Adele Bei nacque da Angela Broccoli e Davide Bei, di professione boscaiolo. Era la terza di undici figli. La sua famiglia era assai politicizzata, il che favorì in Adele una precoce e chiara coscienza politica. Adele appartiene a una generazione di militanti i cui percorsi si sarebbero incrociati con le vicende dell’aderenza al PCd’I, l’antifascismo clandestino politico e sindacale, con la Resistenza e successivamente il sistema dei partiti e la rinascita del sindacato nell’Italia repubblicana.
Cominciò presto: per Adele la consapevolezza delle differenze economiche e di classe che già la contraddistingueva fu confermata dal confronto con Domenico Ciufoli, che nel 1921 era uscito dal partito socialista e aveva contribuito con Amedeo Bordiga, Antonio Gramsci, Pietro Secchia e Umbero Terracini alla fondazione del Partito Comunista d’Italia. Nel 1922 Adele e Domenico si sposarono. Alla fine dell’anno successivo la coppia, per sfuggire all’arresto da parte dei fascisti, dovette abbandonare Cantiano e riparare in Belgio. Successivamente ripararono in Lussemburgo e infine in Francia. Durante il periodo dell’esilio nacquero due figli, Ferrero e Angela. Legata fin dalla fondazione al partito comunista, Adele rientrò più volte in Italia per diffondere materiale antifascista. Nel 1933 venne arrestata mentre si trovava a Roma.
Durante il processo, i giudici in camicia nera per convincerla a denunciare i suoi compagni cercarono di speculare sui suoi sentimenti di madre, ricordandole i figli rimasti in Francia. La risposta di Adele fu molto determinata: “non pensate alla mia famiglia, qualcuno provvederà; pensate invece ai milioni di bambini che, per colpa vostra, stanno soffrendo la fame in Italia”. Giudicata “socialmente pericolosissima” fu condannata a diciotto anni di carcere. Dopo otto anni di reclusione passati tra le Mantellate di Roma e il carcere di Perugia venne inviata nell’isola di Ventotene dove rimase due anni. In quel periodo conobbe e frequentò Di Vittorio, Terracini, Scoccimarro, Secchia e altri perseguitati politici.
Il 25 luglio del 1943, con la caduta del fascismo, riacquistò la libertà, riuscendo a sbarcare a Formia e a rientrò a Roma il 18 agosto. Sfuggì fortunosamente a un nuovo arresto da parte dei tedeschi e dei fascisti e prese contatto con le bande partigiane operanti nel Lazio. Collaborò attivamente alla Resistenza con il compito specifico di organizzare i gruppi di azione femminile.
Nel dopoguerra venne inviata nel Mezzogiorno dove partecipò all’occupazione delle terre in Lucania e Calabria. Fu responsabile della Commissione femminile nazionale della CGIL e da questa venne designata alla Consulta, una sorta di primissimo parlamento italiano provvisorio, con competenze consultive. Anche il marito era stato nominato nello stesso organismo.
Dirigente dell’Unione Donne Italiane fu eletta all’Assemblea Costituente il 2 giugno 1946. In tale veste sostenne la parità tra uomo e donna. Nel 1948 fu senatrice di diritto per meriti antifascisti.
Durante tutta la sua attività politica fu sempre molto attenta ai problemi del mondo femminile e si batté per il miglioramento delle condizioni carcerarie delle donne e per maggiori diritti alle lavoratrici. Anche il linguaggio che usava, definendosi “senatrice” e non senatore e parlando durante il suo mandato sindacale di “lavoratrici” in una categoria totalmente femminile come le tabacchine e non usando il generico e consueto per allora “lavoratori” dimostrò una spontanea attenzione a un linguaggio politicamente corretto che la definisce come una femminista ante litteram.
Dal 1953 al 1958 fu alla Camera dei deputati nelle liste del PCI in rappresentanza delle Marche. Durante l’attività parlamentare si occupò delle condizioni del mondo del lavoro, della vita in fabbrica, delle assicurazioni e della previdenza dei lavoratori e delle loro famiglie. Mostrò inoltre grande interesse per la realtà marchigiana e pesarese, come comprovano varie interrogazioni e interventi in aula e in commissione.
Dal 1952 al 1960 guidò anche il sindacato nazionale delle tabacchine che si era costituito nel dopoguerra quando la protesta delle lavoratrici del tabacco, precedentemente spontanea e dispersa tra le molte concessioni, aveva cominciato a essere guidata dalle leghe e dalla Confederterra e si era trasformata in un movimento più politicamente orientato. Le tabacchine, come i lavoratori della terra, proprio in quegli anni acquisivano una precisa consapevolezza dei propri diritti legati al lavoro.
Nel maggio del 1947, sostenute da Confederterra, le tabacchine avevano organizzato il loro primo Congresso nazionale per discutere della costituzione di un proprio sindacato unitario e del diritto per l’intera categoria di un contratto collettivo nazionale. Quando Bei fu eletta, la questione dell’inquadramento nella CGIL della categoria delle tabacchine come sindacato autonomo era ormai risolta. Ma le scissioni e le contrapposizioni sindacali rendevano difficile la contrattazione. Le trattative per il rinnovo contrattuale del 1953 videro a lungo CGIL e CISL su posizioni differenti, e solo il ricompattarsi dei due sindacati permise di siglare un contratto che sanciva sensibili benefici di natura salariale anche se rimanevano aperte le questioni connesse al miglioramento delle condizioni ambientali. Proprio sulle tristi condizioni di lavoro e di vita delle operaie Adele Bei richiamò costantemente l’attenzione della pubblica opinione.
Con il congresso del 1960, la Bei non venne rieletta e non rientrò neppure negli organismi dirigenti. Le venne fatta pagare con questa esclusione la sua convinzione di avere titolo e legittimazione per assumere decisioni in totale autonomia, indipendentemente dalle gerarchie interne. La sua biografia in questo senso permette di cogliere le contraddizioni del sindacato stretto tra la centralizzazione organizzativa e contrattuale e istanze di partecipazione e autonomia.
La mancata rielezione di Bei coincise con la perdita di autonomia del sindacato delle tabacchine, che sarebbe confluito dapprima nella FILIA, federazione dei lavoratori dell’industria alimentare aderente alla CGIL, poi alla FILZIAT, federazione dei lavoratori alimentaristi, del tabacco e dello zucchero.
Conclusa l’esperienza sindacale, Adele Bei fu nominata nel 1972 consigliera nazionale dell’associazione nazionale perseguitati politici antifascisti.
Morì a Roma il 15 ottobre 1976.