Beatrice Sacchi Ducceschi

Mantova 1878 - Torino 1931
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Figlia di Elena Casati Sacchi che nella donna desiderava soprattutto “il genio dell’educazione, la fierezza e l’indipendenza”, Beatrice, chiamata in famiglia Bice, nutriva “un malcelato disprezzo per la gonnella”, convinta che alla donna nella considerazione comune fosse negato il dono divino del pensiero e che fosse percepita soltanto come dedita ai lavori femminili: “ma andate a fare la calzetta” era infatti l’intercalare degli uomini quando tacitavano le donne che rivendicavano i loro diritti negati.

Queste testimonianze introducono il profilo di Beatrice, la prima, in particolare, ricorda il retaggio familiare ovvero come una tale madre non poteva che trasmettere ai propri figli (e ne ebbe dieci) i valori in cui credeva: pensiero critico, spirito libero, amore per la patria. Bice fu senz’altro fin da subito  una donna fiera ed indipendente, come d’altra parte si desume da una lettera che la sorella Maria le scrive  per gli auguri del compleanno dei nove anni quando auspica che la sua vivacità sia più contenuta  (evidentemente era esuberante e irrequieta più degli altri fratelli e sorelle).

Nata a Mantova il 12 agosto 1878, ultima della nidiata, rimase orfana ben presto di madre che morì nel 1882, ma ricevette ugualmente cure ed insegnamenti simili a quelli materni: la stessa Jessie White Mario, giornalista-scrittrice mazziniana, intima amica di Elena e di tutta la famiglia, svolse un ruolo molto importante nella crescita degli ultimi nati della famiglia Sacchi. Come tutti i suoi fratelli e sorelle studiò e la sua scelta in discipline scientifiche sottolinea ancora una volta il suo andare controcorrente, poiché in quegli anni gli indirizzi letterari e pedagogici erano le scelte più frequenti per le giovani. Frequentò gli atenei di  Genova e di Bologna dove si laureò in matematica , poi a Roma completò la sua formazione in Scienze Naturali quando già insegnava in una Scuola Normale della  capitale, istituto in cui rimase per tutta la vita. Svolgeva l’attività di docente con passione e ciò le procurava soddisfazione per i rapporti che teneva con le sue studentesse (ne fu una prova quando si ammalò e all’ospedale fu assistita anche da loro). Ricercava contenuti e metodi che migliorassero  la professionalità docente (partecipò a convegni, scrisse un manuale scolastico), questa tuttavia  non fu l’unica sua occupazione: l’impegno per l’emancipazione femminile, in cui riversò le sue energie, non fu un’ attività saltuaria o di facciata, anzi era altrettanto importante e totalizzante. Leggendo la corrispondenza che tiene con le sorelle e i fratelli, in particolare Ada, si comprende che aveva incarichi di segreteria e  di rappresentanza in giro per città italiane ed anche straniere.

Non era ancora ventenne che nel 1897 si iscrisse con la sorella Ada Sacchi all’ Associazione della donna, uno dei primi circoli che si batteva (ritorna quel battersi che tanta parte ebbe per i suoi genitori nel realizzare l’Unità d’Italia) per affermare i diritti del sesso femminile  che ancora in quel periodo faticavano a trasformarsi in leggi, in particolare l’abolizione dell’autorità maritale, il divorzio, l’alfabetizzazione, il voto. Tanti sono i comitati che la videro militante  il CNDI (Consiglio Nazionale Donne Italiane), la FILDIS (Federazione Italiana laureate e diplomate  Istituti Superiori), la FISEDD (Federazione Italiana per il Suffragio e i diritti delle donne). Sottoscrisse petizioni per ottenere quella parità di diritti tanto agognata, come quella presentata nel marzo 1906 al Senato la cui prima firmataria era Anna Maria Mozzoni insieme a Maria Montessori e a donne di varie classi sociali – aristocratiche e borghesi – impegnate in vari campi lavorativi.

Non si limitò a questo, doveva agire per cui già nel febbraio del 1906  chiede ed ottiene l’iscrizione nelle liste elettorali della sua città per votare alle elezioni politiche in virtù del fatto che non era presente un divieto esplicito per le donne in quanto in un articolo della legge relativa si riconosceva l’uguaglianza di tutti i regnicoli di cui anche le donne erano parte (“La prima elettoressa” titola con un certo scherno la «Gazzetta di Mantova» del 15 febbraio 1906). Questa iniziativa non rimase relegata ad un fatto di cronaca locale, venne infatti trattato dalle testate nazionali e innescò un dibattito che durò a lungo: l’esempio di Bice, per cui ancora oggi viene ricordata, fu seguito da donne di varie parti d’Italia, anche se l’iscrizione venne annullata nonostante i vari ricorsi. Non si perse d’animo, da “’animatrice meravigliosa, senza dubbi e tentennamenti”, in lei era ben radicata la convinzione che occorresse preparare cittadine consce, complete, oggi diremmo realizzate, che il femminismo avesse una funzione sociale ed anche pedagogica  per cui i deboli, i vinti andavano sostenuti ed educati. Leggendo la stampa, quella pro suffragio dalla parte delle donne («La Vita Femminile», «Il Giornale delle Donne», «L’alleanza»)  e quella nazionale, s’incontra il suo nome, impegnata a firmare un articolo  oppure intervistata per illustrare le finalità della lotta per  promuovere una donna nuova, attuata con azioni politiche vere e proprie, come quando affiancava le stiratici in sciopero o andava con gruppi di suffragiste in visita dal Primo Ministro o  parlava in comizi per il voto alle donne alla presenza di “deputati amici”. Una donna calata sempre nelle vicende della patria facendo scelte interventiste negli eventi bellici (la Prima guerra mondiale chiamata anche Quarta guerra d’indipendenza da chi la intendeva come la conclusione del Risorgimento) e scelte a favore del cambiamento radicale dell’Italia.

Una donna che non si arrende, non deflette, che continua ad avere una visione progressista per la condizione femminile  anche quando dovrà fare i conti con Mussolini: insieme alla sorella Ada cercherà almeno nella prima parte del ventennio di mantenere un dialogo con un fascismo che appariva  emancipatore, attraverso alcune concessioni come il voto femminile per le elezioni amministrative (legge del 22 novembre 1925), poi disattese da successivi provvedimenti che resero inapplicata la legge. Tali scelte occupavano il suo tempo quasi completamente tranne che in un breve periodo quando nei primi anni Dieci visse un breve amore con Alberto Ducceschi che assorbì molte sue energie: “il tempo che mi fa perdere (o guadagnare?) il mio fidanzato che non sa stare un giorno senza vedermi  per  farmi una lunga visita”. Così scrive alla sorella Maria durante i preparativi del matrimonio avvenuto il 23 febbraio 1914,  in cui  racconta dell’abito da sposa, dei regali ricevuti e degli spostamenti all’interno dell’appartamento per  ottenere uno spazio migliore durante la convivenza. In una di tali missive si avrà una breve descrizione della personalità di Alberto: pistoiese di nascita, vissuto a Firenze e trasferitosi poi a Roma, assistente all’Università, studia per partecipare a concorsi per ottenere incarichi nella pubblica amministrazione. Un amore breve perché nella corrispondenza questa volta con Ada (nel 1914) si legge della rottura del matrimonio, anzi del problema assillante  di trovare rifugio presso le amiche fidate Romelia Troise, Anita Pagliari  entrambe suffragiste per sfuggire alle persecuzioni  del marito che non si rassegnava alla fine del loro legame.

Riprende così la sua vita d’insegnante e di suffragista e, per arrivare all’obiettivo per lei fondamentale – il voto – continua la sua attività giornalistica, di attivista, conferenziera partecipando a incontri e congressi non solo in Italia ma anche all’estero. Non si fermerà neanche quando il suo corpo si ammala irreparabilmente e muore alla fine di un’operosa  giornata di lavoro a Torino, lontana dalla sua casa romana, occupata ad affermare che “non era possibile la prosperità della Patria ed il compimento della sua gloriosa missione nel mondo senza l’elevazione della dignità della  donna e la conquista per essa di ogni diritto  del cittadino”.

Fonti, risorse bibliografiche, siti

Bertolotti (a cura di), La nazione dipinta. Storia di una famiglia tra Mazzini e Garibaldi, Milano, Skira 2007

Bertolotti (a cura di), La repubblica, la scienza, l’uguaglianza. Una famiglia del Risorgimento tra mazzianesimo ed emancipazionismo, Milano, Franco Angeli, 2012

Pietro Pagni, dattiloscritto in Archivio Unione Femminile Nazionale, Fondo Sacchi, b. 36.

(Per la compilazione del profilo ho consultato documenti dell’ Archivio della Famiglia Sacchi presso l’Istituto Mantovano di Storia Contemporanea e presso l’ Unione Femminile Italiana, che qui ringrazio)

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Maurizia Camurani

Modenese, laureata in Pedagogia presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna, ha insegnato le discipline d’indirizzo presso il Liceo delle Scienze Umane della sua città. Collabora con il Comitato di Bologna dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano. Interessata alla storia della scuola e del patrimonio scolare, così come alla storia dell’educazione in particolare femminile dall’Unità d’Italia, collabora con il Museo della Scuola e del Libro per l’infanzia di Torino. Ha curato durante l’edizione 2015 del Festival della Filosofia di Modena la mostra Trasmettere sull’educazione scolare dei saperi e degli affetti.

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