Nel romanzo di Louis De Wohl – La città di Dio – dedicato in particolare alla figura di Benedetto da Norcia, grande spazio è riservato a Teodorico e alle vicende del regno Ostrogoto in Italia, che rappresenta l’ambiente storico in cui si colloca la vita del fondatore del monachesimo medievale. Negli ultimi giorni della sua vita, consapevole dei grandi problemi che la sua morte è destinata a sollevare, dialogando con la figlia Amalasunta a proposito delle intenzioni dei suoi comandanti e delle congiure che alcuni di loro stanno organizzando, secondo l’autore del romanzo Teodorico avrebbe pronunciato parole molto significative: “Per quanto donna, saresti più adatta a regnare tu di tutti loro. Peccato, davvero un peccato che tu non sia nata maschio”1. Difficile immaginare che il re possa avere davvero pronunciato una frase del genere, probabilmente riconducibile a una sensibilità molto più moderna, ma certo sarebbe difficile sintetizzare meglio quello che senza dubbio è il problema fondamentale della vita e del destino di Amalasunta.
Le testimonianze dei contemporanei le riconoscono grande valore e grande cultura e dalle pagine di Procopio di Cesarea, come da quelle di Cassiodoro, che con lei collaborò tutta la vita, emerge anche un’evidente capacità politica destinata inevitabilmente a scontrarsi con i pregiudizi che una donna suscitava sia presso i suoi ostrogoti, sia presso i bizantini ai quali a più riprese ebbe modo di avvicinarsi.
Nata a Ravenna intorno al 495, andata sposa a un re visigoto di Spagna, morto dopo pochi anni, da cui ha due figli, Atalarico e Matasunta, vive fondamentalmente all’ombra del padre, il grande Teodorico, fino alla sua morte avvenuta nel 526.
Nella prima fase del suo dominio sull’Italia, Teodorico si era impegnato a presentarsi come continuatore della politica romana, come risulta dalle Variae di Cassiodoro, e aveva mantenuto un atteggiamento di grande rispetto per la grandezza di Roma e del suo Senato. Di religione ariana, non aveva esitato ad appoggiarsi a ministri cattolici, come lo stesso Cassiodoro e Boezio, l’intellettuale romano che rappresenta un punto di passaggio fondamentale per la tradizione culturale del medioevo latino.
È a questa politica che Amalasunta si mantiene fedele dopo la morte del padre che invece, negli ultimi anni di vita, timoroso di una possibile intesa tra i cattolici di Roma e quelli di Bisanzio, capovolge la sua politica precedente e arriva a condannare Boezio nel 522, così come il suocero Simmaco, e a far morire in prigione papa Giovanni I, cui rimprovera di non aver ottenuto alcuna concessione da parte di Bisanzio.
Procopio2 racconta che, essendogli stata servita a tavola la testa di un grande pesce, Teodorico ha l’impressione di riconoscere la testa di Simmaco, ucciso da poco, che con occhi torvi lo guarda in modo minaccioso. Terrorizzato da quella visione, il re viene colto da fortissimi brividi ed è costretto a letto sotto molte coperte. La fine del re ostrogoto si sta avvicinando e alla sua morte Amalasunta, dichiarata reggente in quanto tutrice del figlio, deve appunto fare i conti con il suo destino che la costringe a cercare l’appoggio di uomini che non sono alla sua altezza.
La regina riprende il programma di convivenza tra romani e goti che il padre aveva abbandonato, arrivando a restituire i beni confiscati alle famiglie di Simmaco e Boezio, rivolgendosi con grande rispetto al Senato di Roma, al popolo romano e ai goti, grazie alle lettere composte dal suo abile ministro Cassiodoro. Tuttavia, i goti non accettano favorevolmente il governo di una donna e il primo a deluderla è proprio il figlio Atalarico, in nome del quale può mantenere la reggenza. Il figlio rifiuta il genere di educazione che, secondo la madre, lo avrebbe reso consapevole dell’importanza della politica di convivenza, che egli invece rifiuta mostrandosi maggiormente disponibile per un’educazione militare che gli viene proposta dai capi dei goti, alcuni dei quali promuovono anche una congiura per liberarsi della regina.
Amalasunta reagisce, allontanando dapprima i cospiratori, e poi facendoli eliminare, ma il suo potere viene comunque scosso dalla morte di Atalarico nel 534, senza il quale la sua autorità non ha più fondamento di fronte al suo popolo. Sono di questo periodo molte lettere scritte, a suo nome, da Cassiodoro, tese a rassicurare il senato romano sulla continuazione della politica di fusione tra i diversi popoli da lei governati. È questo il momento in cui si fanno più stretti i rapporti con il nuovo imperatore bizantino, Giustiniano, al quale, sempre secondo Procopio3 la regina chiede di potersi recare presso di lui per cercare di sottrarsi ai tentativi di ribellione che seguono alla morte del giovane erede al trono. Ma anche l’imperatore in fondo la delude allungando i tempi delle trattative, in attesa di vedere come evolve la situazione italiana e soprattutto come si sviluppano i complotti contro Amalasunta.
La mossa con cui la regina cerca di rispondere ai tentativi di ribellione consiste nell’associare al trono, con il matrimonio, il cugino Teodato, forse il peggiore tra gli uomini ai quali si è trovata costretta ad appoggiarsi durante la sua vita. Procopio4 lo descrive come possessore della massima parte delle terre di Toscana, ma impegnato a togliere con la violenza il rimanente delle terre ai loro proprietari “perché l’avere un vicino pareva a Teodato una specie di sciagura”. Amalasunta tenta per un’ultima volta di difendere la propria politica stringendo una sorta di patto, “solenne giuramento” secondo Procopio5, per cui il regno di nome sarebbe toccato a Teodato, mentre di fatto lei avrebbe mantenuto il potere.
Tuttavia, Teodato va ben oltre le più pessimistiche aspettative e si accorda con i capi goti che continuano a opporsi alla regina, arrivando infine ad arrestarla e farla deportare su un’isola del lago di Bolsena, probabilmente l’isola di Martana, secondo Procopio6 “assai piccola ma munita di un forte castello”. La regina, ammirata e lodata da Procopio e Cassiodoro, tradita ancora una volta, si avvicina alla morte che arriva ineluttabile nel 535 per mano di sicari inviati da Teodato stesso e la cosa, dice Procopio, provoca grande dolore sia tra gli italiani sia tra i goti, finalmente concordi almeno nel rimpianto di “quella donna grandemente dedita a ogni virtù”7, e il suo assassinio fornisce a Giustiniano il pretesto per scatenare la guerra, durata una ventina d’anni, contro i goti, che finiscono con l’essere spazzati via non solo dall’Italia, ma dalla storia stessa.
Il fascino esercitato da Amalasunta su molte delle persone che la incontrarono in vita, non sembra aver lasciato indifferenti nemmeno quanti ne continuano a parlare nei secoli successivi, dando origine a una serie di leggende che sopravvivono ancora intorno all’isola e al lago di Bolsena, dove, secondo il racconto di molti pescatori, durante le giornate di tramontana, è ancora possibile sentire le grida strazianti della regina.
Volendo concludere con un’osservazione semiseria, si può osservare come l’ambivalenza dei latini nei confronti dei goti e della loro infelice regina si possa vedere ancora, da un lato, nella sopravvivenza del modo di dire italiano che indica come “parlare ostrogoto” un modo di esprimersi in termini incomprensibili, ma d’altro lato – e sappiamo quanto questo sia segno di affetto nella nostra tradizione popolare – nella presenza, tra i piatti consigliati da alcune trattorie nelle zone del lago di Bolsena, dei “tonnarelli rosa all’Amalasunta” naturalmente conditi con pesce d’acqua dolce.