Danzatrice. Era detta la Barberina. Consacrò la tendenza italiana alla danza alta, al salto, e fu lei a lanciare il ballet d’action. I contemporanei la descrissero così: “Era alta, slanciata, formosa e aveva il portamento di una deità”. Si narra fosse nata nella vicinia di San Giuseppe in Oltretorrente, un quartiere di Parma. Anche la madre Marianna, da giovane, aveva calcato le scene ed educò le tre figlie, Barbara, Marianna e Domitilla, all’amore per lo spettacolo. Solo la più grande, però, fece una brillante carriera. Barbara aveva sette anni, quando da dietro le quinte del teatro Farnese, assisté il 16 luglio 1728 al ‘carosello’ allestito per le nozze del Duca Antonio Farnese con Enrichetta d’Este: una danza a cavallo eseguita da dodici convittori del Collegio dei Nobili di Parma. Rimase affascinata e cominciò a frequentare i corsi di danza che si tenevano al Teatro Farnese. Quattro anni dopo prese parte a uno spettacolo in occasione dell’ingresso a Parma di Carlo di Borbone, giunto nel suo nuovo Ducato. Tra i festeggiamenti, vari e sontuosi, fu allestito uno spettacolo al Teatro Farnese: tra cavallerizzi è un proemio musicale e cantato, fu presente anche un carro allegorico di Parma con gruppi di giovinette: fra queste c’era l’undicenne Barbara. Dotata di grande temperamento, sapeva già ballare con grazia; decisivo fu l’incontro con il ballerino e scenografo Antonio Rinaldi detto il Fossano (dal cognome della madre). Con lui si trasferì prima a Torino e poi a Parigi. Fu l’inizio di una sfolgorante carriera.
Il 29 ottobre a Fontainebleau, dinanzi al re e insieme al Fossano, entusiasmò il pubblico. Protetta del principe Vittorio Amedeo di Carignano, ispettore generale dell’Accademia Reale di musica, ebbe a disposizione un palazzo in rue Vicienne. Apparve all’Opéra il 14 luglio dello stesso anno, nell’opéra-ballet in tre entrées su musica di J.-Ph. Rameau. Contribuì in modo decisivo al successo dei Talents tanto che le repliche si susseguirono per due mesi consecutivi. Nel novembre 1739, accettò l’invito di John Rich, danzatore e direttore del Covent Garden, a raggiungerlo in Inghilterra. All’apertura della stagione al Covent Garden, conquistò gli inglesi per la prodigiosa abilità. Il Principe di Galles, erede al trono, divenne suo ammiratore e amico. Il 29 agosto del 1742 danzò a Dublino.
Ritornò a Parigi, dove il principe di Carignano riuscì a trattenerla, solo garantendole assoluta libertà e uno stipendio di 500 lire mensili. Qui, nelle Fetes Greques et romaines, dimostrò che la danza nobile e di grande espressione le era congeniale quanto il genere brillante e pastorale. Nel settembre 1743 si impegnò con M. de Chambrier, ministro plenipotenziario del Re di Prussia, a entrare a servizio di Federico II. Terminata la stagione del Carnevale, invece di recarsi a Berlino, partì con la madre, la sorella e il giovane lord James Stuard de Mackenzie per Venezia. Solo dopo molte traversie, dovute anche a una fuga d’amore con il giovane inglese, arrivò a Berlino l’8 maggio 1744. Il 13 dello stesso mese debuttò al Teatro di Corte. Il suo palazzo alla Bahrenstrasse divenne un prestigioso salotto frequentato dalla nobiltà di Berlino. Dopo uno degli spettacoli il barone Charles Louis De Cocceji salì sul palcoscenico e, in ginocchio, le chiese la mano: la danzatrice accettò. Fino a giugno del 1748 fu applaudita in tutte le opere rappresentate alla Hofoper. Pare che il suo più gran successo sia stato negli intermezzi dell’Adriano in Siria (musica di Graun, 29 dicembre 1745) e soprattutto nel terzo che rappresenta l’avventura di Pigmalione, dove interpretava il ruolo della statua.
Si separò dal marito nel 1759 e si ritirò nel castello di Barschau acquistato per 70.000 scudi. Nel 1788 il divorzio e, il 20 luglio 1789, in una lettera a Federico Guglielmo II dichiarò di essere stata molto infelice con il marito. Chiese che le fosse concesso il titolo di contessa, con l’impegno a utilizzare i suoi beni per la fondazione di un istituto per nobili povere di Slesia. Il 6 novembre 1789 la sua richiesta fu accolta e le venne assegnato un fantasioso blasone.
L’istituto fondato fu posto sotto la protezione del Re: il motto era Virtuti asilum. Lo guidò, con tenacia e serietà, fino alla fine dei suoi giorni. Morì mentre passeggiava nel suo giardino, colpita da aneurisma: la “nobilissima Barbara Campanini” riposa nella chiesa di Hochkirch.
Barbara Campanini detta la Barberina
Fonti, risorse bibliografiche, siti
Dalcò F. (a cura), Dizionario Biografico delle Parmigiane, Donati, 2012
Dall’Ongaro G., La Barberina, De Agostini, 1987
Lasagni R., Dizionario biografico dei Parmigiani, PPS Editrice, 1999, I, pp. 821-824
Vetro G. N., Dizionario dei musicisti di Parma dalle origini al 1950, Tecnografica, 2008, pp. 80-81
Referenze iconografiche: Barbara Campanini, 1745 circa, Sanssouci. Immagine in pubblico dominio.
Fabrizia Dalcò
Esperta in politiche di genere e blogger. Dottore di ricerca in Storia, un diploma in Archivistica, Paleografia e Diplomatica, un corso di perfezionamento universitario in Esperta in politiche di parità. Appassionata di storia delle donne si occupa di progetti dedicati alla valorizzazione del pensiero femminile e alla promozione delle pari opportunità. È giornalista pubblicista e autrice del blog In genere: dedicato a donne e uomini, pubblicato dalla Gazzetta di Parma.
Ha ricevuto premi per l’attività giornalistica: Premio Speciale “Professionalità e ricerca” per il volume Dizionario biografico delle Parmigiane Rassegna Internazionale Padus Amoenus 2013; “Premio speciale” Giornalistico Nazionale “Pietro Bianchi”, Rassegna Internazionale Padus Amoenus 1999 e premi per l’attività di ricerca: Premio “Daniela Mazza” per tesi di laurea aventi carattere storico sociale su temi inerenti alle donne e al loro apporto nella società.
È autrice di saggi e articoli sulla storia di Parma. Fra le pubblicazioni: Monasteri e conventi femminili nella Parma medievale, Nuova Editrice Berti, Parma 2015; Dizionario biografico delle Parmigiane (a cura di), Provincia di Parma, Donati, Parma 2012-2014 (due volumi).