Elisa Marianna Bonaparte Baciocchi, sorella di Napoleone moglie di Felice Baciocchi.
Teresa Bandettini, celebre poeta improvvisatrice nota nei salotti di quel tempo con lo pseudonimo di Amarilli Etrusca.
Gli anni della maturità artistica e umana di Teresa Bandettini coincidono prima con un tempo accelerato, un periodo storico convulso in cui crollano tumultuosamente istituzioni e consuetudini, mutano rapidamente rapporti di proprietà e ceti dirigenti, comportamenti e stili di vita, poi, negli anni immediatamente successivi, corrispondono a una sempre più diffusa e condivisa aspirazione alla stabilità e alla tranquillità viste come la premessa necessaria per il progresso, per lo sviluppo economico, per realizzare, finalmente, buoni affari.
Il turbine giacobino trascorre velocemente, frenato nel nostro Paese – e in modo particolare a Lucca – dalla scarsità e immaturità dei suoi quadri e dalla ostilità in alto dell’aristocrazia e del clero e in basso dall’avversione sanfedista e dai Viva Maria. Particolarmente forte nelle campagne della Penisola e anche della Toscana (per non parlare dei francesi, che in pochi anni avevano imparato a diffidare della Rivoluzione e dei suoi protagonisti) subentra un desiderio, tutt’altro che effimero, d’ordine e di legalità.
Vogliamo fissare una data spartiacque che sancisce questo prima e questo dopo? Eccola: il 14 luglio (notate la densità simbolica di riferimento di questo 14 luglio!) 1805, quando, a mezzogiorno preciso, Elisa Marianna Bonaparte, sorella di Napoleone incoronato imperatore il 2 dicembre 1804 in Notre Dame da papa Pio VIII, e suo marito, Felice Baciocchi, fanno il loro ingresso nella città di Lucca, trasformata da Repubblica “democratizzata” in Principato di Lucca e Piombino. Così scrive a proposito di quel giorno un testimone oculare, l’abate Jacopo Chelini, un nostalgico della repubblica aristocratica. Quell’ingresso “esser non poteva né più significativo né più brillante” ma, allo stesso tempo, “né più quieto né più melanconico perché non ci potevamo scordare la dolce Libertà che andavamo a perdere”. Così descrive il momento culminante di quella giornata Eugenio Lazzereschi, archivista e storico della prima metà del secolo scorso, documentato e scrupoloso della storia lucchese:
Il corteo si apriva con cento cavalieri della Guardia Imperiale, e quattro distaccamenti di Guardia d’Onore delle principali città d’Italia. La carrozza delle loro Altezze Imperiali Serenissime era a sei cavalli, scortata da sei scudieri e seguita dalle molte altre della Corte, dei Ministri e dei Consiglieri dello Stato. Alla porta Santa Maria del Giannotti si presentarono sopra un cuscino di velluto le simboliche chiavi d’argento, mentre tuonavano le artiglierie e tutte le campane erano sciolte a festa. Felice solo discese dal cocchio, pose la destra nel segno del possesso della città e, corruscante di decorazioni e di orpelli, saltò agilmente in sella, nonostante i suoi quarantatré anni suonati e un principio di pinguedine. Nessuno del popolo folto, ma che non dava manifestazioni di gioia, aveva ancora veduto la Principessa; ma le dame d’onore che le avevano fatto riverenza nella canonica di San Vito, potevano dire che, dopoché aveva lasciato l’abito del suo rapido viaggio da Genova a Bologna e di là a Pistoia, dove pernottò, che Elisa era davvero raggiante nel riflesso iridescente del suo diadema di brillanti, e maestosa come deve essere una pallida regina, sotto il peso del manto di velluto.
Magnificenza, lusso, sfarzo, apparati, ostentazione dei simboli del potere, formalismi ad alta concentrazione simbolica. Elisa, intorno alla sua persona imperiale, innalzerà una barriera di ben duecentocinquantatré articoli in tema di etichetta che contengono prescrizioni più severe, più dettagliate, più minuziose di quelle in vigore presso il palazzo delle Tuileries, sede per secoli dei re di Francia e ora residenza imperiale.
Gli eroici furori giacobini sono ormai alle spalle a Parigi e ancora di più a Lucca. Ce lo dice il fatto che alla fine del luglio 1805 in piazza San Michele viene rimosso l’ultimo albero della libertà con tutto il corollario di manifestazioni che gli si svolgeva intorno, per essere sostituito da cerimonie ben più tradizionali: come il Te Deum, del 29 giugno 1805 nella cattedrale di San Martino, per ringraziare Dio dell’istituzione del nuovo governo.
I nuovi detentori del potere a Lucca, come a Milano, come a Parigi, dopo la parentesi rivoluzionaria, tornano all’antica alleanza trono-altare, col secondo, l’altare, subalterno al primo: Napoleone, a Parigi, il 2 dicembre 1804, in Notre Dame, si era incoronato da sé. Ma Lucca è lontana da Parigi e nella piccola città toscana la situazione si presenta piuttosto delicata: quella che s’insedia nell’estate 1805 è una dinastia straniera, imposta con la forza da un potere imperiale, senza rapporti tradizionali con il territorio, sopportata con pazienza italica nel migliore dei casi, accettata opportunisticamente in nome dell’antico cinismo italico per cui: “Francia o Spagna purché se magna”. Elisa e Felice si rendono conto che l’antica aristocrazia non è loro favorevole; ancor meno il clero, tassato nei suoi beni, spossessato delle sue ricchezze, sanno che le nostalgie per gli antichi ordinamenti sono larghe e diffuse e tiepide le simpatie.
A Elisa, Lucca appare anche troppo quieta, quasi addormentata in un sonno profondo. Nei suoi programmi c’è l’intenzione di svegliarla, questa città, renderla più dinamica, moderna, vivace, imperiale. Più francese.
L’abate Chelini, testimone e acuto osservatore dei fatti del principato, non può fare a meno di notare in più di un’occasione questa caratteristica: quando i principi vanno a tavola per il pranzo, ovvero tra le cinque e le sei del pomeriggio “mangiano in men di mezz’ora, perché tutto deve farsi con prestezza”. La tavola dei principi dura appena trenta minuti, mezz’ora, perché all’uso francese deve tutto farsi con la massima celerità.
E il terreno su cui Elisa, in maniera quasi febbrile, investe per la trasformazione della città, per la sua modernizzazione è quello della cultura, dell’innovazione culturale: balli, feste e luminarie si accompagnano a profonde trasformazioni urbanistiche, la musica al teatro, la pittura alle attività editoriali.
A Modena la Bandettini si era esibita davanti a Napoleone, aveva puntato a prendere il posto del Metastasio; a Verona si era tirata addosso l’accusa di filogiacobinismo, aveva flirtato metaforicamente – ma forse non solo – con un paio di generali francesi per ottenere una pensione con cui mantenere se stessa, la famiglia e l’arte. E la pensione arriva, un po’ tardi, ma arriva nel 1804 grazie a Francesco Melzi d’Eril (1753-1816), vicepresidente della Cisalpina, poi cancelliere guardasigilli del Regno Italico, la più importante personalità milanese di epoca napoleonica. E in quel 1805 che vede l’inizio della Lucca napoleonica è per la Bandettini l’anno della Teseide, un poema epico in venti canti, iniziato nel 1799, il poema che “manca al nostro cadente secolo”: non più versi estemporanei, magari raccolti a stampa, ma versi pensati, meditati, stampati in una veste tipografica “bella ma dispendiosa”: come dire, una sorta di negazione di tutto ciò che le aveva dato fama e onori: ovvero l’improvvisazione con quanto c’era in questa attività di teatrale, gestuale, interpretativo, mimico, allusivo in cui la Ballerina Letterata, L’improvvisatrice commossa era indiscussa maestra.
Se la Bandettini è ferma e non vede o non sa rinnovare la sua arte, Lucca, invece, va avanti, cambia, e grazie alla determinazione di Elisa, a partire dalla forma urbana punta a trasformarsi in una vera capitale moderna. Primo fra tutti il Palazzo, sede del potere civile, che acquista le fattezze monumentali di una reggia, tra le più eleganti e maestose d’Italia, grazie agli interventi degli architetti Pierre Theodore Bienaimé e Giovanni Lazzarini, gli stessi a cui è affidato il compito di portare un po’ di Parigi a Lucca con la piazza Napoleone (1806) e via Elisa a Porta Elisa, aperta nel 1809 per simbolicamente rivolgersi e non più chiudere verso Firenze, nel momento in cui a Elisa è conferito il titolo di Granduchessa d’Etruria.
Donna colta, Elisa, amava la lettura di Plutarco e del prete preromantico inglese Edward Young, autore delle Notti, ma la sua passione vera era il teatro, Corneille, Racine, Moliere: giunta a Lucca da solo un mese, si adopera perché nel teatro di Bagni di Lucca sia messa in scena una Fedra di Racine in cui non si fa scrupolo di recitare così come aveva già fatto in Francia col fratello Lucien nel castello di Plessis e a Parigi.
Invitata dalla principessa, più di una compagnia teatrale francese si esibì al teatro Castiglioncello di Lucca; ma sia i comportamenti non proprio esemplari delle attrici francesi, sia i modesti successi dovuti alla scarsa affluenza di un pubblico che non conosceva il francese, le fecero diradare questi interventi, sino a cessarli del tutto.
Meno sensibile alla musica, Elisa intercettò, però, a Lucca importanti tradizioni musicali: intanto la presenza in città, del 1800, di Niccolò Paganini, primo violino dell’orchestra della Repubblica. Inizialmente il rapporto tra i due non è facile. La principessa preferisce affidare i ruoli d’autorità alla persone di maggiore anzianità e così Niccolò perde il suo incarico prestigioso. Per riconquistarlo, però, in breve tempo, insieme al titolo di Capitano d’Onore delle Guardie e a un posto privilegiato nel cuore di Elisa. Una relazione amorosa durata alcuni anni, complicata e tormentata, dai caratteri egocentrici e spigolosi dell’uno e dell’altra. Un sodalizio erotico/artistico/di potere che si scioglie definitivamente col trasferimento di Elisa a Firenze nel 1809 e che coincide col congedo di Paganini dalla corte lucchese. Una parentesi relativamente breve quella del virtuoso compositore genovese, mentre la continuità della vita musicale lucchese è affidata e mantenuta dalle attività, dal lavoro musicale indefesso di Domenico Puccini, il nonno di Giacomo, musicista eclettico, “buon pianista e buonissimo suonatore d’organo”. Maestro della Cappella di Palazzo e organista della Cattedrale, svolse una frenetica attività musicale di cantate politiche e d’occasione per le più diverse occasioni e festività: onomastici e compleanni dei principi, dell’imperatore, vittorie militari e maternità napoleoniche.
Una musica che se si piega a fini politici e propagandistici riesce sempre a mantenere carattere di qualità, decoro, dignità formali e fa da vera colonna sonora alle importanti trasformazioni che Elisa introduce in un corpo sociale ancora asfittico, ancora lento per un’immobilità durata troppo a lungo: i beni dei conventi sono trasformati in beni demaniali. E queste nuove risorse sono investite in opere di beneficenza e di utilità pubblica. Sono ampliati e centralizzati gli istituti caritativi, risanate le carceri, potenziate le istituzioni culturali: per le opere d’intelletto sono previsti premi e gratifiche; è costituita la Biblioteca Pubblica; l’Accademia degli Oscuri, le cui origini risalivano al 1584, diviene Accademia Napoleone, organizzata secondo i diversi rami delle arti e delle scienze per quaranta accademici, mentre tra i soci corrispondenti è da annoverare il meglio della cultura europea: Monti, Paisiello, Canova, David, Volta, Laplace sono solo alcuni.
Ma fanno cultura anche le feste e i divertimenti, il 14 luglio, ribattezzato festa della Concorde; il 15 agosto, compleanno dell’imperatore il 2 dicembre anniversario dell’incoronazione e della vittoria di Austerlitz; il 3 gennaio anniversario della nascita di Elisa e dei suoi figli, Elisa Napoleona il 3 giugno e Girolamo Carlo Napoleone il 3 luglio, che non visse neppure un anno. Poi il 18 maggio, san Felice per il Baciocchi, suono di campane spiegate, spari di spingarde, messa solenne con musica in San Martino; la tradizionale festa della Santa Croce, mentre si diffonde il piacere dell’acqua e delle terme a Bagni di Lucca e fanno la loro apparizione, timidamente, i bagni di mare a Viareggio, il porto franco dei lucchesi dove giocare e spesso rovinarsi a biribisso e praticare per le festività religiose lauti digiuni a base di eccellenti piatti di pesce.
A Lucca si contano cinque cioccolatieri e sette caffeanti, mentre da Parigi non mancano nuovi arrivi di bottiglie di champagne per la mensa dei Principi, che amano combattere la calura estiva con sorbetti e gelati. Lucca si va sempre più configurando come capitale e città sempre più europea: una felice e fortunata stagione che cominciò a oscurarsi nel 1812 con la campagna di Russia, la sconfitta e il ritiro tragico dalla steppa della Grande Armata: un’eco di questa vicenda la cogliamo in una diffusissima canzone popolare, Partire, partirò, partir bisogna.
Il 14 marzo 1814, prima dell’Elba, Elisa lascia definitivamente Lucca: tre carrozze scortate dalla Gendarmerie escono in piazza Napoleone ancora avvolta dal buio della notte. Sulla carrozza, destinazione Massa via Viareggio, fanno compagnia a Elisa, la figlia Napoleona e il giovane Lucchesini, il nuovo amore della ormai ex principessa, che, d’ora in poi dovrà accontentarsi del più modesto titolo di contessa di Compiegne!
E Teresa Bandettini? Cade in piedi: fedele alla vocazione di “poeta del consenso”, propria di (quasi) tutti i letterati: si acconcia al nuovo potere.
Maria Luisa di Borbone Spagna è una sua ammiratrice, le manterrà la pensione, ottenuta in età napoleonica ed è così entusiasta della anziana poetessa lucchese, che vuole trascrivere e conservare tutti i suoi testi. Un’intenzione tradotta in pratica dal figlio, il bizzarro Carlo Ludovico, che farà pubblicare Poesie estemporanee di Amarilli Etrusca nel 1835.