Adelaide Pandiani nasce a Milano il 30 giugno 1836 da Marianna De Gasperis e Giovanni Pandiani. La sua è una famiglia di noti artisti milanesi. Il padre (1809 -1879) era un notissimo scultore d’ispirazione romantica formatosi sotto la direzione di Pompeo Marchesi all’Accademia di Brera e da lui Adelaide apprenderà i primi rudimenti dell’arte scultoria; gli zii Innocente e Agostino erano a loro volta noti scultori ornatisti, il cugino Costantino era scultore.
Narra l’aneddotica che sin da piccola dimostra il suo talento creando, con la creta rubata nello studio del padre, piccoli animali che poi cuoce per poterli conservare. Vista l’abilità della figlia, Giovanni le impartisce le prime lezioni di disegno fino all’ingresso di Adelaide all’Accademia di Brera dove a quel tempo insegnavano Francesco Hayez e Benedetto Cacciatori. A sedici anni prende parte a un concorso per una statua dell’antica Camilla e ottiene il secondo premio. Nel 1857 inizia l’attività espositiva che la porterà a partecipare alle rassegne braidensi sino al 1894.
Nell’abitazione di famiglia, a Milano, viene attrezzato uno studio dove Adelaide porta a compimento i suoi primi lavori di scultura, tra cui si rammenta un bassorilievo Gli angeli della preghiera e gli angeli della risurrezione, presentato all’esposizione Universale di Parigi nel 1867, che le permette di ottenere immediatamente una certa fama. Studia anche all’Accademia di Firenze sotto la direzione di Giovanni Duprè e Lorenzo Bartolini (entrambi importanti scultori italiani molto conosciuti anche all’estero).
In quell’epoca la scelta della scultura per una donna era ritenuta un fatto eccezionale in quanto, per la tecnica particolarmente faticosa, era un’espressione di norma esclusivamente maschile. Le capacità mostrate da Adelaide suscitano, quindi, vivo stupore da parte dei recensori dei suoi lavori. Raramente nella storia dell’arte le donne si sono dedicate a tale arte in quanto ritenute poco idonee per la fatica richiesta nell’esecuzione, lo studio del nudo e dell’anatomia, la necessità di disporre di un laboratorio adatto e di materiale poco nobile come il gesso, la creta che andava lavorato con le mani. Mani che, nell’immagine femminile dell’epoca, dovevano dedicarsi ad attività più delicate e, rimanendo nell’ambito artistico, all’arte pittorica che poteva essere svolta anche all’interno dell’universo domestico. Arte che spesso imponeva dei sacrifici, come Adelaide stessa dichiara nella sua comunicazione La donna nella scultura al Primo Congresso Nazionale delle donne italiane tenutosi a Roma nel 1908.
La questione dunque che si presenta a noi a questo punto, è quella se una buona madre di famiglia possa dedicarsi alla scultura. Non io certo vorrò negare che l’esercizio di tale arte sia inconciliabile con l’adempimento scrupoloso dei doveri di madre, ma, e mi si consenta in ciò di parlare in nome della mia esperienza personale, io dico che ciò si ottiene soltanto a patto di gravi sacrifici, a patto di una ferrea disciplina delle forze dello spirito e di quelle morali e dico pure che anche con questa disciplina, anche con questi sacrifici, l’operosità artistica non può non essere spesso danneggiata od almeno limitata perché l’artista deve sempre cedere il passo alla sposa e, soprattutto, alla madre.
Adelaide Maraini, La donna nella scultura, Primo Congresso Nazionale delle donne italiane, Quarta seduta, Roma, 28 aprile 1908.
Adelaide, quindi, fu privilegiata in questo provenendo da una famiglia di scultori e avendo avuto a disposizione tutto quello che occorreva per esprimersi nella scultura.
Adelaide nella sua arte sceglie come soggetti figure mitiche femminili, come Saffo e Aspasia, donne che si sacrificarono per amore, e che le consentirono di trasfondere i sentimenti più profondi che le derivavano dal nobile animo e dalla sua natura femminile. Lo stesso impegno viene rivolto alla produzione di busti che spesso rappresentano figure di patrioti, politici e uomini di stato che trasfusero la loro passione e consegnarono la loro vita a favore dell’Italia nascente.
La figura di Saffo ritorna più volte nell’opera di Adelaide che probabilmente amò molto questa donna desolata e amorosa. Nella versione in bronzo, poi tradotta in marmo, Adelaide ottenne la sua definitiva consacrazione come scultrice e trovò il suo posto nel tempio dell’arte italiana. L’opera infatti venne esposta a Lugano, a Milano, a Roma nel 1883, all’esposizione di Firenze del 1890 (dove ricevette la medaglia d’oro del Ministero della Pubblica Istruzione) ricevendo sempre acclamazioni.
Nella produzione di busti furono molto apprezzati quelli di Carlo Cattaneo, Cesare Correnti e Vittorio Emanuele II, dove Adelaide mostra una sapiente arte nel ritrarre i personaggi con veridicità e cura dei particolari, oltre a quella dei monumenti funerari dove ritroviamo la sua abilità nel saper lavorare il marmo in opere di grandi dimensioni pur conservando il classicismo che spesso ha caratterizzato il suo stile e, come prima ricordato, la sua capacità innata di trasfondervi i sentimenti.
La sua abilità di scultrice non lese mai la figura di madre – ebbe due figli dal matrimonio – e di donna impegnata nel sociale. Ella fu infatti deliziosa padrona di casa e animatrice, insieme al marito Clemente Maraini, di un salotto nella residenza romana dove scrittori, politici e personaggi dell’epoca si ritrovavano. Fu anche impegnata nelle attività a favore delle donne come presidentessa di associazioni femminili per la rivendicazione dei diritti del suo genere, in un periodo storico nel quale le prime avanguardie femministe facevano sentire la loro voce per migliorare la condizione delle donne. Il suo fu uno dei nomi di prestigio presenti al Primo Congresso Nazionale delle Donne, svoltosi a Roma nel 1908.
Moglie, madre, artista ma soprattutto donna; “donna scultrice”, come ebbe a descriverla Carlo Dossi, sottolineando la capacità di trasfondere il suo essere femminile, i sentimenti di madre e di sposa amata nelle opere che seppero uscire dalle sue mani.
Adelaide trascorrerà lunghe villeggiature nella sua villa di Lugano, città a cui lascia numerose opere ora conservate nel Palazzo del Comune e nel Museo Civico, ma non lascerà più Roma dove si spegnerà il 24 marzo del 1917.