Anna Marengo nasce a Fossano il 29 gennaio del 1915. Il padre, Vincenzo Marengo, è sellaio, mentre la madre, Maria Fruttero, casalinga. La sua propensione per lo studio spinge i genitori, non senza sacrifici economici, a iscriverla a un collegio di religiose a Cuneo dove frequenterà il liceo classico: l’unico modo, affermerà lei stessa, per evitare le scuole statali ormai completamente monopolizzate dal fascismo.
È soprattutto il padre, di tendenze anarchico-socialiste, a insegnarle il significato della libertà: costretto dalle leggi fasciste a iscriversi al partito per continuare a esercitare il suo mestiere, decide di chiudere bottega e andare in pensione. La madre, invece, fervente cattolica, sogna per la figlia un futuro da insegnante.
Contravvenendo in parte al desiderio materno e alle convenzioni sociali – che assegnavano la professione medica a un ambito strettamente maschile – terminato il liceo Anna si iscrive all’Università di Torino e nel 1939 si laurea in Medicina. In questi anni conosce anche l’uomo che determinerà quasi tutte le sue scelte future: l’ungherese Janos Beck, studente alla Facoltà di Chimica.
Ben presto però i due dovranno separarsi perché Janos decide di arruolarsi nelle Brigate internazionali e partire per la guerra di Spagna. Dopo qualche mese, Anna viene a sapere che i volontari in partenza per la Spagna si radunano a Parigi e decide di raggiungerlo. Così nel 1938 è nella capitale francese ed è qui che entrerà in contatto per la prima volta con alcuni rappresentanti del Partito comunista. Il trasporto del tutto ‘sentimentale’ verso quelle teorie si rivela come una folgorazione durante un comizio di Dolores Ibàrruri, la “Pasionaria”, grazie alla forza con cui la donna arringa la folla.
L’esperienza parigina rappresenterà un passaggio importante: qui entra in contatto con parecchi fuoriusciti italiani che rivedrà negli anni successivi alla Liberazione. Tornata in Italia, nel ’40 si specializza in Ginecologia a Siena e l’anno successivo viene a sapere che Janos è tornato in Ungheria dopo aver trascorso un periodo di prigionia in Francia. Decide di raggiungerlo lasciando l’Ospedale Mauriziano di Torino presso il quale aveva appena iniziato a lavorare.
A Budapest però la situazione diventa sempre più difficile e con l’occupazione tedesca Janos, di origini ebraiche, è vittima delle persecuzioni razziali. Preoccupato per lei, con una scusa la convince a rientrare in Italia e le compra un biglietto del treno; una volta tornata a casa, la lettera di un’amica la persuade a non tornare in Ungheria. Da questo momento non avrà più alcuna notizia di Janos e passeranno molti anni, finirà anche la guerra, prima che i due possano di nuovo incontrarsi.
Quindi Anna arriva a Vercelli per lavorare nel reparto di ostetricia dell’Ospedale Maggiore. Qui entra in contatto con i Gruppi di difesa della donna, conosce Mimma Bonardo e Luigina Tomatis e, in seguito ad uno sciopero, viene arrestata e processata dal Tribunale speciale di Torino.
Rilasciata per insufficienza di prove, il direttore dell’ospedale non vuole comunque riassumerla perché ormai compromessa politicamente. Riesce ugualmente ad ottenere un posto al pronto soccorso ed è qui che aiuterà parecchi militari alleati e civili dopo l’8 settembre del ’43.
Nell’estate del ’44 la sua posizione in ospedale diventa però troppo rischiosa e decide di “salire in montagna” unendosi alla brigata di Pietro Camana “Primula”. Qui il suo lavoro consiste nello spostarsi tra le varie brigate per visitare e curare i partigiani. Nella primavera del ’45 le viene affidato il “lavoro politico” e sarà questo l’inizio della militanza nel Partito comunista: nel ’46, infatti, è candidata alla Costituente insieme con Palmiro Togliatti, Francesco Moranino, Francesco Leone, Guido Sola Titetto e Vincenzo Moscatelli.
Non sarà eletta, ma nello stesso anno la troviamo nel Consiglio comunale di Vercelli: prima assessore alla Sanità nell’amministrazione guidata da Francesco Ansaldi, poi come consigliere con il sindaco Domiglio. In questo ruolo si occuperà di servizi sociali e si batterà per l’istituzione del “Libretto unico di assistenza” per poi essere la promotrice di un progetto di educazione alla pace.
La sua vita cambia repentinamente direzione quando, nel 1948, viene a sapere che Janos è ancora vivo ed è in Ungheria. Ancora una volta decide di lasciare l’Italia, di rinunciare all’impiego presso l’ospedale di Vercelli (dove aveva ripreso a lavorare) e di raggiungerlo.
La sua permanenza nella nuova Repubblica popolare ungherese sarà ancora una volta brevissima: nel giugno del ’49 Janos, che all’epoca aveva iniziato a lavorare presso il Ministero degli Esteri, viene arrestato perché coinvolto nelle vicende del processo Rajk. Condannato, sconterà sette anni di carcere, fino al 1955, quando sarà riabilitato.
Sono questi gli anni più duri: pur avendo trovato lavoro in un ospedale della periferia di Budapest, alla fine del 1951 Anna decide di tornare in Italia, senza aver conosciuto né i capi di accusa né i motivi dell’arresto di Janos, del quale non saprà più nulla. Non sarà mai interrogata, né perseguitata, ma ciò che più la sconvolge è l’assoluta mancanza di informazioni.
La situazione in Italia non sarà migliore: costretta a tornare a Fossano, dove ormai non ha più nessuno, apre un piccolo studio privato che non le offre la possibilità di mantenersi; sarà così costretta a cercare ‘appoggi’ per superare uno dei tanti concorsi ospedalieri ai quali parteciperà. L’appartenenza politica è l’ostacolo maggiore. Per questo motivo si rivolge, non senza contravvenire ai suoi principi, a Piero Fornara per chiedere aiuto, vista la comunanza professionale e politica. In questa situazione disperata arriva finalmente una buona notizia: il suo racconto “Una storia non ancora finita” è stato selezionato dal Premio letterario Prato e si è classificato al primo posto.
L’incertezza economica invece si protrae fino al 1954 quando vince un posto presso l’ospedale di Savona. Anche questi anni non saranno però tra i più felici: sola e senza la possibilità di avere notizie dall’Ungheria, racconterà ad Argante Bocchio (il partigiano “Massimo”) che è questo il momento peggiore della sua vita.
Verso la fine dell’anno arriva finalmente la notizia che attendeva da anni: Janos è stato rilasciato perché le accuse a suo carico sono state dichiarate infondate; nel giro di un anno è riabilitato e i due potranno finalmente sposarsi nel febbraio del 1955. L’anno successivo Anna deciderà di acquisire la cittadinanza ungherese mentre Janos tornerà a lavorare per il Ministero degli Esteri. Nominato ambasciatore, dal 1959 lo troviamo a Cuba con Anna che, in veste di moglie dell’ambasciatore, collaborerà all’organizzazione del sistema sanitario cubano. In questi anni intraprenderà, da sola, un viaggio attraverso l’America Latina di cui lascerà traccia in una lunga lettera inviata ai giovani pubblicata durante gli anni settanta.
Tornati in Ungheria negli anni ottanta, i due decidono di ritirarsi nella casa di riposo di Miskolc Tapolca dove trascorreranno gli ultimi anni della loro vita. Janos Beck si è spento nel 2001, Anna sei anni dopo, il 21 luglio del 2007. Da giugno del 2022 la sede dell’ANPI di Vercelli è intitolata alla dottoressa Anna Marengo Beck.