Bertha von Suttner

1843 - 1914
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Nel 1905 il premio Nobel per la pace fu assegnato ad una donna, la cui memoria oggi è scarsamente onorata, anche se in Austria circola una moneta da due euro con la sua immagine. Vale certamente la pena di conoscere meglio Bertha Sophia Felicita dei conti Kinsky von Chinic und Tettau che, dopo un’educazione conforme ai sacri principi dell’aristocrazia asburgica, a causa delle mutate condizioni familiari, decise di rendersi indipendente impiegandosi come istitutrice e segretaria. Dopo aver sposato il barone von Suttner – scelta tempestosa per opposizione della famiglia di lui, che costrinse inizialmente la coppia a vita precaria – si dedicò prevalentemente all’azione e alla scrittura.
Erano i temi in cui a Londra Hodgson Pratt aveva fondato la International Arbitration and Peace Association per la soluzione diplomatica dei conflitti, e ovunque in Europa si formavano movimenti e associazioni pacifiste, alimentati dalle denunce dei rapporti pubblicati da Henry Dunant sulle sanguinose stragi della guerra di Crimea. Dopo alcuni romanzi minori Bertha, pienamente coinvolta nell’impegno contro le guerre, nel 1889 pubblicò Das Maschinenzeitalter (L’epoca delle macchine) in cui criticava il nazionalismo e la produzione bellica, e, nello stesso anno, Die Waffen nieder (Abbasso le armi), vibrante condanna di ogni guerra che, per lo scalpore suscitato fra i benpensanti e il coinvolgimento della società pensosa del futuro, fu subito tradotta in molte lingue. Tolstoi disse: «La pubblicazione del vostro libro è per me un buon segno. Il libro La capanna dello zio Tom ha contribuito all’abolizione della schiavitù. Dio faccia sì che il vostro libro serva allo stesso scopo per l’abolizione della guerra». Auspicio rinviato sine die
Ignoriamo, peraltro, a causa delle lacune della storiografia europea, l’importanza che ebbe fra Otto e Novecento il movimento pacifista e il rispetto in cui furono tenuti gli appelli che i leader delle grandi manifestazioni e dei congressi inviavano, in nome della pace, ai sovrani europei. C’era, infatti, nel pacifismo del temo, una forte tensione utopistica, ma anche un acceso sostegno alla sua traduzione in termini di costruzioni democratiche e giuridiche: a questa scuola di pensiero appartenne sempre la storia di Bertha.
Tuttavia anche i tentativi più ragionevoli furono sconfitti dal potere determinante delle tradizionali strutture militari, dei ministeri della guerra e degli interessi ritenuti non negoziabili per l’onore nazionale. Resta ancor più occultata l’importanza che ebbe la presenza delle donne a difesa di una pace che non si riuscì – né allora né oggi – a far diventare diritto. Le donne, infatti, erano le più sensibili alla causa pacifista e Bertha, che ben ne comprendeva la forza potenziale, solidarizzò con le iniziative a favore dei loro diritti.
L’establishment, che non voleva cogliere il segno di morte che viene dalle sfide militari, contestava il pacifismo degli “inetti” e dei “traditori”; altrettanto ovviamente, irrideva la presenza delle donne avverse al sistema militare, accusate di non poter capire il bene della patria. Bertha, definita dalla stampa maschilista dell’epoca «la strega della pace» e immortalata in atroci vignette satiriche, si impegnò senza risparmio: «le donne non staranno zitte. Noi scriveremo, terremo discorsi, lavoreremo, agiremo. Le donne cambieranno la società e loro stesse». Occorre ricordare che fu lei la donna che per prima prese la parola in Campidoglio, nel lontanissimo 1891, in occasione della terzo Congresso mondiale per la pace che si teneva per l’appunto a Roma: la costruttività del suo intervento indusse al rispetto ogni ironia maschile.
Dopo la pubblicazione di Abbasso le armi e la ripresa di contatti con Alfred Nobel, di cui era stata per un breve periodo segretaria, fondò la Società Pacifista Austriaca, di cui rimase presidente a vita, per coordinare iniziative che dessero alla società del suo paese il senso di una politica alternativa ai principi della potenza e della belligeranza. Intanto Arthur von Suttner, l’amato marito con cui condivideva vita e passioni, istituiva l’Associazione per il rifiuto dell’antisemitismo. Bertha, divenuta in qualche modo l’ambasciatrice permanente del movimento pacifista in Europa, collaborò alla formazione di altre Società pacifiste, da quella nazionale tedesca a quella locale di Venezia.
Si impegnò poi – e seguirà i lavori come inviata della «Neue freie Presse» – nell’organizzazione della Conferenza dell’Aia del 1899, voluta dallo zar, in cui i governi europei si impegnavano a porre le basi per quella Corte permanente di arbitrato che cercherà di propagandare e sostenere anche all’estero. Nel 1902 morì Arthur, ma il lutto non allentò la sua tensione morale. Nel 1904 partecipò al Congresso mondiale per la pace di Boston e, ricevuta anche dal Presidente Theodoro Roosvelt, compì un ampio giro di conferenze negli Stati Uniti.
Un così grande impegno fu coronato nel 1905 dall’attribuzione del premio Nobel per la Pace. La situazione in Europa era sempre più complessa e la baronessa da un lato seguiva le questioni continentali cercando la via delle intese fra paesi potenzialmente rivali (contribuì, per esempio, alla creazione del Comitato di Fratellanza anglo-tedesco), dall’altro percepiva – e denunciava – l’aggravarsi delle tensioni internazionali a causa dei paesi con cui si erano stabilite importanti relazioni commerciali e che, come la Cina, erano sostanzialmente militaristi; conseguentemente enfatizzava il pericolo dell’avanzamento tecnologico nella produzione bellica e, in particolare, le ricadute produttive sull’aeronautica destinate ad essere particolarmente pericolose. Sferzò nel 1912 con dure critiche l’Italia per la conquista della Libia. Partecipò (1907) ad una nuova Conferenza per la pace dell’Aia, promossa, su suo suggerimento, dal presidente degli Stati Uniti, e vide finalmente istituita la Corte permanente di arbitrato.
Ma Bertha sentiva il pericolo di una guerra che contagiava il mondo: nel 1912 uscì la sua lucida analisi critica L’imbarbarimento dell’aria e si impegnò perfino a sostenere appassionatamente la necessità dell’unione europea come unico rimedio a salvaguardia della pace. Nel maggio 1914 stava organizzando l’ultimo dei Congressi mondiali per la pace, da tenersi a Vienna, ma, già da tempo ammalata, morì il 21 giugno, la settimana prima dell’attentato di Sarajevo. Scoppiò così la Prima Guerra Mondiale. Non la vedrà, ma l’aveva presentita prima e meglio di sovrani, statisti e militari e avrebbe voluto in ogni modo che si mettessero in atto le politiche per prevenirla.
Nella biografia scritta da Ursula Jorfeld si racconta che all’Istituto Nobel di Oslo fanno bella mostra busti di uomini insigni. Ma non di Bertha.
«La cosa più stupefacente, a me sembra, è che gli uomini si possano mettere da soli, volontariamente, in uno stato simile; che gli uomini che hanno visto cose simili non cadano in ginocchio prestando il giuramento più appassionato di fare la guerra alla guerra e, se sono re o principi, non gettino via la loro spada e, se invece non hanno il potere, non consacrino almeno la loro attività di parola, di penna, di pensiero, d’insegnamento e di azione ad uno scopo: abbasso le armi!» (Bertha von Suttner).

Fonti, risorse bibliografiche, siti

Referenze iconografiche: Bertha von Suttner, foto pubblicata nel 1907 in Les Prix Nobel. Immagine in pubblico dominio.

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Giancarla Codrignani

Docente di letteratura classica, giornalista, politologa, femminista. Parlamentare per tre legislature.

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