Annie Oakley (Phoebe Ann Moses)

Willowdell (Woodland all’epoca, Ohio) 1860 - Greenville (Ohio) 1926
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“Annie Oakley” è il nome scelto per se stessa da Phoebe Ann Moses (o Mosey, ci sono alcune controversie sul suo cognome) a partire dalla sua partecipazione al “Buffalo Bill Wild West Show” nell’aprile del 1885. Una partecipazione che l’ha trasformata in esponente del nascente “star system” americano e, insieme ad altre centinaia di tiratrici scelte rese celebri da questa forma di spettacolo, del cosiddetto “primo femminismo” — quello che aveva trovato espressione nella Declaration of Sentiments approvata dal primo Congresso sui Diritti della Donna, tenutosi a Seneca Falls nel 1848.

Anything you can do I can do better, I can do anything better than you (“Qualunque cosa tu faccia, io posso farla meglio, meglio di te posso fare qualunque cosa”) è il modo in cui Annie letteralmente canta al suo ragazzo quel principio di “uguaglianza”, nel senso di rifiuto del pregiudizio sessista, dal quale vuole siano caratterizzati i loro rapporti. Qui Annie è la protagonista dello spettacolo intitolato Annie Get Your Gun (Annie prendi su il fucile), inaugurato a Broadway nel 1946.

Da allora fino ad oggi, Annie Get Your Gun viene replicato senza interruzioni nelle scuole superiori statunitensi, seppure con tagli e ritocchi per adeguarsi al “politicamente corretto” vigente, allorquando e laddove la rappresentazione deve essere messa in scena dagli studenti. Ad esempio, nella versione di Broadway perde di proposito la gara di tiro al bersaglio con Frank Butler, al fine di conquistare il suo cuore: un gesto di sottomissione strategica che, invece, la vera Annie non mise in atto — e forse non si sarebbe mai nemmeno sognata di farlo. Già poco dopo la sua morte negli anni ‘20, del resto, Annie Oakley era diventata un personaggio di libri per bambini, costruito in modo da non risultare troppo fastidioso per gli adulti e i loro ruoli sociali basati sul genere. Fatto sta, d’altra parte, che sparare con un fucile era e rimane un comportamento considerato mascolino.

Nell’andare alla ricerca della “vera” Annie, nata nel 1860 in un paesino dell’Ohio, oggi Willowdell ma chiamato Woodland all’epoca, bisogna insomma tener presente la successiva sovrapposizione di vari strati di finzione, non sempre dichiarati come tali e non necessariamente smascherabili in quattro e quattr’otto.

Nel 1901, incontrando gli eredi al trono d’Inghilterra, dopo che avevano assistito alla sua esibizione circense con Buffalo Bill e Toro Seduto come comprimari, premessa una dichiarazione sull’eguaglianza della donna “americana” di cui non sembra siano rimaste le esatte parole, Annie snobba la stretta di mano del principe Edward per andare a stringere prima la mano alla di lui moglie, principessa Alexandra (la regina Vittoria era morta da poco). Un comportamento, verbale e non verbale, inequivocabilmente e coraggiosamente “femminista”, per l’epoca — ma, riflettendoci un momento su, forse ancora oggi non del tutto “normale” (nel senso negativo del termine).

A qualche anno prima, il 1898, risale una sua lettera (su propria carta intestata “Annie Oakley” che elenca i suoi spettacoli nelle capitali europee) al Presidente degli Stati Uniti William McKinley, dove, dopo aver espresso “fiducia” (malriposta, alla luce degli eventi successivi) nel fatto che grazie alla sua “ragionevolezza” avrebbe evitato la guerra contro la Spagna, gli offriva in caso contrario (in caso di guerra) di arruolare e mettere a disposizione dell’esercito statunitense “50 signore tiratori scelti”. Un’offerta che Annie avrebbe reiterato anni dopo al Presidente Wilson, al profilarsi della Prima guerra mondiale. Come il suo predecessore McKinley, anche Wilson non sembra l’abbia nemmeno degnata di una risposta. Naturalmente senza che per questo Annie abbia rinunciato a migliorarsi nel tiro al bersaglio — e tantomeno a battersi per la causa dell’uguaglianza di genere, insegnando a migliaia di donne a servirsi del fucile (oltre 15.000, secondo Laura Browder).

I genitori di Annie, come veniva chiamata in famiglia, erano di religione quacchera. Che è come dire la forma irriducibile a ogni forma di autorità costituita del protestantesimo, animata dalla fede nella “luce interiore” che in ogni individuo ha il diritto-dovere, provenendo da Dio in persona, di “risplendere” improntando tutti i rapporti sociali sul valore dell’“amicizia” — e, ovviamente, della “non violenza”. A Seneca Falls, come al connesso movimento “abolizionista” della schiavitù degli afroamericani, i quaccheri parteciparono con entusiasmo.

Sesta di otto figli rimasti orfani del padre, secondo la versione ufficiale della sua storia tuttora improntata ai valori dell’indipendenza individuale da tutto e da tutti, si dice che Annie abbia imparato di sua iniziativa e da sola a sparare con il vecchio e abbandonato fucile paterno. Ancora bambina di sette anni, va a caccia di selvaggina nei boschi per procurare un reddito alla madre rivendendo lei stessa il bottino. Ha la sventura, conseguente alla morte del padre quando ha solo sei anni, di essere ceduta per vari anni come serva a una famiglia che freddamente e duramente come tale la tratta.

Non sbaglia un colpo e grazie a questa sua abilità, considerata maschile e attivamente scoraggiata in una ragazza, ma che lei considera “naturale”, nel 1875 vince una gara contro un tiratore scelto, Frank Butler, che diventerà poi il suo compagno di vita e suo marito.
All’ingresso dei due nell’embrionale “star system” statunitense (imperniato all’epoca sul circo di “Buffalo Bill”), lui in veste di agente e lei di protagonista dello spettacolo, si lega anche il suo rapporto con Toro Seduto — che, come racconta nella sua purtroppo non completata autobiografia, l’adotta come sua figlia.

Annie va fiera della sua legittima identità Sioux, in tempi non lontani dal massacro dei soldati e del generale Custer a Little Big Horn, per opera dello stesso Toro Seduto nel 1876. Dichiara che il suo padre adottivo “ha combattuto giustamente, dopo che il suo popolo, privato dell’eredità che aveva ricevuto da Dio, era costretto a subire promesse non mantenute“.

Naturalmente, anche su Annie Oakley vennero scagliate accuse infamanti. Nel suo caso di essere legata al nascente, anche quello, traffico della cocaina. Innocente, si difese con successo nelle corti di ogni ordine e grado, anche se, a dimostrazione che le ingiustizie sociali spesso colpiscono in modo indiretto e inaspettato, spendendo in avvocati una cifra superiore a quella che ottenne come risarcimento. Il patrimonio accumulato come prima attrazione dello spettacolo di Buffalo Bill, comunque, le consente di permettersi questo ed altro.

Continua a migliorarsi segnando un nuovo record a sessantadue anni, nel 1922, quando centra con il suo fucile cento bersagli mobili uno dopo l’altro — da una distanza di quindici metri. Si riprende da un brutto incidente stradale e continua a migliorarsi, segnando nuovi record ancora nel 1924. Con una serie di articoli pubblicati su un quotidiano nel 1925 inizia a scrivere la propria autobiografia.

Nel 1926, quando muore, si scopre che il suo patrimonio l’aveva speso in donazioni alla Croce Rossa, a orfanotrofi e altre organizzazioni caritatevoli, oltre che per aiutare la sua famiglia a sopravvivere, e, ultimo ma non da ultimo, molte giovani donne a farsi strada nel mondo degli uomini.

Fonti, risorse bibliografiche, siti

Wikipedia (inglese) (https://en.wikipedia.org/wiki/Annie_Oakley)

The Annie Oakley Center Foundation Inc. (https://annieoakleycenterfoundation.com)

Laura Browder, Her Best Shot: Women and Guns in America, 2009

Referenze iconografiche: Annie Oakley in posa con un fucile. Immagine in pubblico dominio.

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Francesco Ranci

Nato a Milano nel 1964, consegue una laurea in scienze politiche e un dottorato in sociologia. Dal 2010 vive negli Stati Uniti, ove insegna scienze sociali e cultura italiana. È membro della Società di Cultura Metodologico-Operativa e redattore di «Methodologia - Pensiero Linguaggio Modelli». Ha curato la seconda edizione di La mente vista da un cibernetico, di Silvio Ceccato (2017) e l'edizione italiana dei primi due saggi pubblicati da Erving Goffman, Simboli di appartenenza a una classe sociale e Sul rinfrescare le idee al pollo (2016).

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