” La mia arte si fonda sulle accumulazioni primordiali, sulle pulsioni inconsce che animano il mondo, non nel tentativo di riscattare il passato, ma piuttosto nel confronto con il vuoto, l’orfanotrofio, la terra non battezzata dell’inizio, il tempo che dall’interno della terra ci guarda.”
Nasce il 18 novembre 1948 all’Avana (Cuba), in una famiglia benestante e ben inserita nell’ambiente politico e sociale del paese. I suoi genitori sono Raquel Oti de Rojas, chimica e ricercatrice, e Ignacio Alberto Mendieta de Lizáur, avvocato presso il dipartimento statale di Cuba. Il padre Ignacio è nipote di Carlos Mendieta, designato alla carica di Presidente di Cuba (1934-1935) da Fulgencio Batista, futuro dittatore del paese. Anche il bisnonno materno di Ana, Carlos Maria de Rojas, ha inciso nella storia locale, come comandante della Cardenas Brigade e generale dei ribelli Mambi nella “Guerra di Indipendenza” dalla Spagna (1895-1898).
Queste imprese militari e i loro retroscena politici sono racconti frequenti nell’infanzia di Ana. La nonna ne è la principale portavoce e li descrive in modo così intrecciato alla storia della famiglia da instaurare nella bambina un fortissimo senso di appartenenza, al punto che Ana – da adulta – dichiarerà: «Cuba è una relazione personale che ho, nel senso, molto reale» (1987). Questo processo di “politicizzazione” avviene soprattutto nella casa sul mare a Varadero, dove la famiglia trascorre le vacanze con i numerosi parenti.
Ed è proprio sulle spiagge di Varadero che Ana viene iniziata anche all’arte. Come ricorda la cugina Raquel “Kiki”, da bambini giocavano molto con la sabbia e Ana era solita modellare questi cumuli, creando silhouette di donne prosperose, i cui grossi seni scatenavano il riso di tutti i partecipanti. Questi elementi – l’acqua, la sabbia o la terra, e il corpo – ritornano anni dopo nella sua ricerca artistica (Sandwoman, 1983-1984). Tuttavia la consapevolezza di essere artista arriva solo al liceo e, per il momento, Ana vive la sua infanzia nell’affetto e nella religione cattolica e politeista, come la Santeria.
Nel 1959 la storia di Cuba irrompe nuovamente in quella della famiglia: Fidel Castro rovescia la dittatura di Batista e instaura il governo socialista – poi marxista-leninista. Il padre di Ana si dimette e, poco dopo, aderisce alla controrivoluzione. Ignacio e Raquel temono anche per l’educazione religiosa delle bambine, minacciata dalla laicità del nuovo regime. Ma c’è una speranza: l’Operazione Peter Pan, il progetto della Chiesa Cattolica che vuole screditare la Rivoluzione Cubana, alimentando l’immigrazione di bambini negli Stati Uniti e in altri paesi. È tuttavia una speranza che impone la separazione delle famiglie e che segna l’inizio dell’esodo. Ana e Raquelín (la sorella maggiore di due anni) lasciano Cuba nel 1961. Il momento della partenza è estremamente eccitante, tra bambini che cantano e sognano mille avventure al di là del confine. Una volta atterrati, però, la realtà si presenta ben diversa: negli States sono improvvisamente “bambini sperduti”, giunti in un paese di cui non conoscono nulla, né la lingua né la gente. Le due bambine sono abbandonate a loro stesse e costrette a un continuo spostamento tra orfanotrofi e famiglie adottive. Tra le loro prime mete c’è un istituto per giovani delinquenti a Dubuque. Immediatamente Ana e Raquel capiscono che le loro origini, la loro storia non contano più; agli occhi degli altri, sono straniere, quasi criminali. Possono contare l’una sull’altra, ricordandosi ciò che sono. Restano insieme fino a quando Raquelín comincia l’università e Ana viene adottata, separandosi dalla sorella per la prima volta.
Passa il tempo e Ana è ormai un’adolescente. Frequenta il liceo a Dubuque, dove subisce molti episodi di discriminazione razziale e bullismo. È un dolore quotidiano che affronta da sola, facendo leva sul suo carattere, combattiva e sensibile. In lei vive quello stesso spirito tenace che spinge la madre e il fratellino Ignacio a imbarcarsi su un Freedom Flight (un ponte aereo per gli States permesso da Castro per alimentare l’esodo e liberarsi dai dissidenti politici), per fuggire dalla dittatura e raggiungere Ana a Dubuque. Il padre Ignacio è invece costretto a restare nel paese, perché ancora prigioniero politico (arrestato nel 1962, sarà liberato nel ’78 e potrà riunirsi alla famiglia negli States, ma morirà l’anno seguente). Così, nel 1966, Ana riabbraccia i suoi cari, la sua storia.
Cambia liceo, studia con interesse il francese e scopre l’arte, trovando uno spazio in cui poter esprimersi. Conseguito il diploma si iscrive all’Università di Iowa, dove dipinge e frequenta le lezioni di Hans Breder, artista eclettico e ben inserito nel panorama internazionale dell’arte (partecipa fra l’altro agli Happening Fluxus) e introduce i suoi studenti alle pratiche multimediali e all’intermedia (l’uso combinato delle discipline); insegna loro che la performance è un medium critico ed espressivo. Ana ne è conquistata e abbandona la pittura per seguire l’insegnamento di Hans, diventando ben presto la sua pupilla. L’intesa tra i due è tale da divenire collaboratori e compagni per molti anni.
Da questi nuovi e forti stimoli, nasce la serie Siluetas (1973-1980), il lavoro più noto e longevo di Ana. Si tratta per lo più di foto e video che documentano le performance avvenute lontano dal pubblico, in cui l’artista usa direttamente il suo corpo. Lavora in contesti naturali, specialmente in Messico, dove trascorre lunghe giornate estive in solitudine. Tra gli elementi impiegati predilige la “Madre Terra”, sia come materiale da modellare sia come “luogo originario” a cui l’artista – ancora esule – può far ritorno attraverso il rituale della performance. Eppure nella documentazione a posteriori il corpo di Ana non compare quasi mai: attraverso la sua assenza, vuole invitare lo spettatore a identificarsi, a colmare quel vuoto con le proprie storie. Altre volte, invece, le storie altrui diventano il soggetto stesso dell’opera, perché testimoni di violenza o abusi che l’artista non può ignorare (Rape Scene, 1973).
Ana è sempre più attenta alla figura femminile nella società moderna e ciò l’avvicina al dibattito femminista di quegli anni, confluendo nell’A.I.R. (Artists in Residence, una galleria di artiste per artiste) a New York. Nella Grande Mela arriva dopo l’università, per cercare di farsi strada nel mondo dell’arte. Qui intesse una rete sociale molto stimolante: all’A.I.R. incontra Carl Andre, artista di punta del Minimalismo, che dal 1980 diviene suo compagno (a Raquelín, Ana confessa di frequentare «un artista di calibro Olimpico»); conosce artisti e poetesse con cui discute di femminismo (collabora alla rivista femminista “Heresis”), giustizia sociale, spiritualismo e musica; fa parte di gruppi di discussione di politica, arte, cultura cubana e afro-americana. Le sue opinioni e la sua posizione pro-Cuba sono così forti da esserle di ostacolo nella carriera. Perciò, per finanziare la sua ricerca, svolge diversi lavori e partecipa a concorsi artistici. Come ricorda Jayne Cortez (poetessa e amica): «Ana non avrebbe mai rinunciato alle sue convinzioni per la carriera».
Proprio in quegli anni, anche Castro (interessato a riacquisire i favori dell’opinione politica internazionale) sta dialogando con le comunità di esiliati cubani. Il negoziato, noto come “El Dialogo”, permette ai prigionieri politici di emigrare negli States e ai concittadini esiliati di rientrare a Cuba. Ana vi fa ritorno nel 1981. È un viaggio estremamente intenso, «perché, camminando per la strada, era come se stesse rivivendo o rianimando qualcosa che tante volte aveva creduto perso per sempre» (Raquelín, 1987). Ana è così affezionata alla sua Cuba da volerlo esprimere: scolpisce sulle rocce del parco naturale di Jarunco le Escluturas Rupestres, forme che ricordano simboli ancestrali e senza tempo – come Ana descrive il sentimento di appartenenza alla (propria) Terra.
Quando Ana rientra a New York, però, il piccolo spazio del suo studio non può più contenere la sua vitalità. Sceglie una residenza artistica a Roma, che le dà la possibilità di vivere e lavorare in un grande studio immerso nel verde presso l’American Accademy (1983). Nella Città Eterna Ana trascorre più di un anno, viaggiando in Italia e in Europa insieme a Carl, sulla sua Volkswagen. Stringe amicizia con molti artisti ed esperti d’arte italiani, a cui chiede spesso consigli su come manipolare il legno, materiale al centro di una nuova fase artistica.
I continui tentativi, i progressi e le ispirazioni sono documentati in foto e appunti che Ana porta con sé negli Stati Uniti, quando rientra nel 1985. Ma sono progetti che non vedranno mai la luce: l’8 settembre ‘85 Ana precipita dal 34°piano del palazzo in cui vive con Carl (sposato pochi mesi prima), a New York. Quel giorno la coppia sembra aver litigato animatamente, come testimoniato dai vicini. Secondo Carl, la causa è l’invidia che Ana prova per la fama di cui lui gode; a un certo punto – continua a raccontare – lei sarebbe corsa nella loro camera da letto e da lì si sarebbe lanciata fuori dalla finestra.
L’accaduto ha oscurato a lungo la conoscenza delle opere di Ana e ha addirittura polarizzato il mondo dell’arte, tra i difensori dell’innocenza di Carl (gli esponenti dell’art establishment, come galleristi, direttori, commercianti d’arte), accusato di omicidio; e le sostenitrici di Ana (artiste latino-americane e femministe), presunta vittima di femminicidio.
È con gli anni ’90 che riprende un interesse non più condizionato dai fatti di cronaca per la ricerca artistica di Ana, che ancora oggi stupisce per la grande inventiva e produttività. La sua poetica continua ad essere oggetto di studio e di dibattito, nonostante Ana abbia lasciato scritti, lettere, testi in cui illustra con chiarezza l’intento della sua creazione. Soprattutto sono la storia e la persona di Ana, «un’opera d’arte in sé stessa», ad essere state riscoperte.
*voce a cura di Chiara Condini – nata a Trento (1997), dove tutt’ora vive e lavora. Nel 2020 si è laureata in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna, con una tesi in Storia dell’Arte Contemporanea. Partecipa al gruppo SCRIBUNT: Gruppo di Scrittura di Biografie – Università di Trento (referenti dott.ssa Maria Barbone; dott.ssa Susanna Pedrotti; prof.ssa Lucia Rodler).