si sono avvicendati nella direzione del manicomio sono concordi nell’affermare che non è una paziente pericolosa per sé e per gli altri e che tornare in famiglia (come lei stessa chiede) potrebbe solo aiutarla. La madre si rifiuterà sempre di riprenderla in casa, né Paul farà mai qualcosa in tal senso. In una lettera del 1915 Camille scrive: “Mio caro Paul, ho scritto molte volte alla mamma, a Parigi, a Villeneuve, senza riuscire a ottenere una parola di risposta.
E anche tu, che sei venuto a trovarmi alla fine di maggio e ti avevo fatto promettere di occuparti di me e di non lasciarmi in un tale abbandono. Com’è possibile che da allora tu non mi abbia scritto una sola volta e non sia più tornato a trovarmi? Credi che mi diverta a passare così i mesi, gli anni, senza nessuna notizia, senza nessuna speranza! Da dove viene tale ferocia? Come fate a voltarvi dall’altra parte? Vorrei proprio saperlo.”
Quando Camille muore nel 1943 al suo funerale non ci sarà nessuno. Qualche anno dopo, la nipote scoprirà che Camille è stata sepolta in una fossa comune.